Arrivano al pettine i nodi dell’economia
Romano Prodi ha avuto a malapena il tempo di insediarsi come primo ministro
che già, puntuali ed inevitabili come la morte e le tasse, si sono levati alti
i moniti delle tre grandi sorelle del rating mondiale (Moody’s, Fitch e
Standard And Poor) sullo stato dell’economia italiana. Sotto la lente
d’ingrandimento sono i conti pubblici: il deficit statale è fuori controllo,
ben al di là della fatidica soglia del 3% in proporzione al prodotto interno
lordo (Pil) prevista dal Patto di stabilità. Secondo le stime ufficiose del
ministro Padoa Schioppa sarà tra il 4,3% e il 5%.
Di recente è uscito un libro che si pone come la summa programmatico-teorica delle tesi della maggioranza del PRC. Si tratta di un tentativo coraggioso di dare un fondamento organico alle proposte politiche bertinottiane. Risulta dunque utile esaminare con attenzione questo testo, per fare emergere i punti critici rispetto a queste posizioni.
L’economia italiana ha il motore in panne
Nel turbine della campagna elettorale sembra passato in secondo piano il problema chiave delle elezioni stesse, ossia lo stato comatoso dell’economia italiana. Fa comodo a tutti dimenticarsene. A Berlusconi, perché striderebbe con l’ottimismo fiabesco dei suoi spot, al centro-sinistra perché dovrebbe spiegare come vi porrà rimedio.
Tuttavia, se parlando di programma non si parte da quel tema, si discute essenzialmente di aria fritta. Su FalceMartello abbiamo di recente più volte analizzato le tendenze di fondo dell’economia italiana, qui ci limiteremo a sottolineare alcuni punti, alla luce della più recente evoluzione dell’economia mondiale.
Un inganno sulla testa dei lavoratori
L’inedita alleanza che ha dato l’assalto a Banca Nazionale del Lavoro (Bnl), Antonveneta e Rizzoli-Corriere della Sera (Rcs), giunta agli onori della cronaca con lo scandalo scaturito dalle intercettazioni telefoniche di quest’estate, merita di essere analizzata in quanto è rivelatrice non solo del carattere parassitario della borghesia italiana ma anche delle trasformazioni che sono intervenute al suo interno. È altresì interessante osservare il ruolo che in questa vicenda hanno assunto le diverse forze politiche, a partire dai Democratici di sinistra.
La crisi del capitalismo italiano tiene ormai banco sulle pagine dei giornali. I dati delle varie istituzioni economiche, dall’Ocse alla Banca d’Italia, confermano quello che già sappiamo dalla nostra esperienza quotidiana: il capitalismo italiano affonda come un sasso.
Il prodotto interno lordo (Pil) è in calo da due trimestri. Secondo il governo nel 2005 doveva crescere dell’1,2 per cento; secondo l’Ocse calerà dello 0,6. La crisi è particolarmente evidente nell’industria. Secondo l’inglese Economist sarebbe necessario tagliare almeno 500mila posti di lavoro manifatturieri (il 10 per cento del totale) per ridare competitività. Tra il 2000 e il 2004 la produzione industriale è calata del 3,8 per cento.
Il barometro dell’economia italiana volge al peggio. Le cifre recentemente pubblicate riguardo lo “sforamento” della soglia del 3% del deficit pubblico nel 2004 non sono altro che la punta di un iceberg assai più vasto.
Alle radici delle difficoltà, va detto con chiarezza, non ci sono solo le scelte economiche del governo Berlusconi o la “finanza creativa” di Tremonti e Siniscalco. C’è invece una profonda crisi di competitività dell’industria italiana che viene ormai regolarmente schiacciata dai suoi concorrenti sia sul mercato interno, sia su quelli esteri, europei e non.