“Shock”, “terremoto”, “avvertimento” sono state tra le parole più usate nelle prime pagine dei giornali sui risultati delle elezioni europee. Lo scalpore è stato suscitato soprattutto dall’avanzata delle liste cosiddette “euroscettiche”, in particolar modo laddove, Francia e Regno Unito, hanno strappato il primato ai partiti che se lo contendono tradizionalmente.
Non era mai successo nella storia moderna del Regno Unito che il partito più votato in una tornata elettorale non si chiamasse né Partito conservatore, né Partito laburista; succede oggi con il 26,8% dell’Ukip, il partito anti-Unione europea che nel Parlamento inglese è rappresentato solo da tre membri della Camera dei lord, non elettiva.
Si può invece confrontare con il 17,9% delle elezioni presidenziali francesi del 2012 il 25% conquistato dal Front national di Marine Le Pen, che cerca di attestare il suo partito come forza borghese nazionalista alternativa al partito della tradizione di destra neo-gaullista Ump, arenato al secondo posto e screditato tra l’altro dai recenti scandali per corruzione.
I successi di Ukip e Fn sono una delle espressioni, per quanto distorta, dell’ondata di protesta che in tutta Europa si è rivolta verso le politiche di austerità imposte dopo lo scoppio della crisi economica nel 2008 e contro i governi che le hanno portate avanti fedelmente.
Le idee apertamente reazionarie di questi movimenti devono essere contrastate con tutte le nostre forze. Tale contrasto può avere successo non con appelli a presunti “comuni valori europei” ma solo se le organizzazioni del movimento operaio adotteranno un programma di classe e rivoluzionario.
Non si può però individuare unilateralmente nella crescita di queste formazioni l’espressione di questo sentimento: se ne trova infatti un segnale anche nella disaffezione dalla partecipazione al voto, che proprio in Francia e Regno Unito ha visto livelli di affluenza tra i più bassi (43% e 36% rispettivamente). E c’è stato un riflesso anche all’altro polo dell’arco parlamentare europeo, soprattutto nei paesi dove le politiche di attacco alle condizioni sociali sono state contrastate da mobilitazioni di massa.
Ecco quindi che nella Spagna che ha visto scendere in piazza oltre un milione di persone nella “Marcia della dignità” lo scorso 22 marzo la somma dei voti delle liste di sinistra, Izquierda unida e Podemos, rappresenta il 18% del totale. In Portogallo, che ha vissuto diverse stagioni di manifestazioni e scioperi contro le misure di austerità, la lista di Comunisti e Verdi ottiene il 12,7%, miglior risultato degli ultimi 25 anni, e insieme al Bloco de Esquerda, la sinistra "radicale" arriva al 17%. Da non dimenticare il 19% conquistato dai due partiti a sinistra della socialdemocrazia in Danimarca e il buon risultato della sinistra in Svezia. Il dato più significativo rimane comunque quello di Syriza in Grecia, come viene commentato in questo articolo.
In Francia il Front de gauche, che dopo l’11% di Mélenchon alle presidenziali del 2012, era stato annoverato per un periodo nel fenomeno della crescita dei partiti a sinistra delle socialdemocrazie, oggi si distacca da questa tendenza, fermandosi al 6,4%, frutto della sua politica di corteggiamento opportunista del Partito socialista e dei Verdi. Gli stessi che per essersi resi artefici delle politiche di austerità in Francia oggi pagano un prezzo salato: il 13,98% del Partito socialista del presidente Hollande è il peggior risultato elettorale della sua storia.
Una portata storica si può attribuire anche al fatto che i due partiti tradizionalmente maggioritari in Spagna, Ppe e Psoe, non arrivino a conquistare il 50% dell’elettorato, o alla quasi scomparsa dei vecchi scudieri dei partiti conservatori (Fdp in Germania e Libdem in Regno Unito).
Volendo dare una lettura che cerca di leggere le tendenze di fondo di quello che la lente distorta delle elezioni europee ci mette sotto gli occhi, la rottura delle vecchie abitudini, il fatto che ciò che prima era considerato scontato oggi non lo è più, o che la parola “stabilità” la si possa associare ad un lontano ricordo, è uno degli effetti che la crisi, questa sì di portata storica, infligge al sistema. Nella ricerca di una via di uscita, le masse sceglieranno, metteranno alla prova e scarteranno un partito dopo l’altro. La strada tra le stelle e stalle ne vedrà passare diversi ancora.