Francia: verso un nuovo ’68?
Mentre la Borsa di Parigi è cresciuta del 29,5% nel 1997 i disoccupati sono aumentati di mezzo milione. Negli ultimi 5 anni la produzione di beni è cresciuta del 70% mentre il numero dei disoccupati si moltiplicava per 7! Il risultato finale di questa vera e propria guerra civile "economica" è che il 5% dei francesi più ricchi dispone del 40% del patrimonio mentre il 50% più povero si deve accontentare del 8%.
In questi 25 anni i lavoratori francesi hanno fatto vincere le elezioni ai loro partiti (Psf e Pcf) per ben 3 volte. Per ben 15 anni hanno aspettato che i loro dirigenti al governo applicassero una politica a favore dei lavoratori. Ma da quando nel 1981 Mitterand si arrese al boicottaggio del padronato i lavoratori francesi hanno accumulato solo frustrazioni. Ciò spiega la bassa partecipazione nei sindacati e nei partiti, ma anche la decisione che cresce tra gli attivisti: bisogna impegnarsi in prima persona.
Bisogna agire! Nel 1995, quando la borghesia aveva vinto sia le elezioni presidenziali che politiche ci fu la prima reazione col magnifico sciopero dei trasporti pubblici e delle poste contro il piano del primo ministro Juppé.
I dirigenti del Psf e del Pcf si limitarono a dire che "era un conflitto sindacale" e che loro non volevano "interferire"(!!!), ma i lavoratori la vedevano in modo diverso e sulla scia di quella vittoria hanno portato ancora una volta il Psf e il Pcf al governo. Il punto è che ora la base di questi partiti, ma soprattutto i loro simpatizzanti non danno più assegni in bianco a nessuno.
È in questo contesto politico che la Francia dovrebbe rispettare i criteri di Maastricht. Non è difficile prevedere che la tensione sociale continuerà ad aumentare.
È particolarmente significativa la mobilitazione dei disoccupati. Essi difficilmente si organizzano per lottare. Il fatto di non essere più a contatto diretto coi compagni di lavoro rende facile l’isolamento, la frustrazione e la rabbia individuale.
La lotta organizzata diventa possibile quando il clima sociale cambia e i disoccupati vedono che c’è un’offensiva generalizzata del movimento operaio per riconquistare i propri diritti. In questo contesto rinasce la speranza di poter trovare soluzioni per tutti invece del solito arrangiarsi individuale.
Così dopo 2 anni di mobilitazioni dei lavoratori occupati si muovono anche quelli disoccupati. Non sono in tanti, ma raccolgono la solidarietà di due terzi della popolazione francese.
Le mobilitazioni sono cominciate alla fine del ‘97 in Marsiglia con la rivendicazione di un sussidio speciale di 1.000.000 di lire. In pochi giorni le mobilitazioni si sono estese e il programma rivendicativo ampliato: affitti gratuiti per i disoccupati, accesso alla cultura, elettricità a prezzo ridotto…. Il 7 gennaio ci furono cortei in tutta la Francia con 20mila partecipanti. Il 13 ci fu un’altra mobilitazione con 30mila persone. Nei giorni successivi ci furono occupazioni di diversi edifici pubblici e il governo usò i celerini per sgomberarli. Lo stesso giorno la popolarità di Jospin cadeva del 6% mentre il 70% della popolazione si dichiarava a favore della trattativa con i disoccupati.
Ora, dopo le concessioni di Jospin il movimento di lotta si è fermato temporaneamente.
Per saperne di più abbiamo intervistato Greg Oxley, direttore della rivista marxista francese "La Riposte".
FM -. Quale è il significato del movimento di disoccupati in Francia ?
R -. Si tratta di un movimento sociale molto importante. I disoccupati non si organizzano facilmente. In Francia ci sono 5 milioni di persone disoccupate ma restano molto isolati. La prima preoccupazione di un disoccupato è quella di trovare un posto di lavoro. Iscriversi ad una organizzazione per la difesa dei disoccupati implica accettare che il proprio stato di disoccupazione può durare a lungo, e quindi un certo grado di disperazione. Il recente movimento di disoccupati in Francia testimonia innanzitutto la situazione grave dei disoccupati di lungo periodo.
Il movimento di disoccupati fa parte anche di una evoluzione più generale. Nel corso di questi ultimi anni abbiamo assistito ad una serie di movimenti sociali da parte di categorie della popolazione che erano rimaste ferme fino ad ora. Penso ad esempio agli impiegati del settore bancario, che hanno occupato la sede del "Crédit Foncier", ai camionisti, ai giovani medici, ai "sans papiers" (gli immigrati clandestini, NdT), ai senza tetto, che hanno occupato appartamenti vuoti e anche ai pensionati. C’è un cambiamento profondo nella psicologia di queste categorie sociali.
Il settore bancario e quello ospedaliero rompono di fatto con il loro conservatorismo tradizionale e si uniscono di fatto al movimento operaio. Anche i milioni di emarginati, i disoccupati, gli immigrati o figli di immigrati senza permesso di soggiorno, i senza tetto, rialzano la testa e si uniscono al movimento operaio. Dieci anni fa molti dei nostri intellettuali annunciavano a gran voce la "fine del movimento operaio"; oggi esso mostra la sua vera potenza e si rafforza ovunque.
I lavoratori francesi cominciano a ricollegarsi alle tradizioni rivoluzionarie che hanno segnato la loro storia.
FM -. Come si può spiegare questo cambiamento ?
R -. Lo sciopero generale del settore pubblico nei mesi di novembre e dicembre 1995 ha segnato una svolta nella storia recente del movimento operaio francese. Il "piano" del primo ministro Juppé era di portare avanti un attacco generale ai lavoratori, ai salari, allo stato sociale in una parola a tutti quei diritti sociali conquistati nel passato. Il suo piano prevedeva la soppressione di 30mila posti di lavoro alla SNCF (Ferrovie francesi, NdT). Dopo un mese di scioperi, Juppé ha dovuto battere in ritirata. I ferrovieri avevano vinto, anche se alcuni capitoli del piano sono stati mantenuti.
Lo sciopero, malgrado si sia limitato essenzialmente al settore pubblico, ha preso la forma di una enorme battaglia sociale, una formidabile prova di forza, tra due schieramenti ostili.
Malgrado il ruolo dei Mass-media, il Governo ha fallito nel suo tentativo di screditare gli scioperanti agli occhi della popolazione. Dall’inizio alla fine del conflitto, il 65% della popolazione appoggiava il movimento di sciopero. La classe dirigente francese non capiva i lavoratori, che non erano in sciopero e che dovevano alzarsi alle quattro del mattino per farsi una decina di chilometri a piedi nel freddo per recarsi al lavoro, e che dichiaravano orgogliosi ai microfoni dei giornalisti la loro solidarietà con i ferrovieri ! D’allora ritroviamo le stesse cifre, il 65% di opinioni favorevoli, nei sondaggi relativi a tutti i movimenti sociali dopo il 1995, compreso quello dei disoccupati.
FM -. Dal’95 la Francia sembra essere il paese dove la lotta di classe è più acuta, quale può esserne la ragione ?
R -. La classe operaia francese ha una grande tradizione rivoluzionaria. Non dimentichiamo che già nel 1871, durante la Comune di Parigi, ha preso il potere fra le mani per 6 settimane, fino al massacro della "settimana di sangue". Più vicino alla nostra epoca, senza dimenticare gli avvenimenti del 1936 o i sollevamenti contro l’occupazione nazista nel 1944, c’è stato lo sciopero generale del 1968, un movimento di una ampiezza e potenza tale, con 10milioni di scioperanti, che avrebbe potuto sfociare in una trasformazione rivoluzionaria della società.
Se il capitalismo francese è sopravvissuto a questa prova è solo per merito del ruolo (pernicioso) dei dirigenti del partito comunista francese dell’epoca (essendo il PSF molto piccolo e screditato, NdR). Sono queste le tradizioni di lotta e di contestazione che sono di ritorno in Francia.
È senza dubbio l’esperienza politica particolarmente concentrata dal 1993 che può spiegare la radicalizzazione degli atteggiamenti sociali. Quell’anno la sinistra, divisa, screditata dalla sua politica conservatrice durante gli anni’80
e da una serie di scandali di corruzione, che sottolineavano a che punto i dirigenti si erano allontanati dalle aspirazioni che li avevano portati al potere, ha subito una disfatta particolarmente dura alle elezioni legislative.
Poi, nelle elezioni presidenziali del 1995 Chirac ha approfittato della debolezza della sinistra e ha fatto una campagna elettorale profondamente demagogica. A differenza della sinistra, lui si sarebbe occupato dei poveri, dei senza tetto, dei disoccupati, avrebbe creato dei posti di lavoro, aumentato il potere d’acquisto, difeso i diritti sociali. Poco dopo le elezioni con una svolta che non avrebbe potuto essere più cinica ha lanciato con il suo nuovo primo ministro Juppé, il suo vero "piano". Come andò a finire lo sappiamo.
Poi, nel 1997, solo 18 mesi dopo lo sciopero generale, giudicando che la situazione sociale si stava calmando e che i partiti di sinistra erano ancora troppo screditati per poter vincere le elezioni, Chirac ha sciolto l’assemblea nazionale, provocando delle elezioni legislative anticipate. La vittoria della sinistra in queste elezioni ha portato un colpo terribile alla fiducia della classe dirigente, che non si aspettava per nulla questo risultato.
Questa vittoria della sinistra non è altro che il risultato sul piano politico delle mobilitazioni sociali del periodo precedente. Il governo Psf-Pcf che ha vinto le elezioni sull’onda della contestazione sociale, ma sottomesso alle pressioni implacabili del padronato francese, costituisce anch’esso una grande scuola politica nella quale i lavoratori stanno imparando molto.
A parte questo, non c’è nulla di specificatamente "francese" nelle cause profonde della situazione sociale attuale. La crisi economica, la disoccupazione, l’arretramento dello stato sociale, l’impoverimento dei giovani, la precarizzazione del lavoro, sono caratteristiche comuni a tutti gli Stati europei. Prima o poi, forti conflitti sociali esploderanno anche negli altri paesi, è solo questione di tempo.
FM -. Quali sono state le ripercussioni dei movimenti sociali nelle organizzazioni sindacali e nei partiti di sinistra ?
R -. La situazione è variabile a seconda dei settori ma, in generale, tutti i gruppi dirigenti sindacali sono contestati o costretti ad assumere un atteggiamento più combattivo dalla loro base. Le mobilitazioni successive dei lavoratori francesi così come l’acutizzarsi della coscienza di classe che ne è risultata hanno avuto un impatto sulle organizzazioni tradizionali. I lavoratori non hanno altra scelta che di trasformare queste organizzazioni per servirsene nelle loro lotte. Nel passato i sindacati e i partiti di sinistra si sono allontanati dai lavoratori e dagli ideali del socialismo. Il processo che è in corso annuncia la ripresa in mano di queste organizzazioni per dotarle di un programma e di dirigenti all’altezza della situazione.
FM -. Puoi fare qualche esempio ?
R -. Per esempio nella CFDT, la direzione di Nicole Notat è fortemente contestata da una parte importante della base della confederazione. Al prossimo congresso, se il gruppo dirigente attuale conserva il suo mandato, sarà solo in base a un colpo di mano burocratico. La sua posizione potrebbe essere confortata a breve termine se a causa della frustrazione e della mancanza di prospettive, alcuni componenti della opposizione decidessero di lasciare la CFDT per entrare nella CGT oppure nel SUD.
La CGT ha dovuto mostrarsi più "indipendente" nei confronti del Partito Comunista. Dopo la vittoria della sinistra nel 1981, con la presenza di ministri comunisti nel Governo, la direzione della CGT frenava o peggio sabotava le lotte per non creare problemi ai "compagni" al governo. Questa volta, la direzione della CGT non ha potuto giocare lo stesso ruolo, come dimostra il suo sostegno al movimento dei disoccupati.
Anche FO è in crisi, con un’ala destra che si adatta male alle pressioni che aumentano per un comportamento sindacale più combattivo. FO e la CGT stanno crescendo, sembrerebbe, tra le categorie di lavoratori dei livelli salariali più bassi, a spese della CFDT, mentre la CFDT sembrerebbe crescere a spese di FO, tra i quadri.
Anche il Partito Socialista è stato condizionato dai movimenti sociali. I militanti nei circoli sono più esigenti rispetto al passato, quando erano disposti ad accordare un "assegno in bianco" ai dirigenti.
Adesso che Mitterand non c’è più, la direzione è messa alla prova. Naturalmente l’annuncio dell’introduzione della settimana lavorativa di 35 ore senza perdita di salario entro il 2000 è stato accolto favorevolmente, ma i militanti si preoccupano delle incertezze sull’applicazione concreta di queste misure.
Jospin ha l’ intenzione di introdurre delle misure di "flessibilità" nello statuto dei lavoratori, come ad esempio l’annualizzazione dell’orario, che annullerebbero tutti gli effetti positivi in termini di creazione di posti di lavoro delle 35 ore. Le privatizzazioni, l’abbandono del sito della Renault di Vilvoorde in Belgio, e l’invio delle CRS contro i disoccupati, hanno suscitato forti critiche. Il movimento dei disoccupati è servito ad aumentare le tensioni fra la base del Partito Comunista e la sua direzione, e fra i parlamentari comunisti e il Governo.
FM -. Allora quali sono le prospettive per il Governo di sinistra in Francia e per il movimento operaio ?
R -. Il tallone di Achille dei partiti di sinistra in Francia, è che nè i dirigenti socialisti, ne i dirigenti comunisti, presentano un’alternativa al capitalismo. Cercano di gestire il sistema capitalista "meglio" della destra. Ma accettare il capitalismo significa accettare la disoccupazione, la povertà, le disuguaglianze sociali e il caos economico che lo caratterizzano. Il capitalismo si trova in un impasse. Può esistere ormai solo a scapito della maggioranza della società. I capitalisti esercitano una pressione draconiana sul Governo perchè adotti una politica di regressione sociale. Il nuovo capo della CNPF (la Confindustria francese, NdT) ha dichiarato apertamente la sua intenzione di "far cadere" il Governo se insiste con le 35 ore! Allo stesso tempo le pressioni che vengono "dal basso" non sono minori. Preso fra l’incudine e il martello di queste pressioni contradditorie, il Governo tenta di soddisfare entrambe le parti. Finirà col soddisfare nessuno.
Per rispondere al movimento dei disoccupati, Jospin ha proposto di dedicare un miliardo di franchi per ridurre la miseria dei disoccupati. I criteri di Maastricht, questo figlio delle multinazionali, gli impediscono, dice, di fare di più. Lo Stato non può più favorire una società di "assistiti". Eppure la banca Crédit Lyonnais, che si è trovata sul punto di fallire per le pratiche corrotte e illegali che portava avanti, è stata "assistita" dallo Stato con una cifra di 160 miliardi di franchi. Anche le 35 ore, una misura eccellente in sè, non basta ad invertire la curva del numero di disoccupati, se non sarà accompagnata da un programma autenticamente socialista per mettere fine all’impero delle grandi imprese capitaliste e utilizzare tutte le risorse umane e materiali del paese per soddisfare i bisogni della popolazione.
Così il Governo che vede al suo interno dei ministri comunisti e dei rappresentanti diretti del padronato come Dominique Strauss-Kahn, sarà un Governo di crisi, soprattutto nell’eventualità di una nuova recessione economica. Qualsiasi siano le concessioni fatte al padronato, nulla potrà attenuare l’ostilità feroce degli ambienti capitalisti al Governo attuale. Per il momento la destra e gli ambienti capitalisti sono sulla difensiva. Ma hanno una strategia, quella di imporre al governo una politica di controriforme in modo che questo si divida e si "tagli" la propria base elettorale, per poi farlo cadere.
Questa è una tattica che ha funzionato in passato coi governi di Mitterrand. Ma questa volta, nel contesto attuale, potrebbe innescare una vera e propria esplosione sociale. Non è possibile prevedere il corso degli avvenimenti in dettaglio ma in un modo o nell’altro, la Francia si sta dirigendo verso uno scontro decisivo fra le classi che avrà conseguenze politiche rilevanti. In un processo del genere gli attivisti comunisti e socialisti tenteranno più volte di trasformare le proprie organizzazioni adeguandole allo scontro in atto. Un nuovo sciopero generale non sarà una semplice ripetizione di quello del 1995. Rassomiglierà di più a quello del 1968. È proprio per questo motivo che dotare il movimento operaio di un programma realmente socialista assume un importanza così fondamentale. Nel 1968, una opportunità storica di cambiare la società e mettere fine al capitalismo è stata persa. Lottiamo perchè, la prossima volta, si possa essere all’altezza della situazione.