La lotta di classe è tornata a dominare la scena politica francese dopo 18 mesi di relativa calma, se si esclude la lotta radicale degli elettrici contro la privatizzazione della compagnia statale Edf nel giugno 2004. Nel mese di febbraio 600mila lavoratori del settori pubblico e privato hanno manifestato contro la riforma della legge sulle 35 ore voluta dal governo di destra e 100mila studenti sono scesi in piazza contro la riforma dell’educazione.
Si rompe la pace sociale
Il movimento operaio ha imparato sulla propria pelle che ciò che i padroni concedono un giorno, cercano di riprenderlo indietro con gli interessi appena ritengono che i rapporti di forza gli concedano un’occasione favorevole. Lo vediamo anche nei recenti attacchi del governo Raffarin. L’opportunità di andare alla carica a testa bassa si è profilata davanti al padronato dopo la sconfitta della sinistra, screditata dopo cinque anni di governo e accodata a Chirac, alle elezioni presidenziali e legislative del 2002. Da quel momento in poi la destra non ha esitato a sferrare attacchi contro conquiste sociali strappate e consolidate negli ultimi 50 anni.
Il governo Raffarin ha iniziato attaccando le pensioni nel 2003, innalzando l’età pensionabile da 60 a 65 anni, nonostante mobilitazioni massicce che ebbero come punte avanzate gli scioperi selvaggi nei trasporti e la lotta ad oltranza degli insegnanti di alcune centinaia di scuole dell’obbligo. La sconfitta di quel movimento non fu dovuta alla mancanza di determinazione da parte dei lavoratori, ma al collaborazionismo e all’indecisione dei dirigenti sindacali. Se, infatti, la Cfdt si accordò col governo per un piatto di lenticchie, le direzioni di Fo e della Cgt, il principale sindacato francese (legato al partito comunista), guidarono la lotta senza provare ad unificarla in uno sciopero generale di 24 ore con l’obiettivo del ristabilimento per tutti di 37,5 anni di lavoro per la pensione e delle dimissioni del governo. Quella sconfitta ha avuto un effetto chiaramente demoralizzante sulla classe lavoratrice. Adesso però l’attacco sulle 35 ore di lavoro settimanali ha nuovamente acceso la scintilla della mobilitazione tra i lavoratori. Secondo la Cgt, il 5 febbraio Parigi è stata attraversata da un corteo di 90mila lavoratori con 600mila manifestanti in tutta la Francia, da Tolosa nel Sud a Lilla nel nord e Nizza nel sud-est. L’aspetto, però, forse più rilevante di queste recenti manifestazioni è stata la forte presenza di operai del settore privato.
L’attacco contro le 35 ore
A differenza della riforma delle pensioni approvata nel 2003, l’attacco sulle 35 ore colpisce infatti sia i lavoratori del settore pubblico che quelli del settore privato. La legge sulle 35 ore voluta dal governo di sinistra di Jospin finanziava largamente con denaro pubblico le imprese che passavano alle 35 ore e concedeva loro un forte aumento della flessibilità con l’annualizzazione dell’orario di lavoro; non per nulla essa fu sonoramente bocciata in fabbriche storiche per il movimento operaio francese, a partire dalla Renault. Ovviamente non sono questi i punti della legge presi di mira dal padronato e dal governo che sono riusciti, in sostanza, a tornare ad una settimana lavorativa di 40 ore pagata come le attuali 35. La riforma della legge prevede, infatti, di rendere facoltative le 35 ore sostituendole col “tempo scelto”. In pratica si passa in maniera camuffata alle 40 ore e oltre, aumentando lo straordinario legale da 180 ore a 220, togliendo un giorno di ferie e col meccanismo detto risparmio-tempo, col quale per trenta giorni all’anno gli straordinari vengono pagati come ore normali (il governo ipocritamente dice che lo fa per permettere ai lavoratori di guadagnare di più!!). Ultimo regalo al padronato è la riduzione dal 25% al 10% della maggiorazione per lo straordinario nelle aziende con meno di 20 dipendenti fino al 2008: aperta questa breccia, immaginiamo già cosa diranno i padroni nel 2008 sugli operai “privilegiati” delle fabbriche con più di 20 dipendenti.
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Un attacco a tutto campo
Questi sono soltanto i primi fuochi della battaglia tra lavoratori e padronato. Al momento non è ancora facile prevedere quanto lontano si spingerà il governo. Il successo della manifestazione del 5 febbraio è un campanello d’allarme per la classe dominante. Padronato e governo hanno paura di cementare un’alleanza nell’azione tra lavoratori del settore pubblico e di quello privato, elemento che purtroppo è spesso mancato nelle lotte degli ultimi dieci anni in Francia. Inoltre, nei piani del governo c’è anche la privatizzazione di varie industrie pubbliche (Edf, elettricità, Gdf, gas ed altre) e la convocazione di un referendum sulla Costituzione Europea. Con un’agenda così fitta di fronti su cui dare battaglia è possibile che qualche progetto sia per il momento rinviato.
La situazione del governo è stata resa peggiore da un inaspettato movimento studentesco che ha portato in piazza 100mila studenti il 10 febbraio (40mila a Parigi, 8mila a Tolosa). Proprio come sta succedendo in Italia, l’obiettivo della riforma scolastica è di risparmiare soldi ed aumentare la selezione di classe introducendo divisioni crescenti tra i vari tipi di istituti secondari: accentuazione delle differenze del valore dei vari tipi di diplomi e taglio di alcune materie di insegnamento abbassando la qualità della scuola pubblica, salvo alcuni “poli di eccellenza”. In reazione alla manifestazione, il ministro della pubblica istruzione François Fillon ha per ora ritirato dall’agenda governativa alcuni punti più provocatori della sua controriforma affermando di voler prolungare di un paio di mesi “la riflessione”. La scuola resta un settore critico perché il governo vuole sostituire i 73mila dipendenti statali che andranno in pensione nel 2005 con 55-60mila nuovi assunti. Questo comporterà pesanti tagli d’organico di cui 3.400 tagli d’organico riguarderanno la scuola ed i sindacati parlano già di mobilitazione.
Oltre a tutto questo, sviluppi rilevanti si stanno producendo attorno al referendum di maggio sulla Costituzione Europea. Il campo filo-capitalista del “Sì” ha ricevuto un colpo molto duro dal Consiglio Nazionale della Cgt che ha preso posizione per il “No”, smentendo la posizione del suo segretario Bernard Thibault, sempre più filo-padronale. Anche se i sondaggi danno ancora il “Sì” in testa, la campagna per il “No” ha ricevuto un impeto significativo dalla discesa in campo della Cgt. Con una vittoria del “No” in Francia l’ultra-liberale e borghese Costituzione Europea morirebbe ancor prima di nascere.
Qualsiasi cammino sceglieranno Chirac e Raffarin, il prossimo periodo si preannuncia turbolento sotto il segno del ritorno della lotta di classe!