Amazon (una delle più famose aziende di commercio elettronico), chiamata ripetutamente in causa per le condizioni schiavistiche di lavoro applicate nei suoi magazzini, sta rapidamente diventando il simbolo di tutto quello che di più negativo c’è nella cosiddetta new-economy.
Intervistati sulle loro condizioni di lavoro, i lavoratori di una sede Amazon vicino Allentown (Pennsylvania, Usa) hanno riferito di essere costretti a sopportare un caldo bestiale dentro il loro magazzino, obbligati a lavorare ad un ritmo insostenibile, costantemente redarguiti per un insufficiente livello di produttività e minacciati di licenziamento.
Su un display è costantemente proiettato il divario rispetto ai risultati di produzione attesi, creando una pressione psicologica insostenibile, il tutto per una paga di undici o dodici dollari all’ora, in un deposito dove si lavora a temperature soffocanti.
I lavoratori nei magazzini di Amazon sono divisi in quattro gruppi: quelli che lavorano sulle linee di ricezione e su quelle di imballaggio (due diversi gruppi) controllano e scansionano i prodotti che arrivano da tutto il mondo o predispongono gli ordini dei clienti. Un altro gruppo, in un’altra parte del magazzino, sistema i prodotti che arrivano dai fornitori. L’ultimo gruppo, i “raccoglitori”, gira coi carrelli e raccoglie gli ordini dei clienti dalle navate laterali del magazzino.
Uno specifico software di Amazon calcola il percorso più efficiente a piedi per raccogliere tutti i prodotti per riempire un carrello e poi dirige semplicemente il lavoratore da uno scaffale all’altro, tramite istruzioni sullo schermo del dispositivo navigatore satellitare portatile.
Amazon può ottenere questa combinazione di condizioni di lavoro impossibili e bassi salari attraverso la ricattabilità dei lavoratori interinali che garantiscono lo stoccaggio di prodotti immagazzinati da utilizzare nel caso in cui i lavoratori assunti a tempo indeterminato abbiano quelli che vengono considerati da Amazon come degli inaccettabili cali di produttività (che in realtà sono solo le conseguenze delle intollerabili condizioni di lavoro imposte dal colosso americano).
Le pratiche di Amazon sono vergognose anche in Germania (il secondo mercato di Amazon dopo gli Stati Uniti) dove affluiscono lavoratori in affitto da tutta Europa.
Un documentario del febbraio 2013 mostra diversi abusi che vanno oltre la pretesa di ritmi insostenibili e la stretta sorveglianza dei dipendenti. Un boss di un’agenzia di vigilanza, sospettato di legami con ambienti neo-nazisti, è stato sorpreso in atteggiamenti intimidatori nei confronti di lavoratori interinali provenienti da Spagna e Portogallo, spesso alloggiati in condizioni di fortuna.
Prima di Natale, per protestare contro le condizioni di lavoro nei magazzini di Amazon in Germania, è stato proclamato uno sciopero che si è concentrato in tre centri di distribuzione, rivendicando salari più alti e condizioni di lavoro migliori.
Ad iniziare la mobilitazione sono stati seicento dipendenti del più grande centro logistico di Amazon, quello di Bad Hersfeld. Stessa linea seguita dagli addetti del centro di distribuzione di Lipsia e da quelli di un terzo magazzino in Baviera. Secondo il sindacato Ver.di, all’agitazione hanno aderito oltre 1.600 lavoratori.
Il sindacato chiede l’applicazione del contratto dell’industria e l’adeguamento dei salari a quelli del settore del commercio e delle consegne postali, dove Amazon impiega gran parte dei suoi dipendenti.
Quella di Amazon non è l’unica vertenza ma solo quella di maggior rilievo di un periodo di radicalizzazione della lotta di classe in Germania.
Secondo l’istituto di statistica Statista, dal 2010 al 2012 le aziende tedesche toccate da scioperi sono aumentate quasi del 200% ed il numero di lavoratori coinvolti è stato di ben 1,2 milioni nel 2012, sei volte di più che nel 2011, con una grossa partecipazione anche nel settore pubblico (circa 300mila).
* Le informazioni su cui si basa l’articolo sono tratte da un dossier di nakedcapitalism.com