Giovani Comunisti
Si è aperta ufficialmente la Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti, l’organizzazione giovanile di Rifondazione. Questa scadenza acquisisce enorme importanza. Un’inversione di linea della principale organizzazione giovanile comunista in Italia non è rinviabile. La ripresa delle mobilitazioni sociali in Italia e a livello internazionale apre enormi possibilità all’azione ed alle idee dei comunisti. La linea sposata dagli attuali vertici dei Giovani Comunisti ha dimostrato di non essere in grado in nessun modo di capitalizzare tali possibilità.
I Giovani Comunisti arrivano a questa Conferenza come un’organizzazione sostanzialmente sradicata dalle aziende, dalle scuole, dalle università. Di fronte a questa deriva ci sono sembrate del tutto insufficienti le alternative avanzate dai compagni che hanno proposto il secondo e il terzo documento (vedi i riquadri nelle pagine che seguono). Per questo abbiamo presentato il quarto documento.
Il movimento è tutto, il fine è nulla
Per anni ogni scelta moderata del nostro Partito e dei Giovani Comunisti è stata giustificata con l’"assenza del movimento". L’attuale direzione uscente dei Giovani Comunisti è stata eletta nel 1997. Allora si sosteneva seriamente che a causa dell’assenza di movimenti sociali, il Partito dovesse cercare di fare da supplente alle lotte attraverso il condizionamento parlamentare del governo Prodi. Questo tipo di idee ci ha portato a votare favorevolmente misure come l’Autonomia Scolastica, la legge Turco-Napolitano (90.000 immigrati espulsi) e il Pacchetto Treu (introduzione del lavoro interinale e dei contratti a termine). Fa sorridere oggi leggere nel documento presentato dalla direzione uscente (il primo documento) frasi di questo tipo: "La sinistra socialdemocratica italiana degli anni ‘90 (...) ha scelto di sostenere la destrutturazione del mercato del lavoro, contrapponendo tra loro i lavoratori: questi fenomeni hanno subito una decisiva accelerazione con il Pacchetto Treu". Fa sorridere perché questi compagni si sono guadagnati le proprie posizioni dirigenti difendendo a spada tratta quei "100.000 maledetti ma subito" posti di lavoro precari creati dal Pacchetto Treu.
La nostra azione nel movimento antiglobalizzazione
"Un evento si è prodotto, Seattle ha riproposto sulla scena mondiale quello che diventerà da lì a poco il movimento dei movimenti". Questa frase del primo documento riassume il perno fondamentale di tutto il ragionamento della maggioranza. Seattle è l’evento. Tutto quello che viene dopo è un prodotto di Seattle, tutto quello che viene prima è acqua passata. Nonostante a parole i compagni non sappiano dire altro che "movimento, movimento, movimento", nella realtà sulle dinamiche interne al movimento antiglobalizzazione non dicono nulla. Quali idee permetteranno a questo movimento di fare passi avanti? Come mai nei Social Forum è avvenuta un’evidente crisi ed un’involuzione?
Da Seattle a Genova, oltre due milioni di persone hanno preso parte ai diversi cortei antiglobalizzazione. In questo movimento dall’inizio è stata presente una contraddizione tra i mali del capitalismo giustamente denunciati e le soluzioni riformiste proposte dalla direzione del movimento stesso. Va da sé che un movimento che non contesta il singolo aspetto del sistema ma l’intero sistema fosse un’enorme potenzialità per i comunisti per spiegare la propria alternativa. Invece che provare a giocare questo ruolo, i Giovani Comunisti sono entrati nel movimento assorbendo ed orientandosi alle idee riformiste lì presenti.
All’interno del movimento antiglobalizzazione c’è un intero filone di pensiero che teorizza che ci si possa opporre all’egemonia delle multinazionali promuovendo un mercato alternativo basato sull’autoimprenditorialità dal basso, sul Terzo settore no profit, sul commercio equosolidale.
Il prevalere di queste idee ha segnato un arretramento del movimento stesso per una ragione semplice: per applicare queste rivendicazioni non c’è bisogno della lotta di classe ma dell’azione individuale quotidiana. L’idea che l’associazionismo sia la via per cambiare questo sistema ha così letteralmente frammentato l’azione dei Social Forum in mille piccole attività che allontanano dalla lotta per un cambiamento radicale del capitalismo.
Invece che cercare di dare una risposta politica a queste idee scorrette, i vertici dei Giovani Comunisti hanno teorizzato che fosse necessario farsi "contaminare" da tali idee. La teoria della "contaminazione" è tanto sbagliata quanto ipocrita. Sbagliata perché un movimento di massa non è chimicamente puro. Il compito di un’organizzazione comunista dovrebbe essere quello di promuovere le idee più avanzate all’interno di ogni movimento, contribuendo politicamente a superare le idee più arretrate. Ipocrita perché i Giovani Comunisti non si sono fatti contaminare dalle idee genericamente presenti nel movimento.
Hanno fatto una scelta di campo ben precisa. Si sono gettati a rimorchio di Ya Basta e delle Tute Bianche (con cui hanno in seguito formato il Laboratorio dei Disobbedienti), scordando un piccolo particolare: Ya Basta e le Tute Bianche non sono il movimento. Sono strutture politiche che lottano per diffondere le proprie concezioni.
I nostri dirigenti, quindi, hanno raccomandato ai comunisti di lasciare a casa le proprie proposte politiche. In compenso hanno contribuito a propagandare quelle di Casarini e compagnia.
Il secondo forum di Porto Alegre
Il primo documento si scaglia contro la pretesa egemonica dei comunisti sul movimento antiglobalizzazione. Tutto questo viene fatto in nome dell’"autonomia dei movimenti". Se con autonomia dei movimenti si intende che il nostro partito non deve imporre la propria linea con imposizioni organizzative, siamo d’accordo. Se, invece, si intende che un movimento elabori le proprie idee senza l’intervento di nessuna forza esterna, questa presunta autonomia non esiste e non esisterà mai. La borghesia evidentemente non è tanto rispettosa quanto noi dell’autonomia dei movimenti: quando non riesce a vincerli con la repressione, interviene e cerca di egemonizzarli con le proprie concezioni. Se noi abdichiamo al tentativo di propagandare le nostre idee, altri propaganderanno le proprie.
Questo è stato lampante a Porto Alegre. Il Secondo Forum Sociale mondiale ha visto lo sbarco di amministratori locali e parlamentari per influenzare la parte propositiva del movimento. Questo si è riflesso in un programma che sposta tutta la lotta al capitalismo sul terreno delle municipalità, delle amministrazioni locali. Invece che un altro mondo, si prospetta un mondo capitalista con un forte federalismo fiscale, un Parlamento globale, un potere consultivo delle popolazioni sull’8% dei miseri bilanci comunali. Si moltiplica la produzione di propaganda da parte della borghesia per dimostrare che uno sviluppo sostenibile è possibile sotto il capitalismo. Questo è evidente con la Conferenza dell’Onu di Johan-nesburg sullo sviluppo sostenibile. Il Sole 24 Ore commenta la situazione dell’Africa: "Si possono coniugare profitti e reddittività delle aziende con il benessere sociale ed ambientale? In Africa credono proprio di sì. Tanto che da due anni in Africa è attiva l’African Istitute of Corporate Citizenship con lo scopo di creare i migliori rapporti possibili tra imprese e la realtà sociale".
La contraddizione capitale-lavoro
Se veramente avessimo voluto sviluppare il movimento, ci saremmo dovuti attrezzare per impedire il diffondersi di tali idee, battendoci politicamente perché altre fossero le idee egemoni. Una cricca di capitalisti controlla il mercato mondiale. 30.000 aziende determinano con le proprie scelte il destino della vita di miliardi di persone. Qui risiede il nodo decisivo: quello della proprietà privata. L’unico obiettivo coerente che il movimento antiglobalizzazione potesse darsi era andare a toccare le leve decisive dell’economia e della finanza a livello mondiale, espropriando le principali multinazionali per porle sotto il controllo democratico di consigli dei lavoratori democraticamente eletti. Questo è quello che definiamo socialismo.
L’unica classe che tutt’oggi sia in grado di portare avanti questo compito è il proletariato per il proprio ruolo insostituibile nella produzione. Questo punto sfugge completamente ai nostri vertici che per anni si sono fatti influenzare dalle teorie che sostenevano che il proletariato fosse frantumato, inesistente o comunque non più in grado di sviluppare una propria lotta.
Queste dispute teoriche vengono chiuse dalla realtà. 13 milioni di lavoratori italiani hanno scioperato il 16 aprile mentre il 20 giugno sarà la volta dello sciopero generale in Spagna.
I sostenitori della "fine della classe operaia" non possono che ripiegare su una posizione più sobria: il movimento operaio esiste ma va comunque creato un "nuovo movimento operaio". È difficile dire di cosa si tratti.
Quello che è chiaro è che, mentre si chiacchera sul "nuovo movimento operaio", il radicamento dei Giovani Comunisti nel movimento operaio reale è completamente inesistente.
Il Laboratorio dei Disobbedienti
Gli errori teorici vengono pagati nella vita reale. La prospettiva dei vertici dei Giovani Comunisti è che la radicalità espressasi a Genova sarebbe continuata sul terreno della Disobbedienza Sociale. Su questa base hanno stretto un accordo politico con l’ala destra dei centri sociali. Su cosa si regge questo accordo? Sulla Disobbedienza. Cerchiamo di definire cosa sia questa miracolosa forma di lotta. Per farlo non possiamo che lasciare la parola ad uno dei principali teorici tra i sottoscrittori del primo documento, Anubi D’Avossa Lussurgiu: "Allora cos’è la Disobbedienza? È un momento di produzione di moltitudine. Quando noi disobbediamo, ci produciamo come moltitudine, perché le procedure del controllo È del dominio che scorrono continuamente sulla cooperazione sociale, sulla moltitudine per revocarne la potenza, che cosa fanno se non (tentare di È riuscire a) far recedere la moltitudine allo stadio della molteplicità (come sosteneva Bascetta analizzando l’agire produttivo della moltitudine e i suoi statuti così come imposti dal dominio -la separazione tra proprietari e non proprietari, che esiste all’interno della moltitudine)?" (dal sesto tavolo del seminario ControImpero). Ammettiamo che il senso ci sfugge, ma offriamo 100 euro a chiunque sarà in grado di trovare almeno tre frasi con senso compiuto in ogni pagina del testo da noi citato (reperibile sul sito nazionale dei Gc).
In realtà il Laboratorio dei Disobbedienti non si regge su nessun accordo di principio chiaro. Su questa base questo accordo si romperà tra le recriminazioni reciproche. La logica che guida buona parte dei dirigenti dei Disobbedienti è come ritagliarsi visibilità, in chiave istituzionale e mediatica. Parte dei dirigenti dei Disobbedienti ha trovato rifugio nelle liste comunali di Rifondazione, come per esempio a Genova. Questo è il dibattito di principio che attraversa questo laboratorio! Tale situazione di crisi è ammessa implicitamente nel primo documento: "Il movimento dei disobbedienti vive oggi una situazione contraddittoria: da un lato ha in potenza una partecipazione enorme, dall’altro non riesce ad uscire dalla rappresentazione di sé stesso (...) ma rischia di presentarsi troppo come l’espressione di una soggettività politica chiusa".
Lo sciopero generale ed il ruolo dei comunisti
In realtà la radicalità espressasi a Genova non è continuata sul terreno dei gesti simbolici ed eclatanti proposti dai Disobbedienti. Mentre centinaia di nostri attivisti venivano tenuti impegnati a progettare blitz spettacolari, giornate nazionali della Disobbedienza Sociale, nelle aziende si preparava lo sciopero generale. Ecco il prezzo che paghiamo: mentre a parole si ripeteva "movimento, movimento, movimento", i nostri attivisti non venivano impegnati in un lavoro di propaganda e radicamento sul terreno in cui il movimento si stava sviluppando: nelle aziende e negli scioperi. Questo ha completamente lasciato il terreno libero a Cofferati ed alla burocrazia Cgil per recuperare rapidamente autorità tra i lavoratori. Ricade sulla direzione del Partito la responsabilità di non essere stato in grado di intercettare l’ambiente di risveglio nelle aziende. Il nostro ruolo nelle aziende in preparazione dello sciopero è stato insufficiente. Al Congresso nazionale Cgil Bertinotti non era nemmeno presente. In compenso i compagni di Rifondazione nella sinistra sindacale hanno chiuso quel Congresso votando in maniera acritica il documento finale di Cofferati. Un documento che rivendicava dieci anni di concertazione. Come sempre la nostra direzione non prepara il movimento e quando il movimento esplode in tutta la sua forza si accoda alle posizioni già presenti.
Che fare?
Questi errori hanno sviato la nostra organizzazione dal contatto con il movimento di massa. Se avessimo distribuito un volantino nelle aziende per ogni volta che i vertici dei Giovani Comunisti hanno pronunciato negli ultimi due anni la parola "movimento", avremmo inondato tutte le imprese italiane. Ma dietro il movimentismo c’è stato solo l’arroccamento dei nostri attivisti in forme di lotta sterili, settarie o comunque lontane dalle necessità dei giovani lavoratori, studenti e disoccupati. Un passo avanti in questa direzione rischia di lasciare la nostra organizzazione sospesa in aria. Per questo è necessario un cambio di rotta: per questo abbiamo presentato il quarto documento alla Conferenza.
Cofferati convoca oggi enormi mobilitazioni. Lo fa nel tentativo di recuperare delle condizioni adeguate per la concertazione. Nelle aziende il comportamento della burocrazia sindacale rimane concertativo. I contratti continuano ad essere firmati al ribasso, i tempi di lavoro rimangono soffocanti, le condizioni di salute inaccettabili, il precariato continua a dilagare. Possiamo porci l’obiettivo di dare uno sbocco politico allo scontento che cova in ogni singola azienda, avanzando un programma complessivo che vada oltre la semplice questione dell’articolo 18. La richiesta di un Salario Minimo Intercategoriale, di recuperi salariali adeguati all’inflazione reale, della difesa intransigente del sistema pensionistico pubblico così come la richiesta principe di trasformare immediatamente tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato possono suscitare un interesse immediato.
Nelle aziende c’è stato un ricambio generazionale. La classe operaia vede al suo interno moltissimi giovani. Giovani che hanno poca esperienza ma anche poche bruciature derivanti dalle sconfitte passate. Sta a noi organizzarli. Ogni coordinamento dei Giovani Comunisti uscito da questa Conferenza dovrà mettere a tema un lavoro di costante radicamento nelle aziende, con volantinaggi regolari, scatenando vertenze e puntando a far eleggere come delegati sindacali i nostri giovani lavoratori. I vecchi delegati sindacali presenti nelle Rsu riflettono l’ambiente che c’era nelle aziende in passato. perché la lotta sindacale si doti di una direzione combattiva, dobbiamo rivendicare il rinnovo di tutte le Rsu, discutendo attentamente la campagna elettorale in ogni azienda.
All’interno degli scioperi dobbiamo porre chiaramente la questione della caduta del Governo. Il nostro Partito, e a rimorchio immancabilmente i vertici dei Gc, si rifiuta di avanzare tale proposta. "I tempi non sono maturi per la caduta del Governo" ci si dice. Ma quando mai saranno maturi finché non porremo la questione? I tempi in compenso sono sempre maturi per ripetere: "movimento, movimento, movimento, disobbediamo, disertiamo, amiamo".
Organizzare i precari
Per cercare di ritagliarsi una nicchia nei confronti della direzione Cgil di Cofferati, i Disobbedienti ora puntano ad organizzare i precari. L’idea di organizzare i precari separatamente dal resto della classe è già sbagliata di principio. Ma cosa hanno organizzato finora? Nelle poche vertenze di precari che si sono sviluppate a livello nazionale, abbiamo osservato come gli stessi lavoratori precari si orientino verso le strutture classiche dei lavoratori. Si iscrivono al sindacato, non "attraversano" il Laboratorio per la Disobbedienza Sociale. Tutti i quattro documenti parlano della vertenza precari della Tim di Bologna. Ma come è andata quella vertenza? Gli interinali hanno eletto dei propri delegati sul modello del resto dei lavoratori. Hanno lottato cercando di connettersi con il resto della classe. Hanno trovato un proprio punto di riferimento in alcuni compagni dei Giovani Comunisti e non nelle date fantasma lanciate dai Disobbedienti. Molti interinali si sono iscritti al Nidil-Cgil dove tutt’ora sono impegnati nel difendere il responsabile Nidil dagli attacchi della burocrazia: un giovane comunista che ha condotto in maniera coerente quella vertenza e che per quello oggi lotta contro la rimozione dal suo incarico (con un silenzio assordante da parte della sinistra sindacale tra cui molti compagni del nostro Partito, disobbedienti a tutto, ma non alla Segreteria della Camera del Lavoro).
Aggiungiamo che anche gli immigrati, parte fondamentale della classe lavoratrice, oggi cercano di connettersi con il resto della classe. Lo sciopero di Vicenza è esemplare: non vengono con noi a smontare per un paio d’ore un Centro di Permanenza Temporanea ricostruito il giorno dopo, scioperano con i propri compagni di lavoro per costringere la classe dominante italiana a smantellare tutti i centri-lager.
Orientamoci ai call-center, agli interinali, ai McDonald’s non per distribuire le salamelle ma per sindacalizzarvi i lavoratori. I nostri programmi saranno incisivi solo quando incontreranno la classe e quando provocheranno scioperi e danni ai profitti delle multinazionali che vogliamo combattere.
Il movimento studentesco
Per quanto riguarda il lavoro tra gli studenti tutti gli altri documenti della Conferenza si limitano a ripetere che è necessario costruire collettivi nelle scuole. Siamo d’accordo, ma i collettivi non nascono evocandoli. Quale programma e quale azione ci permetterà di farli crescere? Il terzo documento abbozza un programma studentesco. Ne diamo atto ai compagni.
Il secondo documento non ci pensa minimamente: sembra che per i compagni i collettivi nasceranno ripetendo la parola rivoluzione. Il primo documento accenna agli obiettivi che si dovrebbero porre dei collettivi studenteschi: obiettivi sbagliati o addirittura opportunisti. Ci sembra significativa la proposta secondo cui i collettivi dovrebbero "contribuire alla riuscita del referendum contro la legge di parificazione allargando ad altre realtà studentesche". Alla faccia del movimento che si sviluppa spontaneamente! I nostri attivisti dovranno piegare l’attività dei collettivi non alla necessità di preparare le lotte, gli scioperi studenteschi, le occupazioni ma a piegare i collettivi alla campagna referendaria che il nostro Partito ha avventurosamente lanciato. Questa vicenda ci ricorda terribilmente il referendum in Emilia Romagna contro la legge Rivola di parità scolastica. Per mesi abbiamo impegnato gli studenti non nel radicamento dei collettivi ma nei banchetti referendari. La lotta contro la legge Rivola nel ‘99 aveva portato in piazza diverse migliaia di studenti, ma la Giunta Regionale ha avuto buon gioco nell’impantanare tutto il movimento indicando il 2001 come scadenza per il referendum. Rifondazione stessa ha poi accettato che il referendum non si tenesse in cambio di una nuova legge, la legge Bastico che introduce comunque i finanziamenti alla scuola privata, semplicemente in quantità minore rispetto alla Rivola. Naturalmente abbiamo votato a favore della Bastico. Del resto siamo in Giunta ed abbiamo un assessore al turismo. Un assessore val bene la parità scolastica.
Nel documento di maggioranza emerge poi che l’obiettivo dei collettivi dovrebbe essere "utilizzare i fondi messi a disposizione dall’autonomia per finanziare iniziative sui saperi" ed ancora "cominciare a proporre concretamente un uso a noi funzionale dell’autonomia finanziaria". L’Autonomia Finan-ziaria è il progetto di privatizzazione della scuola e dell’università. Usarla in maniera funzionale vuol dire innanzitutto rinunciare a combatterla, in secondo luogo sfruttare quelle piccole crepe di gestione privatistica aperte dall’Autonomia. Metterci a fare in piccolo ciò che le aziende faranno in grande. Così mentre noi facciamo convegni sui saperi, le aziende spadroneggiano negli istituti e nei corsi di laurea.
Legare i collettivi ai fondi dell’autonomia vuol dire abbandonare la lotta contro la privatizzazione della scuola. Il problema che rimane aperto ed a cui nessuno degli altri documenti della Conferenza risponde è: come faremo ad unificare le lotte delle singole scuole, delle singole città, dei singoli atenei in un’unica mobilitazione nazionale in grado di vincere? Dal nostro punto di vista è irrimandabile la creazione di una struttura nazionale studentesca che cerchi adesione dei singoli studenti e dei collettivi su basi programmatiche chiare. Nel primo documento si parla della creazione di una struttura nazionale. Ma con quali obiettivi? "Una struttura studentesca nazionale in grado di avere contributi dagli atenei e dai provveditorati".
Compagni, la scuola è allo sfascio: arraffiamo ciò che cade dal tavolo. È questo il programma per la scuola pubblica?
Il problema della democrazia
Questa Conferenza dovrà affrontare anche il metodo attraverso cui la base dei Giovani Comunisti terrà un controllo dal basso sulla propria direzione. La questione non la poniamo noi, la pongono i fatti. La Conferenza Nazionale doveva essere tenuta nel ‘99. Il Coordinamento Nazionale l’ha rinviata per tre anni, con il voto contrario soltanto dei sottoscrittori del quarto documento. È questo il nuovo modello di partito? La linea viene decisa e la base la discute dopo tre anni. Nel ‘99 si è prodotto "l’evento", Seattle.
Nel 2002 i Giovani Comunisti possono discutere della linea applicata dal ‘99 in poi! Anche questo è un evento!
Nel primo documento incredibilmente si dice: "troppi anni sono passati dall’ultima Conferenza nazionale". Ve ne siete accorti, compagni! Siete voi che l’avete rinviata per tre anni consecutivi! Nel secondo documento c’è un silenzio assordante sulla questione.
I compagni erano così impegnati a fare declamazioni rivoluzionarie che quando nell’ottobre scorso la direzione dei Giovani Comunisti ha proposto l’ennesimo rinvio della Conferenza, si sono scordati di votare contro. Anzi, hanno proprio votato a favore del rinvio. Il terzo documento propone la via del decentramento per impedire che il prossimo Coordinamento Nazionale sia autoreferenziale. Crediamo non sia questa la soluzione. Il decentramento non è sinonimo di maggiore controllo dal basso. Si produrrebbero tanti piccoli coordinamenti autoreferenziali.
Per questo durante la Con-ferenza sarà necessario discutere anche regole democratiche chiare tra cui:
• possibilità di convocare la Conferenza Nazionale tramite raccolta di firme tra gli iscritti.
• i dibattiti del Coordinamento Nazionale devono essere pubblicati sul quotidiano del Partito
• dopo due anni il Coordi-namento Nazionale decade automaticamente. Nessuna sua decisione è più legittima
• Conferenze Nazionali dei Giovani Comunisti ogni due anni, come prevede lo Statuto.
La questione democratica è parte integrante della nostra battaglia politica per la trasformazione dei Giovani Comunisti in un’organizzazione che meriti di chiamarsi rivoluzionaria.
Critica al secondo documento
"Per l’egemonia del progetto rivoluzionario tra i giovani"
Una conferenza dei Giovani comunisti dovrebbe, almeno secondo logica, affrontare i problemi dell’intervento dei Giovani comunisti. Naturalmente siamo gli ultimi a proporre una logica "separatista" o a negare il legame fra l’intervento fra i giovani e la politica generale condotta dal Prc. E tuttavia, il limite più evidente del secondo documento è la sua sostanziale incapacità di tracciare un bilancio convincente dell’attività dei Gc in questi anni e di proporre una linea d’intervento praticabile, alternativa ovviamente a quella della "disobbedienza" proposta dalla direzione uscente.
Il testo, firmato dai compagni Madoglio, D’Alesio, Meloni e Sicilia, si compone di 11 capitoli. I primi sei, che coprono circa i tre quarti del testo, sono una faticosa parafrasi di concetti e idee già espressi nel congresso del Prc (che, non si è tenuto un secolo fa, ma è terminato da meno di due mesi). Il lettore che si incammini nella lettura verrà così doverosamente informato che il capitalismo è in una fase di crisi e che provoca guerre, povertà e barbarie; che l’unica reale alternativa è il socialismo internazionale; che tutt’oggi continua ad esistere l’imperialismo, così come pure esiste la lotta di classe (...).
Fin qua trovano il nostro accordo e si procede senza scosse, a patto naturalmente di non pretendere di imparare qualcosa di nuovo. (...)
Giunti infine alla pagina 20, capitolo 7, finalmente leggiamo qualcosa sull’intervento di Gc nelle giovani generazioni. Questi tre capitoli mostrano chiaramente che il documento è stato scritto da compagni animati dalle migliori intenzioni ma sostanzialmente digiuni da qualsiasi intervento sistematico, sia nei Gc che nei movimenti.
Sulla scuola e l’università, la parola d’ordine centrale che agitano è la costruzione dei collettivi studenteschi. Come se in questi anni i Gc avessero fatto altro che questo. (...) L’idea che il nostro intervento universitario e studentesco sia stato frenato perché prevaleva il tentativo di "condizionare dall’interno l’operato di organizzazioni come l’Udu" è assolutamente fantastica. Se è vero che circa sei anni fa qualche compagno dei Gc ipotizzava un intervento (su basi opportuniste) nell’Uds o nell’Udu, questa posizione è stata rapidamente abbandonata. Il problema è in realtà ancora più drammatico: finché c’è stata nelle scuole e nelle università una certa mobilitazione i Gc si sono limitati a seguirla; quando questa si è esaurita, hanno semplicemente voltato le spalle a questo lavoro.
Dire "bisogna rompere con Udu e Uds" non serve a molto: serve invece sviluppare un intervento e mostrare sul campo che è possibile costruire in questo settore decisivo. Ma questo non pare interessare gli estensori, che non a caso non indicano alcuna proposta programmatica per l’intervento studentesco.
Oltretutto, come si spiega nel quarto documento da noi sostenuto, le organizzazioni giovanili legate ai Ds e alla Cgil (Uds, Sinistra giovanile, Udu - seppure quest’ultima ancora in misura ridotta) sono in evidente ripresa di consensi, come si è visto nelle manifestazioni di questi mesi e come spieghiamo nel nostro documento. Il problema di "rompere" con queste organizzazioni "irriformabili" è tutto sommato facile da risolvere fino a che la rottura si deve esercitare nella testa dei quattro estensori del documento; un po’ più complicato è fare in modo che a rompere non siano solo i nostri letterati, ma anche le migliaia di giovani che potrebbero nel prossimo periodo, anche a causa degli errori dei Gc, orientarsi a queste organizzazioni cercando di usarle come un veicolo di mobilitazione.
Altrettanto vaga (e anche scorretta) è la parte sul precariato. Secondo i compagni, i precari sono semplicemente la preda elettorale della destra. Il fatto che in molti settori i lavoratori precari si stiano rapidamente avvicinando al sindacato, che siano stati presenti massicciamente nelle piazze del 23 marzo e del 16 aprile, le esperienze significative di organizzazione sindacale degli interinali e di altri settori di precari, tutto questo passa sotto silenzio. (...) Ci si ritiene soddisfatti di denunciare gli errori della maggioranza. Del resto, questo è un dibattito che nella sinistra del Prc non è certo cominciato oggi: da sempre i compagni che oggi si riconoscono nel secondo documento hanno teorizzato che il compito della sinistra del Prc non è quello di far seguire i fatti alle parole, ma è solo di fare proposte per vedersele respingere dalla maggioranza.
Tanto altisonante è la critica generale alle posizioni di maggioranza, tanto timida è la critica sul terreno organizzativo. Dell’assoluta mancanza di democrazia nei Gc, della gestione antidemocratica del coordinamento, del sistema delle cooptazioni, dei rinvii innumerevoli della conferenza non si parla. Non se ne parla per l’ottima ragione che i compagni D’Alesio e Madoglio sono stati consenzienti a questo andazzo. Le proposte organizzative si limitano alla richiesta di maggiori finanziamenti per i Gc e di maggiore spazio sul quotidiano del partito. Duri e intransigenti nelle parole, morbidi e accomodanti nei fatti.
I problemi più scottanti del dibattito rimangono ai margini del documento; la critica alla "disobbedienza", sia essa "civile" o "sociale", è vaga e sfumata (...). L’analisi dei Social forum e dello sviluppo del movimento dimostra a sua volta una completa mancanza di conoscenza dello stato reale delle cose, la proposta di strutturazione democratica dei Sf aveva un senso mesi fa, nella fase ascendente del movimento, ma è del tutto superata oggi, quando la maggior parte dei Sf, soprattutto nelle città più importanti e a livello nazionale si sono ormai cristallizzati in intergruppi e vedono una rapida involuzione politica, organizzativa e di influenza mentre il terreno della mobilitazione si sposta sempre più sullo scontro sociale.
(...) Il secondo documento andava a nostro avviso titolato in modo diverso: non "Per l’egemonia del progetto rivoluzionario tra i Giovani", ma "Bentornati compagni!". Perché in effetti, giunti al termine della lettura, la vera domanda che rimane senza risposta è: ma voi, compagni D’Alesio Madoglio, Meloni e Sicilia, in tutti questi anni dove diavolo siete stati?!?
Il testo integrale si può
trovare su www.marxismo.net
Critica al terzo documento: Giovani E Comunisti
Il terzo documento "Giovani E Comu-nisti" è sicuramente un contributo serio (anche documentato in molte parti) ma dal contenuto profondamente riformista. Al suo interno viene riproposta la linea delle "quattro tesi alternative" di Grassi-Sorini e altri, su argomenti fondamentali quali l’imperialismo, il ruolo dello stato, la questione nazionale, l’analisi della globalizzazione, la funzione della classe lavoratrice.
La prima parte del documento ha come titolo "il conflitto e la natura distruttiva del liberismo", secondo una classica impostazione riformista l’oggetto della critica non è il capitalismo in quanto tale ma il liberismo, da cui se ne deduce che l’applicazione di politiche keynesiane potrebbero avere un ruolo progressivo. Quelle stesse politiche keynesiane che oggi vengono proposte da Bush nel tentativo di contrastare la recessione economica senza che questo determini alcun miglioramento nelle condizioni di vita delle classi subalterne.
I compagni si lamentano perchè c’è stata la "riduzione progressiva dei sistemi di controllo statale sui movimenti di capitale e la stipulazione di una serie di accordi bi o multilaterali (come il Nafta o Maastricht)" diffondendo l’illusione che in passato gli stati nazionali abbiano avuto un ruolo di tutela sociale. Le contraddizioni emergono anche in altri punti, mentre nel documento si dice che il Fmi, la BM e il WTO fanno da paravento per "l’asservimento di regioni, stati e interi continenti agli interessi delle grandi potenze" più volte compagni come Sorini hanno rivendicato l’entrata della Cina nel Wto, "un organismo da cui sarebbe velleitario prescindere...".
Secondo i compagni la ristrutturazione capitalista avrebbe "ridefinito il ruolo dello stato che -attraverso l’abbattimento dello stato sociale - finisce per riprendere la sua fisionomia ottocentesca di <<Stato gendarme>>: uno stato che non interviene più nell’economia, che abdica a qualsiasi funzione di riequilibrio sociale, che delega gran parte delle sue funzioni al privato, limitandosi ad essere il braccio armato e giuridico del capitalismo o - per usare una vecchia definizione marxista assai attuale - il comitato d’affari della borghesia"
Salta agli occhi l’impostazione riformista-keynesiana (ci si lamenta perchè lo stato non interviene più nell’economia in funzione del riequilibrio sociale), questa idea rompe completamente con la concezione marxista, che considera lo stato uno strumento dell’oppressione sociale, sempre e comunque. Questo non solo era vero nell’800 o nei tempi recenti ma lo è sempre stato come dimostra l’esperienza internazionale del movimento operaio. (...)
Le questioni internazionali
In questa parte del documento si critica (dicendo cose anche condivisibili) la posizione di Bertinotti sull’imperialismo rivendicando l’attualità dell’elaborazione leniniana. Fin quì ci siamo. Ma subito dopo arrivano i mal di pancia: si inizia col dire che la crescita economica di Russia, Cina, India, Brasile, Indonesia determina delle spinte "a un mondo multipolare, non sottomesso alla superpotenza Usa... fino ad assumere l’aspetto e la consistenza di una nuova ondata di resistenza internazionale".
Si parla inoltre "degli sforzi della Libia e del Sudafrica di consolidare uno spazio economico e geopolitico africano, autonomo e coeso" (...)
Seppure in modo soft la linea è quella che ha sempre caratterizzato quest’area: costruire un nuovo internazionalismo aggregando stati, governi e movimenti presuntamente "non allineati".
"Un movimento mondiale per la pace" come viene definito nel documento nel quale entrerebbero a far parte quegli stati che reprimono brutalmente la classe lavoratrice e le proprie minoranza etniche (come la Russia o l’India) o quei partiti comunisti (in realtà stalinisti e totalitari) che governano in Cina guidando la restaurazione capitalista a spese del proletariato e dei contadini sottomessi a una vera e propria dittatura. (...)
Bilancio dei governi di centro-sinistra
I compagni, del tutto correttamente, denunciano le responsabilità del centrosinistra che in questi anni ha spianato la strada alle destre provocando un travaso di ricchezza dalle tasche dei lavoratori a quelle del grande capitale.Vengono citati dati interessanti che riportiamo:"Tra il 1996 e il 1997, a fronte di un raddoppio del fatturato delle imprese rispetto all’aumento del costo del lavoro (6,1% del primo contro il 2,3% del secondo) e a fronte di un aumento del valore aggiunto per addetto (del 3,4%), si ha una riduzione in Italia degli investimenti dello 0,1% e degli occupati dello 0,3%."
Guarda caso il governo che ha permesso alla borghesia di ottenere questi meravigliosi risultati era quello guidato da Prodi che vedeva il Prc nella sua maggioranza parlamentare. Chi oggi sostiene il terzo documento (o il primo) per la Conferenza dei GC ha condiviso quelle scelte e non le ha mai messe in discussione. Su questo i compagni non hanno niente da dire. (...)
La critica alla disobbedienza e le proposte organizzative
Il documento ribadisce il ruolo centrale della classe operaia e di conseguenza critica la pratica della disobbedienza sociale anche se in modo molto sfumato. Ad esempio i contenuti del Forum di Porto Alegre, secondo i compagni, "segnano nitidamente la possibilità reale di rialzare la testa, dopo anni di sconfitte e arretramenti". Non c’è segno di critica ai social forum che vengono indicati come gli strumenti che riescono a declinare i movimenti di massa sul territorio. (...) Nella parte sulle proposte organizzative emerge la concezione istituzionalista di quest’area che tende a sopravvalutare gli aspetti elettoralistici in tutti gli ambiti (...). Questo si vede anche in una proposta considerata fondamentale (richiamata persino nell’introduzione) che è di formalizzare i livelli regionali dei giovani comunisti dando "autorevolezza" ai responsabili. Si giustifica la proposta con l’argomento che c’è stata una "rimodulazione regionale di molti poteri dello Stato" come se un partito comunista dovesse modellare le proprie strutture su quelle dello stato borghese. Quando parlano di "decentramento" la logica che sembra guidare i compagni è quella federalista. (...) Riassumendo: il terzo documento ha le sue parti migliori quando critica la svolta movimentista e "modaiola" (come loro la definiscono) intrapresa dai GC, ma è nettamente fuori strada quando tenta di opporre a quella linea una concezione del tutto simile a quella del vecchio Pci: gradualista, istituzionale e riformista, anche se mascherata dietro continui riferimenti a Marx, Engels, Lenin e Gramsci.
Come dire niente di nuovo sotto il cielo.
Il testo integrale si può trovare su www.marxismo.net