La lotta di classe in Grecia prosegue. Ad Atene lo sciopero generale dei trasporti pubblici è abortito dopo cinque giorni quando il governo ha costretto i lavoratori a riprendere il lavoro utilizzando la legislazione reazionaria ancora in vigore sin dall’epoca della dittatura. Una settimana dopo la stessa sorte è toccata ai marittimi. Il governo di Samaras riprende coraggio e passa all’offensiva. Solo quest’anno nel settore pubblico verranno distrutti non meno di 25mila posti di lavoro per effetto dell’accordo preso con la troika. Eppure dai dirigenti sindacali non è ancora giunta una risposta seria.
Negli ultimi tre anni la Grecia ha visto non meno di 21 scioperi generali di 24 ore e tre di 48 ore. Il numero di giornate perse negli scioperi generali assomma a circa un mese. Queste cifre non comprendono i numerosi scioperi parziali e di diverse categorie. Il problema è che questi sono stati in ordine sparso, perdendo molto del loro impatto potenziale. Come accade per il vapore, che se non viene concentrato in un cilindro a pistone si disperde nell’aria, così gli scioperi e le manifestazioni devono essere centralizzati, pena diventare inefficaci o, peggio, controproducenti. I lavoratori questo già lo capiscono.
I lavoratori greci hanno dimostrato un grandissimo spirito combattivo. Cosa si potrebbe chiedere di più? Hanno già fatto tutto ciò che era in loro potere per fermare l’assalto contro i loro salari, diritti e condizioni di vita. Ma la ripetizione costante degli scioperi di 24 ore genera qualcosa di simile alla legge dei rendimenti decrescenti. Ogni volta che i lavoratori vengono chiamati in piazza sono meno certi che questo avrà un effetto sul governo. Quella che inizialmente era una manifestazione di forza diventa, lentamente ma sicuramente, una dimostrazione di debolezza. Anziché innalzare la fiducia e lo spirito combattivo delle masse, gradualmente si sgonfia.
Il governo si mantiene fermo mentre gradualmente la volontà di lotta dei lavoratori viene dissipata. “Perché scioperare e perdere un giorno di paga se non si ottengono risultati?” Questa sarà oggi la reazione di molti lavoratori greci. C’è un sentimento di stanchezza, persino di impotenza, che è il risultato logico di un esercizio ripetuto più volte senza condurre a nulla. Solo questo, e nient’altro, spiega la partecipazione relativamente debole all’ultimo sciopero generale. Un commento è stato: “Non sembrava uno sciopero generale”. Non è sorprendente, molti lavoratori sono rimasti a lavorare. Come sempre le manifestazioni sono state molto grandi e combattive, ma la loro composizione era prevalentemente di pensionati e disoccupati.
L’ambiente è rabbioso e aspro come sempre, ma anche confuso. La domanda nella mente di tutti è “e ora, cosa facciamo?” È chiaro che la tattica degli scioperi di una giornata ha esaurito la sua utilità. In condizioni di crollo economico, disoccupazione di massa e impoverimento generale, i lavoratori temono di perdere il posto. Prima di assumersi il rischio di entrare in sciopero vorranno una ragionevole garanzia che lo sciopero abbia esito, ma fino ad ora tutti gli scioperi di una giornata non hanno fatto retrocedere il governo di un centimetro.
I dirigenti sindacali sembrano terrorizzati dall’idea di convocare azioni più serie, ma è precisamente di azioni serie che c’è necessità. La direzione non ha prospettive, paiono aggrapparsi alla speranza che il governo li ascolterà, sarà ragionevole e aprirà una trattativa per un accordo. Vana speranza! La debolezza invita all’aggressione e più i dirigenti sindacali vacillano, tanto più il governo si fa convinto e aggressivo.
In determinate circostanze uno sciopero generale di una giornata può essere un’arma utile. Per esempio in un paese come la Gran Bretagna, dove per decenni non c’è stato uno sciopero generale, questa parola d’ordine rappresenterebbe un grande passo avanti. Ma in Grecia, dove la crisi del capitalismo ha raggiunto la sua espressione più estrema, dove scioperi di una giornata sono stati ripetuti più e più volte, questa parola d’ordine è peggio che inutile. Nei fatti i dirigenti sindacali hanno usato gli scioperi di un giorno per disperdere le energie dei lavoratori ed evitare azioni decisive.
Lo sciopero generale di una giornata è in realtà solo una manifestazione di forza, è come mostrare il pugno al governo. In determinate condizioni questa manifestazione può costringere il governo a cambiare rotta, ma non in un momento come questo. La crisi è troppo profonda, i problemi troppo intrattabili perché il governo e la classe dominante che lo sostiene facciano serie concessioni. Dal punto di vista della borghesia all’ordine del giorno non ci sono concessioni, ma attacchi ulteriori e più profondi ai livelli di vita.
Per questa ragione l’unica parola d’ordine corretta in Grecia è: preparare uno sciopero generale a oltranza. Bisogna tuttavia comprendere che uno sciopero a oltranza non è più una semplice manifestazione: esso pone la questione del potere. Pone la domanda: chi comanda qui? Chi è il padrone di casa, loro o noi? Non è un’arma che si può usare a cuor leggero, ma nelle condizioni della Grecia è l’unico slogan adeguato.
I dirigenti riformisti tenteranno di spaventare i lavoratori con cupe previsioni, hanno paura di porre la questione del potere. La nostra risposta a questi oscuri avvertimenti è la seguente: qualcuno pensa seriamente che ci sia un futuro per il popolo greco fintanto che il paese è dominato dalla stessa banda di ricchi parassiti che lo ha rovinato? Per trovare l’uscita dalla crisi è necessario rimuovere dal potere i banchieri, i capitalisti, gli armatori e gli altri parassiti. Il potere deve essere in mano al popolo, il che significa innanzitutto alla classe operaia e ai contadini che producono tutta la ricchezza della Grecia e che sono sistematicamente derubati per pagare i crimini dei capitalisti. Qualsiasi altra soluzione è una menzogna e un inganno verso il popolo.
Quali sono le possibilità di vittoria? La classe operaia costituisce la schiacciante maggioranza della nazione greca; negli ultimi tre o quattro anni ha mostrato più e più volte la sua volontà di lotta. I lavoratori sono stanchi di mezze misure e di proposte timide. Hanno bisogno di una azione decisiva, anzi la esigono. I lavoratori non sono da soli, anche i contadini greci hanno mostrato la loro volontà di combattere nel mese di febbraio, quando hanno formato blocchi stradali in tutto il paese e hanno manifestato la loro solidarietà con lo sciopero dei marittimi. Qui abbiamo un esempio eccellente dell’unità nella lotta dei lavoratori e dei contadini, vale a dire delle due parti fondamentali del popolo lavoratore greco.
La gioventù greca ha dimostrato di essere apertamente rivoluzionaria, i giovani hanno occupato le piazze di tutto il paese e hanno partecipato attivamente ad ogni sciopero, sciopero generale e manifestazione. Hanno combattuto a rischio della vita contro la polizia. La gioventù greca sarà in primissima linea in uno sciopero generale rivoluzionario.
I disoccupati, il cui numero cresce di giorno in giorno, ripongono tutte le loro speranze nella forza della classe operaia greca. I sindacati devono fare tutto il possibile per mobilitare i disoccupati e raggrupparli attorno ai loro fratelli e sorelle nelle fabbriche. Le donne devono sopportare l’urto frontale della crisi, vedono le loro famiglie senza impiego, senza soldi, senza futuro e senza speranza. È sempre più difficile pagare un affitto e mettere il pranzo in tavola. Anche e donne di Grecia lotteranno nelle prime file del movimento rivoluzionario, se viene offerta una direzione coraggiosa.
E le classi medie? I ceti medi sono stati rovinati dalla crisi, piccole imprese e negozi falliscono ogni giorno per mancanza di credito mentre i banchieri e i capitalisti si arricchiscono e mandano i loro profitti nelle banche svizzere. Professionisti, medici, insegnanti, infermieri… tutti vedono i loro posti di lavoro a rischio, le loro condizioni peggiorare e i loro diritti sotto attacco. Si stanno ponendo nelle fila del proletariato, l’unica classe che ha la forza per cambiare la società.
Se si osservano tutte queste forze è difficile capire quali ragioni possano avanzare i dirigenti per rifiutare di dare una guida decisa. Il problema non è la mancanza di disponibilità alla lotta da parte dei lavoratori, il problema è che gli scioperi mancano di coordinamento e di una guida determinata. I dirigenti sindacali sono stati eletti per fornire questa direzione, se non sono preparati a farlo, che vengano rimossi per fare posto a persone disposte a combattere.
Ma il problema della classe operaia greca non è solo la mancanza di una direzione sul piano sindacale, c’è anche un problema serio al livello politico. Antonis Samaras è la marionetta ubbidiente di Angela Merkel e della borghesia greca. Col suo atteggiamento servile verso i suoi padroni a Berlino e Bruxelles spera di ottenere delle concessioni. Più precisamente è come un cane vigliacco che si acquatta nella speranza di evitare un’altra pedata dal suo padrone.
Come risultato, la troika ha infine gettato un osso al cane e ha graziosamente sbloccato il denaro che aveva promesso da molto tempo, concedendo al loro amico Samaras un piccolo ulteriore lasso di tempo per spremere l’ultima goccia di sangue dal popolo greco. Questa concessione miserevole ha provocato ad Atene una irrazionale esplosione di ottimismo esagerato. Samaras è convinto che la sua tattica stia funzionando, ma è solo un’illusione.
Le cifre economiche dimostrano che non esistono le minime basi per questo falso ottimismo.
Dopo sei anni di crisi continua, il Pil della Grecia avrà un ulteriore caduta del 5 per cento nel 2013. La disoccupazione continua a crescere a cifre vertiginose, la stima ufficiale che indubbiamente sottovaluta la situazione reale, è del 28 per cento, ad Atene quasi il 30. I sindacati (Gsee) calcolano che la percentuale reale sia del 35 per cento. Gli effetti più catastrofici si vedono tra i giovani tra i 18 e i 24 anni di età, fra i quali non meno del 62 per cento sono senza lavoro, vale a dire che su tre giovani, due sono disoccupati. Ovunque si vede il crollo del livello di vita.
Su una popolazione totale di circa 11 milioni, quasi 4 milioni (più del 30 per cento) vivono sulla linea di povertà, o al di sotto. Si stima che dal gennaio del 2010 ad oggi ci sia stato un calo del 50 per cento di salari e pensioni. La situazione è disperata. Le masse non possono tollerare ulteriori attacchi alle loro condizioni di vita eppure per la Merkel e per la borghesia greca questo non è affatto sufficiente. Esigono nuovi attacchi, nuovi tagli, nuovi schiaffi in faccia: è una ricetta fatta e finita per l’intensificazione della lotta di classe.
Potrà anche essere vero che a breve termine il movimento segni una battuta d’arresto. Questo non riflette la mancanza di combattività delle masse, è un riflesso della crisi della direzione, delle continue esitazioni, evasioni e tergiversazioni del vertice e della sua mancanza di volontà di lottare fino in fondo. Tuttavia qualsiasi declino nella lotta di classe sarà un fenomeno temporaneo, i lavoratori stanno riflettendo sulla loro esperienza e cercano di trarne delle conclusioni. Ma la vita stessa non permetterà loro il lusso di contemplare troppo a lungo. Nuove esplosioni sono in preparazione.
Un sondaggio recente pubblicato tra il 1° e il 3 febbraio indica tanto la rabbia quanto la confusione, che si riflettono in stati d’animo contraddittori. Alla domanda se sostenessero la legislazione antisciopero del governo, il 40 per cento rispondeva di essere contrario e il 39 per cento favorevole. Alla domanda se sia più importante la democrazia o l’ordine pubblico il 44 per cento rispondeva la democrazia mentre il 32 per cento indicava l’ordine pubblico.
Naturalmente i risultati di qualsiasi sondaggio vanno maneggiati con cautela. Sono come istantanee che indicano in modo parziale gli stati d’animo di settori diversi della società in un dato momento. Dopo quattro anni di sollevazioni costanti risultate in una seria disorganizzazione della vita economica e sociale, uno strato della popolazione – prevalentemente piccola borghesia e anziani – è stanco e spaventato e desidera pace e tranquillità, il che li spinge a sostenere l’ordine pubblico (anche se su questo punto sono chiaramente in minoranza). Ma non è possibile alcun ritorno alla tranquillità, la crisi economica e le pressioni brutali da parte della troika escludono questa prospettiva.
Dopo avere ottenuto le sue concessioni Samaras ha guadagnato un momento di respiro e la sua credibilità si è accresciuta agli occhi di settori della piccola borghesia e degli strati più conservatori che non desiderano altro che il ritorno alla normalità. Ma questi stati d’animo sono superficiali e stanno già sparendo rapidamente. Sono come la schiuma sulla superficie dell’oceano, che appare e scompare senza lasciare traccia. Lo stesso sondaggio ha prodotto un risultato molto interessante che indica le correnti rivoluzionari profonde che agiscono sotto la superficie nella società greca.
Alla domanda se l’economia sia peggiorata il 43 per cento ha risposto affermativamente, un dato in aumento rispetto a gennaio. Più significativamente, alla domanda se per risolvere la crisi siano necessarie piccole riforme, riforme profonde o una rivoluzione, le risposte sono state le seguenti: 12 per cento in favore di piccole riforme, 60 per cento per riforme profonde e 23 per cento per una rivoluzione. La differenza tra rivoluzione e riforme profonde non è molto chiara, ma il fatto che l’83 per cento della popolazione greca si pronunci in favore di una di queste opzioni rivela con chiarezza una tendenza rivoluzionaria nella società.
Nel prossimo periodo ci saranno nuove esplosioni della lotta di classe, intervallate da brevi periodi di riflusso. Questo riflette in parte l’ingresso di nuovi settori nella lotta mentre altri si ritirano nelle retrovie, esausti per gli sforzi compiuti. Ci saranno inevitabilmente fasi di stanchezza, di delusione e persino disperazione, così come ci saranno alcune sconfitte. D’altro canto non c’è soluzione durevole senza una ristrutturazione profonda della società. Ogni tregua sarà solo il preludio a nuove sollevazioni. Nella loro ricerca di una via d’uscita dalla crisi le masse metteranno alla prova ogni partito, ogni sindacato e ogni dirigente. Coloro che falliranno saranno scaricati brutalmente, come vediamo col Pasok. Altri dirigenti e partiti sorgeranno per poi cadere. Il pendolo oscillerà bruscamente a destra e a sinistra, ma nel futuro immediato la direzione generale sarà verso sinistra.
La coalizione attuale è intrinsecamente instabile e non può durare. il Pasok, che una volta godeva di una posizione dominante nella società e nella classe operaia, ha visto il suo sostegno crollare fino al 6 o 7 per cento. I dirigenti del Pasok hanno pagato il prezzo del loro opportunismo organico e dei loro tradimenti. La cosiddetta sinistra democratica (Dimar) non ha più del quattro per cento mentre Nuova Democrazia, il principale partito borghese, sembra essersi stabilizzato attorno al 22-23 per cento. In altre parole i partiti della coalizione di governo tutti assieme hanno solo il 35 per cento e questa percentuale è in calo. Per compattarsi sono ricorsi a leggi anti sciopero draconiane. Si tratta di un tentativo iniziale di muoversi gradualmente verso il bonapartismo parlamentare, ma scopriranno che il terreno su cui si appoggiano è molto fragile.
Samaras prega che dopo le elezioni di settembre in Germania, Angela Merkel si ammorbidisca e gli condoni i suoi debiti. Ma possono, la Merkel e la troika, condonare i debiti della Grecia? Se lo facessero, allora Irlanda, Portogallo e Spagna chiederebbero lo stesso trattamento, pertanto da questo lato non ci si possono attendere grandi aiuti, e in ogni caso settembre è ancora lontano. L’economia è ancora in caduta libera e il malcontento sta crescendo. Il 75 per cento del debito greco ora è nelle mani della troika, il debito totale ammonta al 165 per cento del Pil, ma l’accordo con la troika è di portarlo al 120 per cento. In altre parole tutti gli sforzi, i sacrifici e le sofferenze del popolo greco negli ultimi quattro anni sono stati inutili. Tanto più calano i redditi, tanto più il deficit si accresce.
Negli ultimi mesi abbiamo visto un notevole aumento del sostegno elettorale a Syriza, un chiaro voto a sinistra. Il dirigente di Syriza Alexis Tsipras ha suscitato grandi speranze con i suoi discorsi radicali di sfida alla troika e ripudio del debito. Ma quanto più Tsipras si avvicina al potere, tanto più le sue dichiarazioni pubbliche si fanno moderate. A quanto pare desidera apparire come una figura responsabile, non di fronte al popolo greco, ma di fronte ai leaders dell’Unione europea e degli Usa. A dicembre ha visitato il Brasile, l’Argentina, la Germania e gli Usa. Forse non è un caso che il Venezuela, che aveva visitato in precedenza, non fosse compreso nell’itinerario.
Tsipras ha spesso proposto l’Argentina come modello da seguire per la Grecia. Questo mostra una seria incomprensione della realtà. L’Argentina è riuscita a emergere da una crisi profonda in un periodo di boom economico mondiale, quando le sue esportazioni erano molto richieste, particolarmente dalla Cina. Non c’è nessuna analogia con la situazione della Grecia in un contesto di crisi mondiale. Inoltre l’economia argentina sta già avviandosi a una recessione. Per qualche ragione Cristina Fernandez de Kirchner non ha ricevuto Tsipras, che tuttavia ha avuto miglior fortuna in Brasile dove Lula lo ha incontrato, ma solo per consigliargli di collaborare pienamente col Fmi. In Germania ha incontrato il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, che ha assunto una linea molto dura insistendo sul fatto che la Grecia deve rispettare tutti i suoi impegni. Negli Usa pare che abbia avuto un incontro col Dipartimento di Stato, i cui contenuti non sono stati resi pubblici.
Sembra chiaro che i dirigenti di Syriza stanno facendo marcia indietro rispetto alle loro iniziali dichiarazioni radicali, non parlano più di ripudio del debito e se Tsipras continua a fare discorsi radicali, al tempo stesso ha parlato di un governo di unità nazionale e ha persino proposto di costituire un comitato di tecnocrati per discutere il programma del partito. Questa confusione e ambiguità ha provocato una seria inquietudine nelle fila di Syriza e persino delle divisioni nel gruppo dirigente.
Come risultato il sostegno di Syriza nei sondaggi è sceso dal 30 per cento fino a un livello simile a quello di Nuova Democrazia. La Bibbia dice “non si possono servire due padroni”: o i dirigenti di Syriza lotteranno per difendere gli interessi della classe lavoratrice, il che significa una rottura netta col capitalismo, oppure saranno costretti a obbedire ai dettami della troika e della borghesia e a continuare ad attaccare l’occupazione e i livelli di vita. Non esiste terza via.
Non c’è modo con cui la Grecia possa rispettare i propri cosiddetti impegni verso la troika e al tempo stesso salvare il popolo greco dall’abisso. Se Syriza vuole vincere, è indispensabile che abbandoni ogni ambiguità e adotti una politica socialista chiara ed audace. Deve rompere con la troika e con la borghesia, disputare le elezioni su un chiaro programma di trasformazione socialista ed espropriare le grandi banche e i monopoli, tanto greci che stranieri. I marxisti di Syriza hanno formato una corrente di sinistra chiamata “Iniziativa per una tendenza comunista in Syriza”, che lotta precisamente per questo programma. È la sola via.
Nel frattempo ci sono sviluppi significativi nel Partito comunista (Kke). Il prossimo congresso si terrà nell’aprile 2013 e la proposta programmatica centrale avanzata dal Comitato centrale (Cc) del Kke sarà l’abbandono della vecchia teoria stalinista delle due fasi e l’adozione della parola d’ordine del governo operaio e popolare e di una economia pianificata. La direzione non parla più in termini di “patriottismo” ma piuttosto di internazionalismo. Questo segna indubbiamente un grande avanzamento rispetto al passato.
Il Kke critica Syriza da sinistra con numerosi argomenti validi. Purtroppo però le loro frasi rivoluzionarie sono accompagnate da una prospettiva pessimistica, vedono la situazione in Grecia in termini di reazione nera e pertanto ogni prospettiva rivoluzionaria è relegata nella pratica a un futuro più o meno distante. Vengono in mente le famose parole di Sant’Agostino: “Signore, rendimi casto, ma non subito”.
In opposizione a questa svolta a sinistra nel Kke si è informalmente aggregata una frazione stalinista di destra che accusa i dirigenti del Kke di “trotskismo”. Il giornale e il sito del Kke nella fase della discussione precongressuale sono pieni di articoli che esprimono diversi punti di vista. Si tratta di un’evoluzione positiva che contrasta con il soffocamento del dibattito interno al partito che esisteva in passato. L’intera storia del partito bolscevico di Lenin fu una storia di dibattito e discussione costante. Solo così si può giungere alla necessaria chiarezza politica.
L’unica strada per la classe operaia greca consiste nella formazione di un fronte unico di tutte le tendenze autenticamente comuniste e socialiste. È necessario soprattutto lottare per un fronte unico tra il Kke e e Syriza. Questa proposta trova la resistenza di una parte delle sezioni del Kke che temono che il partito venga trascinato in direzione dell’opportunismo e della socialdemocrazia e si rifugiano una sorta di rivoluzionarismo astratto che suona molto radicale ma di fatto funge da foglia di fico per coprire la debolezza e la mancanza di fiducia nella classe operaia e nella rivoluzione socialista.
Il Kke deve proporre una politica rivoluzionaria intransigente, ma questo di per sé non risolve nulla. Senza una base di massa anche il migliore dei programmi sarà impotente, Lenin lo capiva molto bene quando insisteva affinché i comunisti si aprissero una strada verso i milioni di lavoratori che rimanevano sotto l’influenza dei dirigenti riformisti, offrendo loro un fronte unito.
Lenin spiegava anche che la gioventù era la chiave della rivoluzione proletaria. L’ambiente radicale fra i giovani è dimostrato dai sondaggi che attribuiscono a Syriza il 35 per cento degli appoggi mentre il Kke ha il 15 per cento. Questo significa che almeno la metà dei giovani in Grecia appoggia la sinistra. Applicando energicamente la parola d’ordine del fronte unico operaio il Kke e la sua organizzazione giovanile conquisteranno il rispetto e la fiducia della massa dei giovani e dei lavoratori che sostengono Syriza. Questo sarà un grande passo avanti per la causa della rivoluzione socialista in Grecia.
Compagni del Kke e di Syriza! Il destino della Grecia dipende da voi. La classe operaia non capisce perché i suoi partiti politici sono divisi e si combattono l’un l’altro invece di combattere il nemico comune: la troika e il suo garzone locale, la borghesia greca. I lavoratori domandano unità, e con ragione. “Unità sì, ma non ad ogni costo”, risponderanno alcuni. Noi non chiediamo al Kke di abbandonare il suo impegno per la rivoluzione socialista, al contrario: la consideriamo l’unica politica corretta. Ma la strada verso la rivoluzione socialista deve essere preparata concretamente con una serie di battaglie parziali. Senza questo diventa un’idea puramente astratta, una frase vuota.
Un fronte unico non significa che ciascun partito debba abbandonare il suo programma e i suoi principi, significa unirsi per un fine pratico, per rivendicazioni concrete. È necessario lottare contro la disoccupazione, le chiusure di fabbriche, contro qualsiasi riduzione di salari e pensioni, per le rivendicazioni immediate dei contadini, dei disoccupati, delle donne, dei giovani e dei pensionati. Perché non deve essere possibile elaborare un programma e organizzare una lotta comune su queste rivendicazioni?
Nelle circostanze attuali, tuttavia, non è semplice conquistare queste rivendicazioni, è necessaria una lotta seria. La parola d’ordine dello sciopero generale a oltranza è all’ordine del giorno, ma questo non si può organizzare con un semplice appello. Deve essere preparato accuratamente con una campagna di massa che coinvolga i sindacati, i militanti di Syriza e del Kke, delle organizzazioni giovanili, degli studenti, dei contadini e di tutti coloro che vogliono lottare contro la troika e la borghesia. Il movimento deve essere unito in comitati d’azione, organizzato in ogni luogo di lavoro e quartiere, in ogni scuola, università, villaggio.
Si devono convocare assemblee di massa per discutere la situazione e fare proposte. I comitati devono collegarsi a tutti i livelli: locale, regionale, nazionale. Lo scopo finale dovrebbe essere la convocazione di un congresso nazionale di comitati d’azione che possono trasformarsi in futuro in un centro di potere del popolo rivoluzionario.
Allo stesso tempo è necessaria una vasta agitazione contro il governo Samaras. Esigiamo nuove elezioni! Abbasso Samaras e la sua banda di ladri! Per un governo di Syriza e del Kke con un programma anticapitalista! Espropriare le banche e i monopoli sotto il controllo democratico e la gestione dei lavoratori!
“Ma non possiamo reggere da soli contro l’Europa”, obietteranno altri. No di certo, né la Grecia, né alcun altro paese può reggere da solo, ma se i lavoratori greci compiono un passo audace scopriranno ben presto di non essere da soli. Tutta l’Europa si raccoglierebbe in loro sostegno: certo non i governi, che sono ostili agli interessi dei lavoratori greci tanto quanto a quelli dei loro paesi. Ma la classe lavoratrice, che in Europa costituisce la schiacciante maggioranza, sarebbe del tutto favorevole a una Grecia socialista così come lo fu verso la rivoluzione russa del 1917.
Una Grecia socialista lancerebbe un appello internazionalista ai lavoratori e ai giovani europei invitandoli a seguire il suo esempio, a rovesciare gli odiati banchieri e capitalisti e a prendere il potere nelle loro mani. Questo appello incontrerebbe una risposta immediata dai lavoratori spagnoli, portoghesi, italiani che stanno soffrendo i medesimi attacchi. Il resto dell’Europa seguirebbe ben presto. Sarebbero poste le basi per una autentica Unione europea: non l’Unione falsa e ingiusta dei banchieri e dei capitalisti, ma una Europa autenticamente unita sulla base dell’interesse comune e della solidarietà: gli Stati uniti socialisti d’Europa.
Un programma come questo allontanerebbe il popolo? Al contrario; i sondaggi già citati mostrano chiaramente che la grande maggioranza dei greci ora sostiene la rivoluzione o profonde riforme. Risponderebbero entusiasticamente a questo programma e a questo governo. È la sola strada praticabile per la classe lavoratrice e l’unica via d’uscita per la Grecia.
Londra, 6 marzo 2013