Il congresso di Rifondazione è importante? Sì! In primo luogo perché è il partito che ha mantenuto l’insediamento militante più consistente nella sinistra.
In secondo luogo perché le diverse scissioni che dal 2006 in avanti hanno tentato di costruire una alternativa a sinistra del Prc non sono riuscite ad aggregare settori significativi della militanza di sinistra, né a raccogliere la nuova radicalizzazione che si manifesta fra i giovani.
In terzo luogo perché si svolgerà nel bel mezzo di un cambiamento profondo nella situazione politica ed economica internazionale e italiana. Per quanto indebolita dalle scissioni e dalla crisi di orientamento politico, Rifondazione rimane tuttavia un ambito imprescindibile per chiunque non si voglia rassegnare a passere il resto della propria vita ad osservare il pendolo che si sposta, alternativamente, da una destra classista, razzista, e arraffona a un centrosinistra liberale, “rigoroso” (coi soldi nostri), sempre responsabile verso Confindustria, la Nato e la Bce, e mai responsabile di fronte al popolo che già per due volte in 15 anni lo ha mandato al governo.
Il congresso di Chianciano del 2008 si celebrò in un clima di sconfitta generale: caduto il centrosinistra, sinistra spazzata via nelle elezioni, destra trionfante in parlamento e nel paese.
Oggi il quadro è radicalmente cambiato. A partire da Pomigliano la classe operaia è tornata in campo, il clima di passività nel quale il governo pareva impermeabile a qualsiasi avvenimento si è dissolto. Le piazze si sono riempite più volte, dai metalmeccanici agli studenti,
la rabbia e la volontà di resistere si sono espresse con forza; è finito il tempo delle mobilitazioni rituali, ce lo mostrano gli operai di Fincantieri come il popolo della Val Susa. Di tutto questo abbiamo visto anche il riflesso elettorale, con le tre “sberle”, amministrative e referendum, che nel giro di un mese hanno tramortito il governo.
Tutto è dunque in movimento, e lo sanno bene i padroni di questo paese che si preparano all’ennesimo cambio di copione. Sotto l’ombrello protettivo di Napolitano e la sferza di Draghi alla Bce, il Pd e i suoi alleati si preparano a raccogliere il testimone. Poco importa qui se le formule saranno quelle di un nuovo centrosinistra, o di una coalizione più ampia, una sorta di unità nazionale. Il punto centrale è che in questo nuovo quadro, gli interessi dei lavoratori e dei giovani non troveranno alcuna rappresentanza.
Per noi il congresso del Prc parte dalla imprescindibile necessità che il nostro partito si ponga in modo irriducibile, chiaro, audace come forza antagonista al nuovo scenario politico. Come partito che si pone il compito prioritario di suscitare, organizzare e partecipare al conflitto che inevitabilmente si scatenerà contro le politiche di austerità. Grecia, Spagna e Portogallo insegnano: il “rigore” economico affonda la socialdemocrazia e rende di una urgenza bruciante la costruzione di un fronte di sinistra chiaramente opposto alle politiche di austerità,.
Ma la confusione regna sovrana…
Dobbiamo riscattare il nostro partito dalla demoralizzazione e dalla passivizzazione. A partire dalla sconfitta nelle elezioni europee (giugno 2009) il corpo militante è stato estenuato da una girandola di proposte sempre più confuse e di basso profilo, volte esclusivamente a cercare la scorciatoia più rapida per tornare nelle stanze parlamentari e nella politica “importante”.
Si è passati così dalla proposta di comitato di liberazione nazionale al Fronte democratico, alla coalizione democratica, poi di nuovo al fronte democratico. Si dice che parteciperemo a un fronte anti berlusconiano, ma che non possiamo governare col centrosinistra, al quale però dobbiamo permettere di vincere, ma senza accordi di programma che ci legherebbero le mani, tuttavia sarebbe opportuno negoziare “due o tre punti qualificanti”, o magari fare le “primarie di programma”… ci fermiamo per pietà.
Si propone di fare un polo di sinistra con Sel e Idv e il giorno dopo Di Pietro dichiara che l’Idv non è e non può essere di sinistra, abbandona l’antiberlusconismo militante e ricorda le sue origini moderate e la sua appartenenza europea ai liberal-democratici. Il tutto mentre Sel ha chiaramente una strategia nazionale volta a cancellare la nostra esistenza.
La Federazione della sinistra è una facciata di cartapesta che dopo il suo congresso (dicembre 2010) è riuscita a riunire il suo organismo dirigente nazionale una sola volta e senza neppure il numero legale…
La linea sindacale del Prc è stata una sequela di errori, riassunti dalla scelta suicida di non spalleggiare la battaglia della Fiom e di legarsi a un’area come Lavoro e Società che di fatto si è comportata come la guardia del corpo della segreteria Camusso.
La conseguenza più negativa di tutto questo è l’abbassamento drammatico del livello del dibattito nel partito. Dobbiamo invece proporre un orizzonte ampio alla discussione, che sia all’altezza della svolta gigantesca che matura attorno a noi: non è pensabile che mentre milioni di persone in Europa, nel mondo arabo si risvegliano alla lotta, mentre la questione della rivoluzione, che fino a pochi anni fa pareva confinata al dibattito latinoamericano, si avvicina alla nostra parte del mondo, si faccia un congresso per discutere se la collocazione giusta sia una spanna o due spanne a sinistra di Bersani!
Il problema centrale
La nostra alternatività alle formule di governo che emergeranno dalla crisi del berlusconismo deve essere nettissima, ma è solo una condizione necessaria, di per sé non costituisce una strategia alternativa. Il punto centrale oggi è l’assenza di una rappresentanza politica, di un partito di classe che possa raccogliere e organizzare la spinta conflittuale che sempre più attraverserà anche il nostro paese.
Il partito di Pomigliano, il partito di Fincantieri, oggi non esiste. Le lotte sono più avanti delle organizzazioni, questa è la nuda realtà.
Non si tratta di dare la “sponda politica” a questo o quel pezzo di apparato sindacale: il partito del lavoro di cofferatiana memoria non è una risposta, né lo sono le coalizioni d’occasione che il gruppo dirigente della Fiom ha costruito con Sel o con l’area dei centri sociali “disobbedienti”. “Uniti contro la crisi” è un bel titolo per fare assemblee e dibattiti fra gente che sa già cosa diranno tutti gli altri interlocutori, ma non è cosa da cui possa nascere né la risposta sindacale (riconquista del contratto nazionale, strategia per battere Marchionne, Bonanni e Marcegaglia e per impedire la normalizzazione della Cgil), né la risposta politica necessaria (quale programma di fronte alla crisi, quale alternativa di società da contrapporre alla gestione capitalistica della crisi).
Oggi il Prc non ha la consistenza e la chiarezza politica necessaria? Dobbiamo costruirla: oggi non possiamo essere “il” partito della classe operaia italiana e di tutti gli sfruttati, ma possiamo essere noi partito di classe, assumere questa prospettiva che ci ponga nell’onda montante del conflitto.
Per due anni abbiamo proposto questo orientamento nel Prc: siamo stati minoranza negli organismi dirigenti, ma abbiamo trovato l’interesse e il sostegno di tanti compagni che hanno riconosciuto la validità della nostra proposta. A maggior ragione la riproporremo nel congresso, sede di dibattito e decisione nella quale i militanti sono sovrani.
La nostra proposta sarà netta: il conflitto di classe come centro di tutte le lotte; collocare il partito nel cuore di questo conflitto. Chi nel Prc condivide, si faccia avanti; chi si trova all’esterno del nostro partito ma sente l’urgenza di affrontare il tema cruciale della rappresentanza politica dei lavoratori di questo paese, si affacci al nostro dibattito e vi prenda parte a pieno titolo: porte e finestre devono essere ben spalancate se vogliamo che l’aria fresca del conflitto spazzi via l’atmosfera stagnante che rischia altrimenti di soffocarci.