Santa Maria capua Vetere (Ce) – Il Centro di identificazione ed espusione (Cie), allestito nell’ex caserma Andolfato per l’“emergenza Tunisia”, ha continuato la sua funzione di centro di detenzione anche dopo le mobilitazioni e il rilascio dei 22mila permessi temporanei da parte del governo. Infatti vi sono stati trasferiti da Lampedusa 99 tunisini che, essendo arrivati dopo la scadenza fissata per il rilascio di tali permessi, hanno avuto solo la possibilità di chiedere asilo politico, che come ben sappiamo nel nostro paese è difficile da ottenere.
Sin dai primi giorni dato l’ostracismo della questura nei confronti dei mediatori culturali si è avuta l’impressione che le misure di detenzione per queste persone fossero più rigide, al punto che la stessa Croce rossa ha chiesto di abbandonare la gestione della struttura. Fortunatamente dopo varie pressioni sulla prefettura alcuni mediatori culturali, fra cui compagni del comitato antirazzista sammaritano (Cas) e del centro sociale Spartaco sono riusciti ad entrare. Si è scoperto che gli immigrati venivano sorvegliati 24 ore su 24, tenuti in un recinto come gli animali e potevano andare al bagno 2 volte al giorno e solo accompagnati dagli agenti di polizia.
Come Cas si decideva di riprendere la mobilitazione. è stata organizzata una manifestazione regionale per il 21 maggio per chiedere la chiusura di quello che era un vero e proprio lager. All’appello alla mobilitazione rispondevano parecchie strutture di movimento ed associazioni, l’aspetto positivo è stata l’adesione di alcune scuole superiori di S. Maria C. Vetere.
Purtroppo la Cgil immigrazione che pure in precedenza aveva partecipato alla lotta si tirava fuori parlando di manifestazione calata dall’ “alto”, cosa palesemente falsa visto che l’unica struttura organizzata che ha aderito è stato il circolo di Rifondazione comunista di S. Maria C. Vetere. I limiti del movimento campano, che ha pensato più ad egemonizzare la mobilitazione, e la totale indifferenza degli altri partiti dell’opposizione hanno contribuito alla scarsa partecipazione. Si contavano infatti poco più di 300 persone. Nonostante tutto è stata incoraggiante la presenza di molti giovani e lavoratori che sentivano il dovere di mobilitarsi contro quello che è un vero sopruso contro i diritti umani. In seguito le denunce fatte sull’esplosività della situazione si sono rivelate esatte, nella notte fra il 7 e l’8 giugno divampa un incendio all’interno del campo.
La scintilla è scattata quando un ragazzo tunisino, saputo della morte del fratello in patria, ha chiesto di rientrare nel suo paese. La sua richiesta, però, sarebbe caduta nel vuoto. Così, il giovane, per protestare, ha rotto uno specchio e ha cominciato ad ingoiare pezzi di vetro. Invece di essere soccorso, il ragazzo è stato trascinato per le braccia e maltrattato dalla polizia. E di fronte alla protesta degli altri immigrati la risposta delle forze dell’ordine sarebbe stata quella di sparare gas lacrimogeni all’interno del recinto dove sono rinchiusi gli immigrati. Diversi candelotti sono caduti sulle tende del campo, sfondandole e provocandone l’incendio.
Nella notte gli attivisti dello Spartaco e di Rifondazione comunista riuscivano, grazie alla buona intesa raggiunta con gli abitanti delle case popolari dei dintorni dalle quali è possibile vedere ciò che succede nel campo, a fotografare e filmare quello che accadeva. La calma si raggiungeva alle 4 del mattino. Il giorno seguente l’area dell’incendio, e non tutto il Cie, è stata posta sotto sequestro dalla Procura della repubblica per accertare le responsabilità dei fatti. I migranti sono stati trasferiti in altri centri di “accoglienza” del meridione. Quindi il Cie alla fine è stato chiuso anche se non per le condizioni di invivibilità, ma tutto ciò dimostra che la logica dell’emergenza non funziona in alcun modo. Fra pochi mesi per queste persone e per gli altri che hanno ricevuto i permessi temporanei si riproporrà l’emergenza e non è da escludere che con altre modalità l’Andolfato possa essere riutilizzata. Noi saremo sempre vigili, e cercheremo di impedirlo.