Contro le chiusure contrapporre l’esproprio!
Negli ultimi anni alla ricerca disperata del massimo profitto le aziende hanno avanzato un profondo processo di ristrutturazione, di delocalizzazione, di spostamento della produzione industriale provocando centinaia di migliaia di licenziamenti in Italia e in generale nei paesi capitalisti avanzati.
Il caso della Black & Decker e della Magneti Marelli di cui si parla nella pagina accanto, sono solo due dei casi più recenti.
Come si è visto anche in altri occasioni, anche qui le due aziende hanno usufruito dei finanziamenti dello Stato per poi licenziare i propri dipendenti o chiudere del tutto i loro impianti.
I lavoratori della Black & Decker vengono buttati sulla strada, dopo aver consentito all’azienda, di fare profitti favolosi.
Quelli della Magneti Marelli sono costretti a trasferirsi in un impianto che dista oltre 50 chilometri perché per l’azienda è più conveniente.
Il tutto viene fatto in nome della competizione globale, la ricerca dei costi minori, che si disinteressa completamente del futuro di quei lavoratori che restano senza un posto di lavoro.
Competizione globale, che spinge le multinazionali a ricercare sul mercato, i costi più bassi per la manodopera, le agevolazioni fiscali migliori, le concessioni governative più vantaggiose e che spinge in molti casi a chiudere delle aziende niente affatto obsolete, con un alto livello tecnologico ma che non rispondono più ai piani aziendali e alle strategie di mercato.
E a questa logica infernale, tutti si adattano: i governi che fanno concessioni di ogni genere sottraendo fondi dalla spesa pubblica per orientarli ai finanziamenti diretti e indiretti alle imprese, i vertici sindacali che firmano ogni tipo di accordi peggiorativi per abbassare il costo della manodopera e i lavoratori costretti a fare ogni tipo di sacrifici per garantire il buon andamento dell’azienda, per poi essere scaricati alla prima occasione con un arrivederci e grazie.
È la logica del mercato, che viene ormai accettata dalle organizzazioni sindacali la responsabile di tutto questo e che di fronte all’emergenza di una chiusura non è in grado di offrire alcuna risposta valida.
Solo riappropriandosi di un punto di vista di classe è possibile trovare una via d’uscita credibile.
Bisogna partire dall’affermare che non c’è soluzione al problema dell’occupazione, accettando la logica del mercato.
Lasciato a sé stesso il capitalismo continuerà a distruggere occupazione, sia usando la tecnologia, che sfruttando allo stremo i lavoratori che restano in produzione.
L’unico modo per far fronte all’aumento di produttività (che ogni anno è circa del 5%) senza provocare licenziamenti, è ridurre l’orario di lavoro a parità di salario.
Ma nei casi in cui si prospetta la chiusura immediata dell’azienda bisogna dire di più; se il padrone vuole andarsene che faccia pure ma che lasci i propri stabilimenti, i quali devono essere nazionalizzati sotto il controllo dei lavoratori
e utilizzati per lavori di pubblica utilità.
Non possiamo permettere a una multinazionale di disimpegnarsi tranquillamente dopo che per anni ha ricevuto i finanziamenti statali e ha trasformato in profitti il plusvalore estratto dal nostro lavoro.
Certo questo tipo di proposta è in controtendenza con quella che attualmente viene praticata che è di privatizzazione piuttosto che di nazionalizzazioni; mette in discussione la proprietà e pone in primo piano l’interesse dei lavoratori.
Ma è l’unica strada, che non illude i lavoratori sull’intervento delle istituzioni, sul ricollocamento, o altre strade che sono state sperimentate in passato e che hanno rappresentato delle vere e proprie odissee quando non sono state umilianti per i lavoratori offesi nella loro professionalità, costretti a fare lavori inadeguati spesso pagati peggio.
Anche quando si è riuscito a tenere aperte le aziende con i contratti di solidarietà, queste si sono dimostrate soluzioni di corto respiro che hanno solo rinviato la chiusura, per di più riducendo i salari.
E in un contesto come questo quando la chiusura arriva e ci sono esuberi un po' ovunque non esistono grandi possibilità di riassorbire i lavoratori in mobilità (particolarmente se hanno una certa età).
Meglio dunque impedire la chiusura con qualsiasi mezzo.