La sconfitta all’Ilva della Fiom che, dimezzando i suoi voti (dal 31% a poco più del 15%) racimola solo 6 Rsu (7 con l’impiegato) che non conteranno niente, è il dato negativo più evidente delle recenti elezioni all’Ilva di Taranto, la fabbrica più grande del paese: oltre 9mila dipendenti per un’affluenza al rinnovo delle Rsu di oltre l’80%. Fim e Uilm hanno sostanzialmente mantenuto i loro livelli precedenti: la Uilm si conferma primo sindacato col 38% (5% e 700 voti in meno), la Fim col 24% perde appena 214 voti. La vera novità è il successo dell’Usb che, senza alcuna agibilità sindacale, sottraendo voti alla Fiom, racimola oltre 1.800 voti, corrispondenti al 21% e a 12 delle 59 Rsu elette (23 se le aggiudica la Uilm, 14 la Fim, nessuna gli altri sindacati Fismic e Flmu).
Si tratta dell’ennesimo fallimento dell’accordo del 31 maggio, a cui la Fiom si è attaccata per andare a “elezioni regolari”, presentando ricorso alla magistratura.
Come si è arrivati a questo risultato
Tra il finire del 2011 e l’inizio del 2012 la Fiom rimuove Francesco Rizzo (oggi delegato Usb) dall’incarico di Rsu esperto e di Rls democraticamente eletto. L’allontanamento anche dal direttivo costa la perdita di 400 tesserati che, conoscendo l’operato di Rizzo (sempre in prima linea contro i Riva per la salute dei lavoratori), escono disgustati dal nostro sindacato.
Quando viene commissariata la fabbrica salta fuori anche la vicenda legata al Circolo Vaccarella, una fondazione per il dopolavoro degli operai gestita da Fim-Fiom-Uilm, ufficialmente senza scopo di lucro, di fatto unta copiosamente dai Riva per tenersi buoni i sindacati. “Il contributo economico fornito ai sindacati dall’Ilva negli anni – scrive il manifesto – è esorbitante: 6 miliardi delle vecchie lire dal ’96 al 2000, e 400mila euro dal 2001 al 2013, per un totale di 9 milioni di euro”.
Fim e Fiom cercano di prendere le distanze da un circolo che ormai scotta sotto i loro piedi, ma anche se annunciano solennemente l’autosospensione dal Consiglio di amministrazione, ritroviamo i loro esponenti in presidenza fino a tutto il marzo 2013.
È questa ambiguità, l’incapacità di smarcarsi completamente dai Riva, che ha portato, tra le altre cose, alla contestazione del 2 agosto 2012 opera del Comitato dei cittadini liberi e pensanti, il cui esponente principale, Cataldo Ranieri, è un altro operaio ex Fiom espulso.
Di tutta questa vicenda, il conto che paga la Fiom è molto salato.
Ora qualcuno si domanda: perché noi sì e Fim e Uilm e no? La risposta è tanto semplice da sembrar quasi banale: questo fallimento non ha colpito Fim e Uilm perché la loro complicità col padrone è di dominio pubblico. È chi è sostanzialmente pulito che paga dazio più di tutti quando si macchia delle stesse collusioni di cui accusa gli altri ed è giusto che venga punito dai lavoratori alla prima occasione. Di sindacati compiacenti all’Ilva ce ne sono fin troppi, non serve una Fiom a immagine e somiglianza di Fim e Uilm, bastano le Fim e Uilm originali.
Come risalire la china
La scoppola all’Ilva per ora non sembra aver sortito alcuna vera autocritica nel corpo dirigente della Fiom, al di là delle dichiarazioni di facciata. Rappa, responsabile nazionale per la siderurgia, dice che è “necessario che la Fiom avvii un’ampia riflessione a tutti i livelli dell’organizzazione”.
Risalire la china all’Ilva sarà impossibile per la Fiom, se non si farà piazza pulita una volta per tutte delle mezze soluzioni. Ma per fare piazza pulita la Fiom deve riprendere il suo corso a sinistra, troncando di netto il suo riallineamento alla Camusso.
La Fiom può recuperare all’Ilva, infilandosi tra le crepe del sindacalismo di base. Sull’euforia del successo, infatti, l’Usb scrive che è “dal risultato positivo dello sciopero generale del 18 ottobre [che] si era visto che i lavoratori stanno lentamente ma progressivamente iniziando ad abbandonare Cgil, Cisl e Uil a percepire la possibilità concreta di organizzarsi in Usb per costruire una valida alternativa sindacale, indipendente, conflittuale e democratica”. Questa frase corrisponde all’idea base del sindacalismo extraconfederale: travasare un recipiente più grande, il sindacato confederale, in quello più piccolo, quello extraconfederale. La lotta di classe procede all’opposto, e la Fiom ha tutto da guadagnare se ricomincerà a farla e a portarla fino in fondo.