Introduzione a Il programma di transizione
Ecco una nuova edizione del Programma di transizione, programma fondativo della Quarta Internazionale, scritto da Trotskij nel 1938.
Rileggere ora questo testo dà quasi i brividi per il suo carattere quanto mai attuale, a partire dal suo titolo “L’agonia del capitalismo e i compiti della Quarta Internazionale”. L’analisi del capitalismo e le proposte al movimento operaio possono essere, quasi per intero, applicate alle condizioni odierne.
Trotskij scriveva il programma alla luce di una crisi verticale del sistema apertasi con la crisi del 1929 e ancora non conclusasi nel 1938. Anzi in quei nove anni il mondo era stato attraversato da convulsioni rivoluzionarie e controrivoluzionarie.
Gli anni trenta non sono solo gli anni del fascismo in Italia e dell’ascesa di Hitler. Sono anche gli anni della rivoluzione e controrivoluzione in Spagna, dove operai e contadini hanno sfidato eroicamente la classe dominante e i vertici delle loro stesse organizzazioni per impadronirsi del potere e sbarrare definitivamente la strada alla dittatura di Franco. Sono gli anni degli scioperi e delle occupazioni delle fabbriche in Francia, dove la spinta degli operai fu imbrigliata e contenuta dal governo di “fronte popolare” di Léon Blum che aveva l’obiettivo di trasferire il potere reale degli operai alle comode stanze governative. Sono anche gli anni dove negli Usa il conflitto sociale dà vita ad una nuova organizzazione sindacale di classe nel 1935 che dovrà essere spenta con la propaganda di guerra e la successiva ondata reazionaria maccartista. Ed è bene ricordare che anche in Germania l’ascesa di Hitler avveniva in un contesto in cui ancora nelle ultime elezioni libere la socialdemocrazia e il partito comunista contavano sulla maggioranza assoluta dei voti, sull’onda del movimento rivoluzionario degli anni precedenti e del reale radicamento operaio della sinstra.
Queste rotture rivoluzionarie erano determinate dall’intollerabilità delle condizioni di vita per larghi strati operai e popolari. Esse avevano fatto maturare una coscienza di massa che con alti e bassi sempre più nettamente metteva in discussione l’intero sistema capitalista e nei contenuti e nei metodi (scioperi, occupazioni dei siti produttivi, nascita di comitati operai) spingeva il movimento verso il potere operaio, verso la socializzazione delle risorse in netta contrapposizione al capitale. Tutte le tendenze del movimento operaio sono state messe alla prova da questi avvenimenti e hanno clamorosamente fallito nel soddisfare le aspirazioni rivoluzionarie chiaramente emerse in quegli anni. Come scrive Trotskij, “la crisi storica dell’umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria”. E non esagerava a parlare di crisi dell’umanità se si pensa a come il capitale ha “risolto” la sua crisi che ha trovato sbocco in quella macelleria umana che è stata la Seconda guerra mondiale.
Vale la pena di ricordare qui brevemente il ruolo dei partiti comunisti e della III Internazionale negli anni che precedettero la guerra, visto che una parte non irrilevante del Programma è dedicata alla critica all’Urss.
Sulla spinta della rivoluzione del 1917 in molti paesi il movimento operaio aveva tentato di prendere il potere e “fare come in Russia”, senza però riuscirvi. Il fallimento di questa ondata rivoluzionaria aveva costretto l’Urss in un grave isolamento. Se a questo si aggiungono l’arretratezza materiale del paese, la miseria profonda dopo anni di guerra e lo sfinimento della classe che aveva teso tutte le sue energie nella difesa delle sue conquiste durante la guerra civile e contro gli eserciti bianchi, affluiti da tutta l’Europa capitalista, è facile comprendere come in un settore del nuovo apparato dirigente si facesse largo l’idea di concentrare tutte le risorse nella difesa esclusiva del potere conquistato. Dopo la morte di Lenin nel ’24, questo processo ricevette una forte accelerazione. La difesa della rivoluzione, sotto le indicazioni di Stalin era diventata la difesa del “socialismo in un paese solo” e ogni dissenso tacciato di controrivoluzionarismo. Ai processi di Mosca, che videro l’annientamento di quasi tutto il gruppo dirigente che aveva condotto la rivoluzione, seguì una politica di accordi diplomatici prima con la Germania, poi, quando la Germania ruppe il patto Molotov-Ribbentrop invadendo l’Urss, con gli inglesi e gli americani. Questo ebbe effetti drammatici, prima della guerra, durante e dopo e segnò la crisi dei partiti comunisti prima nei paesi fascisti o che stavano cadendo sotto il giogo fascista e poi negli altri e soprattutto in quelle aree del mondo dove il dominio coloniale iniziava a vacillare. L’indipendenza di classe e l’autentico internazionalismo proletario che avevano caratterizzato la politica dei bolscevichi e avevano segnato la vittoria del 1917 erano sepolti irrimediabilmente. E se a tutt’oggi non esiste più l’Urss, ancora paghiamo quella cesura violenta che lo stalinismo ha operato alle tradizioni rivoluzionarie e bolsceviche.
Tutto questo suggeriva a Trotskij la necessità impellente di alzare alta la bandiera di una nuova internazionale, la Quarta, che raccogliesse attorno a sé la tradizione rivoluzionaria dell’Ottobre, l’esperienza e la militanza operaia e giovanile che cercava la strada della rivoluzione socialista.
La storia della Quarta Internazionale, soprattutto dopo la morte di Trotskij avvenuta due anni dopo, non ha fatto giustizia alle ambizioni rivoluzionarie del suo fondatore, tuttavia questo manifesto è un testo prezioso per comprendere il metodo e i compiti di chi ancora oggi si pone sul terreno della rottura rivoluzionaria.
Dicevamo che il testo dà i brividi, eccone un passaggio: “Le forze produttive dell’umanità non crescono più. Le nuove invenzioni e i nuovi progressi tecnici non portano a un incremento delle ricchezze materiali. Le crisi congiunturali, nelle condizioni di crisi sociale di tutto il sistema capitalista, determinano per le masse privazioni e sofferenze sempre più grandi. La disoccupazione crescente, a sua volta approfondisce la crisi finanziaria dello Stato e mina i sistemi monetari sconvolti. I governi – tanto quelli democratici come quelli fascisti – passano da una bancarotta all’altra. La borghesia stessa non vede via d’uscita. (...) tutti i partiti tradizionali del capitale si trovano in una situazione di confusione che confina a volte con una paralisi della volontà. Il New Deal, nonostante la decisione ostentata nella prima fase non è che una forma particolare di confusione, possibile in un Paese in cui la borghesia ha potuto accumulare ricchezze senza numero.”
Come non rivedere anche nelle analisi della presente crisi economica mondiale i cupi presagi di una borghesia in bancarotta completa? Come qui dice Trotskij effettivamente il New Deal rooseveltiano fu possibile per le enormi ricchezze accumulate da una potenza “giovane” e in ascesa come gli Stati uniti e tuttavia non fu sufficiente per invertire la rotta della crisi del ‘29 che si chiuse solo con le distruzioni della guerra. I fiumi di denaro che oggi gli Stati versano nelle tasche dei banchieri e degli speculatori ci segnalano lo stesso disorientamento, la condanna ennesima della borghesia a classe parassitaria e incapace di dare un futuro e di governare il mondo.
Oggi siamo nuovamente agli albori di una nuova epoca. I paralleli con la crisi economica del 1929 si sprecano per ogni dove, ma soprattutto si intravvedono le profonde implicazioni che questa crisi avrà nel medio e lungo termine. Nella ridislocazione, che sarà aspra e conflittuale, di nuovi rapporti mondiali e di un brutale inasprimento del conflitto di classe.
Analogamente al 1938 colpisce la bancarotta di tutta la sinistra europea e mondiale. La socialdemocrazia, avviluppata nei suoi scontri di potere interni, pensa di cavarsela con qualche slogan (rinnovamento) ed è totalmente incapace di entrare in sintonia con la disperazione ed esasperazione di vasti strati operai e popolari che ancora sono la sua base elettorale. Le tendenze e i partiti comunisti, anch’essi attraversati ovunque da crisi di identità e spinte liquidazioniste vedono venire al pettine tutti i nodi non sciolti della loro storia. Alcuni, ed è quasi un po’ ridicolo, si crogiolano ancora con i fasti gloriosi del passato interpretando il nuovo protagonismo di potenze come la Russia e la Cina con le lenti deformate del caleidoscopio stalinista.
Così come Trotskij condensava in questo scritto l’esperienza del conflitto di classe di un’intera epoca storica e su scala mondiale, allo stesso modo oggi dobbiamo rilanciare il nostro internazionalismo non solo come generica solidarietà, ma come studio e conoscenza approfondita dei punti più alti della lotta di classe a livello internazionale, a partire dall’esperienza recente latinoamericana che getta nuova luce sulla nostra ricerca teorica e programmatica.
In appendice vi proponiamo il contributo di Claudio Bellotti, della segreteria nazionale del Prc, al dibattito del partito stesso, proprio relativo alla crisi e alle proposte della sinistra.
Non è la riscrittura del programma di transizione, ma un tentativo di leggere la crisi capitalista, di fornire un punto di vista rivoluzionario e di individuare alcuni strumenti per uscire in primo luogo dal disorientamento politico.
Un punto centrale è posto: qualsiasi rivendicazione difensiva a tutela del movimento operaio oggi, alla luce della attuale crisi di sistema può essere “piegata alle compatibilità esistenti e resa sterile” se non viene indicata una linea di marcia per il movimento. Non si tratta semplicemente di invocare l’intervento pubblico, di suggerire l’idea della nazionalizzazione del sistema finanziario, come sostiene Bellotti, “la questione della proprietà e del controllo obiettivamente ci pone su un terreno di superamento del capitalismo, come dimostra ancora l’esperienza latinoamericana”.
Pubblichiamo qui questo contributo perché, pur essendo prevalentemente orientato alla militanza e al dibattito interno al Prc, avremmo l’ambizione di considerare questo dibattito vitale per tutto il movimento operaio e per tutti quei settori (studenti, lavoratori, donne e immigrati) che già oggi si sono posti sul terreno del conflitto sociale e della mobilitazione.
Dopo le sbornie dell’antipolitica e dell’antipartitismo è bene ricordare che gli sfruttati, gli oppressi hanno sempre cercato nelle forme dell’organizzazione collettiva uno strumento di emancipazione, per questo sono nati i sindacati e i partiti del movimento operaio. Solo i piccolo-borghesi e le classi dominanti potevano farne a meno perché ben altri erano gli strumenti con i quali potevano e possono tuttora condizionare a loro profitto il potere costituito.
Noi no, noi abbiamo solo la nostra forza e le nostre organizzazioni. Per quanto Rifondazione e il suo gruppo dirigente abbiano mostrato tutta la loro debolezza politica, per quanto si possano essere screditati soprattutto negli anni di governo del paese, Rifondazione Comunista resta uno strumento fondamentale di emancipazione che deve essere posto al servizio di chi lotta e agisce il conflitto.
Da comunisti riteniamo che la forza della nostra tradizione rivoluzionaria
sta precisamente nella sua capacità di interpretare correttamente il presente e nel fornire strumenti di emancipazione ancora oggi.
La forza del Programma di transizione sta nella sua capacità di leggere le contraddizioni della sua epoca e di fornire una piattaforma al movimento operaio con la quale marciare verso il superamento delle contraddizioni stesse, facendo maturare coscienza di classe e coscienza della necessità storica della rivoluzione.
La nostra ambizione è quella di trovare gli strumenti per applicare e rendere viva ancora oggi questa importante e quanto mai utile tradizione.
Milano, 28 novembre 2008