Un ostacolo insormontabile
La burocrazia, come lo zarismo, credeva di poter governare per mille anni. Ma in breve tempo tutti i suoi sogni andarono in fumo. Nell’arco di due generazioni e mezza, la burocrazia aveva già completamente esaurito il ruolo progressista che poteva aver giocato in passato. Da freno allo sviluppo della società, ne era diventata un ostacolo insormontabile. Quello che sembrava un ordine delle cose stabile ed eterno appariva ora quello che era sempre stato: un’aberrazione storica momentanea destinata ad essere spazzata via in breve tempo. Alla fine degli anni ’70 tutti i nodi erano arrivati al pettine.
Prendiamo solo un esempio da un settore chiave dell’economia sovietica. I giacimenti di petrolio e di gas naturale cominciavano ad esaurirsi; nella sola Siberia occidentale l’Urss aveva risorse quasi illimitate, che però non riusciva a sviluppare. Per quale motivo? Nel 1983, il 20% dei pozzi petroliferi sovietici era fuori uso per mancanza di riparazioni, cattiva gestione e carenza di manodopera. Questo problema interessava 2.000 pozzi in più rispetto alle previsioni. Perché scarseggiava la manodopera per i pozzi? La pianificazione burocratica concentrava tutto sulla produzione, spesso trascurava gli alloggi e le possibilità di svago per gli operai; a queste cose generalmente si dava poca importanza. Dato che il petrolio e il carbone in Russia sono situati prevalentemente nelle regioni più remote e inospitali, non sorprende che pochi lavoratori ci volessero andare. Nonostante gli alti salari c’era un forte ricambio della forza lavoro.
Negli ultimi decenni la cricca dominante aveva provato ogni genere di soluzioni tra cui il decentramento, la centralizzazione e di nuovo il decentramento. Ma tutto inutilmente. Alcuni, come Isaac Deutscher, immaginavano che la burocrazia si sarebbe autoestinta attraverso le riforme. Vana speranza! La casta dominante era disposta a fare qualsiasi cosa per la classe operaia, tranne scendere dalle sue spalle. Un’economia moderna, che produceva milioni di merci differenti, non si poteva organizzare adeguatamente senza il controllo e la partecipazione cosciente della maggioranza della società. Ma l’introduzione di un regime di democrazia operaia avrebbe significato la fine immediata del potere e dei privilegi della burocrazia.
Più di trent’anni fa chi scrive spiegò che, ogni anno, andava perduto fra il 30 e il 50 per cento della ricchezza prodotta dai lavoratori sovietici, a causa della malgestione burocratica, dei furti e della corruzione. A metà degli anni ’70, come abbiamo visto, il tasso di crescita economica era più basso di quello della maggior parte dei paesi capitalisti. Nel 1979 il Pil crebbe dello 0,9 per cento, nel 1980 dell’1,5 per cento e di circa il 2,5 per cento nel 1981 e nel 1982. La burocrazia agiva da enorme freno sull’economia, che rallentava da decenni soffocata dal parassitismo, dal caos e dall’aperto sabotaggio.
La corruzione e la criminalità dilagante rappresentavano un cancro che corrodeva l’organismo della società sovietica da cima a fondo. Il vergognoso saccheggio dello Stato era ben documentato da numerosi esempi che apparivano sulla stampa sovietica. Nel 1984 il direttore del Gastronom Numero Uno, un negozio alimentare di alta classe nel centro di Mosca, venne fucilato per corruzione. La polizia, scavando nel suo giardino, trovò pacchi di banconote marcite, che egli non aveva avuto il tempo di spendere. Negli ultimi anni ’70 le cose erano andate così avanti che esisteva un mercato nero non solo per i jeans o le penne a sfera, ma anche per l’acciaio, il carbone e il petrolio. Questo in Occidente veniva chiamato “mercato parallelo” e guai al direttore, aziendale che tentasse di ignorarlo!
La stampa sovietica riportò il caso del direttore di un grande magazzino, militante modello del Komsomol, che il primo giorno del suo incarico annunciò al personale riunito che non avrebbe tollerato furti, corruzione o blat (parola della malavita, che significa l’uso di legami personali per ottenere vantaggi illeciti), e che i fornitori dovevano essere pagati solo ai prezzi ufficiali fissati dallo Stato. Nel giro di una settimana il negozio era in bancarotta; non riceveva più nessuna consegna e gli scaffali erano vuoti. Il direttore trasse le conclusioni necessarie e quindi si adeguò alle consuetudini. Si possono fare milioni di esempi simili.
Nei primi anni ’80 la società sovietica era in un vicolo cieco. Tutto il sistema burocratico si trovava sul filo del rasoio. Le contraddizioni fra la struttura economica dell’Unione Sovietica e la sua direzione burocratica erano divenute fortissime, non solo nei rapporti sociali, ma anche nello sviluppo industriale. La burocrazia dominante era divisa rispetto alla strada da seguire.
Il movimento di massa dei lavoratori polacchi attorno a Solidarnosc nel 1980-81, con il suo evidente potenziale rivoluzionario, era un avvertimento dei processi che avrebbero potuto svilupparsi in Russia se non si fosse fatto qualcosa. Persino il vecchio Breznev, nella speranza di dissipare il malcontento che cominciava ad accumularsi, si spinse a rimproverare i cosiddetti sindacalisti perché “non rappresentavano” gli interessi degli operai. L’élite dominante era chiaramente preoccupata.
La natura sclerotizzata del sistema si poteva capire benissimo guardando il suo gruppo dirigente: una direzione geriatrica, diventata oggetto di pesanti barzellette. Breznev fu tenuto artificialmente in vita da medici e specialisti del Cremlino quando era già chiaramente con un piede nella fossa. Non a caso; l’élite dominante temeva che la morte di Breznev aprisse la diga. Quando finalmente egli si decise a passare a miglior vita, inizialmente nominarono un altro dinosauro, Konstantin Cernenko, come candidato di compromesso. Purtroppo morì troppo presto. Juri Andropov sembrava essere una figura più solida per via del suo passato al Kgb. Paradossalmente, questo significava che era più a contatto con la realtà, dato che in uno Stato totalitario la polizia segreta è praticamente l’unica ad essere ben informata. È probabile che Andropov capisse la pericolosità della situazione e iniziasse a progettare qualche tipo di riforma dall’alto. Ma anche lui morì inaspettatamente, lasciando la strada aperta al suo giovane protetto Michail Gorbaciov.
Questo consumato burocrate era disposto a colpire una parte della burocrazia, su cui pure si reggeva, per conservare il potere, la fiducia e il prestigio della casta dominante nel suo complesso. Allo stesso modo, per oltre un secolo, lo zarismo era riuscito a mantenersi in sella con riforme amministrative, come l’emancipazione dei servi nel 1861. Il regime si manteneva in equilibrio tra gli interessi delle diverse classi; attaccava a volte gli interessi di alcuni settori della burocrazia e dei lavoratori privilegiati, arrivando perfino a cercare il sostegno del “popolo” per questo.
L’elezione di Gorbaciov a segretario del partito nel 1985 fu un punto di svolta. I suoi discorsi al XXVII congresso del Partito comunista e al Plenum del Comitato centrale (CC) del gennaio 1987, segnarono nuovi sviluppi. Discorsi dei dirigenti del Cremlino contro la corruzione, gli sprechi e le malversazioni non erano nuovi, ma le riforme di Gorbaciov andarono ben oltre quanto era stato fatto nei trent’anni precedenti. Egli si proclamò in favore di un allentamento della presa burocratica sull’economia e sulla società sovietica in generale. Invocò una maggiore “democrazia”, l’elezione in certe condizioni dei direttori di fabbrica, elezioni nel partito e altre riforme del genere. Questi tentativi di riformare il sistema stalinista erano visti come necessari per liberare l’economia e fornire impulsi nuovi alla crescita. Questo processo venne avviato sotto le bandiere della glasnost (trasparenza) e della perestrojka (riforma).
Queste proposte non avevano nulla a che vedere con la democrazia operaia, che è incompatibile con il sistema burocratico, ma avevano solo lo scopo di rimuovere gli intralci peggiori dell’economia sovietica ormai stagnante. La crisi economica, la spaccatura della burocrazia che queste “riforme” provocavano, erano il sintomo del periodo turbolento che andava maturando in Unione Sovietica. Nella campagna per la riforma del sistema, Gorbaciov scoperchiò parzialmente il pentolone della corruzione, della criminalità e del malcontento in tutte le repubbliche dell’Unione. Egli capiva che la situazione non poteva continuare così senza il pericolo di esplosioni sociali. Un malcontento profondo si accumulava nella società. La stampa sovietica forniva migliaia di esempi di corruzione.
Nella sua relazione al XXVII congresso, Gorbaciov poté vantarsi, e non a torto, del fatto che, negli ultimi 25 anni,
il capitale fisso della nostra economia è aumentato di oltre sette volte. Migliaia di imprese sono state costruite e nuove industrie create dal nulla. Il reddito nazionale è salito del 300%, la produzione industriale del 400% e l’agricoltura del 70%. Prima della guerra, e nei primi anni del dopoguerra, il livello dell’economia statunitense ci appariva lontanissimo, ma in realtà negli anni ’70 vi ci siamo enormemente avvicinati in termini di potenziale scientifico, tecnico ed economico e li abbiamo perfino superati nella produzione di alcuni prodotti chiave. Questi progressi sono il risultato degli immani sforzi del popolo. Ci hanno permesso di accrescere sostanzialmente il benessere dei cittadini sovietici (...).
Tuttavia, Gorbaciov fu costretto ad ammettere:
Allo stesso tempo negli anni ’70 hanno cominciato a manifestarsi difficoltà nell’economia, con tassi di crescita in rapido declino. Di conseguenza gli obiettivi di sviluppo economico fissati nel programma del Pcus e anche gli obiettivi più modesti del 9º e 10º piano quinquennale non sono stati raggiunti. Né siamo stati capaci di portare avanti integralmente il programma di spesa sociale fissato per quel periodo. Ne è seguito un ritardo nello sviluppo materiale della scienza, dell’istruzione, della sanità, della cultura e dei servizi quotidiani (…); l’economia, con enormi risorse a sua disposizione, ha finito per avere continue strozzature. Si manifestava un divario tra i bisogni della società e il livello della produzione raggiunto, tra la domanda effettiva e l’offerta di beni.
Gorbaciov analizzò anche le perdite croniche nel settore agricolo, dovute alla burocrazia:
Ridurre le perdite di prodotti dell’agricoltura e degli allevamenti che subiamo durante la raccolta, il trasporto, lo stoccaggio e la lavorazione è la soluzione più immediata per aumentare il cibo a disposizione. Le potenzialità non sono poche in questo settore; l’aumento dei consumi disponibile potrebbe essere anche del 20% e, per qualche prodotto, anche del 30%. Inoltre, eliminare le perdite costerebbe solo tra un terzo e la metà di una produzione equivalente.
Gorbaciov concluse:
Oggi il primo compito del partito e di tutto il popolo è invertire con forza le tendenze sfavorevoli nello sviluppo dell’economia, infondere il giusto dinamismo e aprire la porta all’iniziativa e alla creatività delle masse, a veri cambiamenti rivoluzionari.
Con l’obiettivo di trovare il sostegno fra i lavoratori, seguirono attacchi demagogici contro la burocrazia:
A causa dell’allentamento del controllo, e per diversi altri motivi, alcuni gruppi di persone hanno sviluppato una mentalità da proprietari privati e un atteggiamento sprezzante verso la società. I lavoratori hanno legittimamente sollevato il problema di capirne le cause. Si ritiene necessario nel futuro immediato individuare misure aggiuntive contro i parassiti, i malversatori della proprietà socialista, i tangentisti e tutti quelli che scelgono una strada aliena alla natura, orientata al lavoro, del nostro sistema”. E ancora: “Siamo giustamente esasperati da ogni sorta di mancanza di beni e da quelli che ne sono responsabili (…) scrittori mercenari e sfaticati, arraffoni e autori di lettere anonime, piccoli burocrati e tangentisti.1
Fu ammesso che i dirigenti del partito avevano “perso contatto con la vita” e che incoraggiavano “l’adulazione (…) e il servilismo sfrenato nei confronti di persone di rango superiore”.2
Con cautela, muovendosi dall’alto, Gorbaciov incoraggiava, in parte, la libertà di critica, ma sempre entro limiti stabiliti. La stampa sovietica era piena degli esempi più scandalosi della rapacità di questi criminali, con i loro salari da favola, le loro auto blu e i loro conti spesa fuori controllo. La stampa dei partiti comunisti all’estero riportava servilmente senza commento questi episodi. Chi per decenni aveva giustificato ogni crimine dello stalinismo, in nome delle “meraviglie del socialismo” in Urss, ora, senza battere ciglio, diceva l’esatto contrario.
Gorbaciov e Stalin
Spesso non si ricorda che lo stesso Stalin cercò l’appoggio delle masse per colpire la burocrazia. Nel periodo dei primi piani quinquennali, Stalin fu costretto a limitare l’ingordigia della burocrazia, che tendeva a divorare una parte eccessiva del plusvalore creato dalla classe operaia. Nel tentativo di controllare la casta che pure rappresentava, Stalin introdusse il voto a scrutinio segreto. Si istituì un parlamento sulle sembianze di quelli borghesi, ma con un solo partito; non era che una farsa. Anche se ci fossero stati più candidati, solo quelli appoggiati dal partito avrebbero potuto vincere. Comunque Stalin non osò neppure mettere in pratica queste riforme. Come abbiamo spiegato, fu la rivoluzione spagnola a convincerlo di lasciare perdere e di cominciare le purghe. L’unico modo che rimaneva per tenere a bada l’appetito dei funzionari era la repressione poliziesca e il terrore. Ma tali metodi possono solo dare luogo a una nuova e più mostruosa corruzione e disorganizzazione della società, rappresentando un allontanamento dal socialismo, sicuramente non un avvicinamento.
Trotskij spiegò che la Costituzione di Stalin, che sulla carta sembrava così democratica, voleva essere una “frusta contro la burocrazia”. Il dominio bonapartista implica, tra le altre cose, il tentativo di mantenersi in equilibrio tra gruppi e classi differenti - lavoratori, contadini e la stessa burocrazia - mettendo gli uni contro gli altri. Allo stesso modo Gorbaciov fu costretto a servirsi dei lavoratori per colpire alcuni settori della casta burocratica che avevano ottenuto guadagni favolosi grazie al controllo parassitario sull’economia e sullo Stato. Gorbaciov voleva introdurre riforme controllate dall’alto, ma questo, come l’autore spiegò allora, era impossibile. Appena si allentò la presa della burocrazia, si scatenarono tutte le forze fino ad allora represse.
Mentre negli anni ’30 la classe operaia non rappresentava che un quinto della società sovietica, a metà degli anni ’80 la cifra era vicina al 70%. L’Urss non era più un paese arretrato; aveva un’economia sviluppata con la più grande classe operaia del mondo. Queste riforme, anche se limitate, avrebbero potuto spingere i lavoratori ad agire come forza indipendente. Inevitabilmente, una volta che i lavoratori fossero riusciti ad ottenere un certo livello di controllo, avrebbero iniziato a lottare per il potere operaio: perché dare alla burocrazia più di un salario di sovrintendenza? Perché permettere i privilegi, le tenute in campagna, le auto blu, i negozi speciali e tutti gli altri benefici a cui accedevano solo i dirigenti statali e del partito?
Un uomo che cavalca una tigre ha difficoltà a scendere. Una volta imboccata la strada delle cosiddette riforme, per Gorbaciov fu impossibile invertire il processo che aveva messo in moto. Come Stalin, Gorbaciov prese misure contro gli strati bassi della burocrazia e anche contro qualche alto burocrate, individuando capri espiatori per i peccati del sistema nel suo complesso. Così nei primi undici mesi in cui fu al potere egli cacciò 46 dirigenti regionali su 156.
In ultima analisi, le riforme avevano lo scopo di aumentare la produttività del lavoro. Il regime sperava, con la politica del bastone e della carota (disciplina e incentivi), di spingere i lavoratori a produrre di più. Mentre cercava di appoggiarsi sui lavoratori, Gorbaciov tentò di riportare in vita i metodi stalinisti dello stacanovismo, dal nome di un minatore che avrebbe estratto 100 tonnellate di carbone in un solo turno (sei volte più del normale!). Questa era una forma estrema del taylorismo, una sorta di cottimo nato negli Usa, che implicava uno sfruttamento disumano degli operai. Al tempo di Stalin, vennero create squadre di “operai d’assalto” (udarniki), responsabili di determinare le quantità “normali” di produzione, a livelli assurdamente elevati.
All’epoca Trotskij spiegò che era più facile motivare una piccola minoranza di “lavoratori d’assalto” che la massa e sottolineò la contraddizione di una società che pretendeva di “costruire il socialismo”, ma imitava i peggiori e più alienanti metodi di sfruttamento del capitalismo. Invece di andare verso una maggior eguaglianza, questo significava l’aumento della disuguaglianza e la formazione di uno strato privilegiato fra la classe operaia. Anche se alcuni stacanovisti erano lavoratori onesti, la maggior parte di essi erano carrieristi e tirapiedi, odiati dai loro compagni che a volte li attaccavano, li picchiavano e in alcuni casi li uccidevano. Persino negli anni ’30 lo stacanovismo rappresentò un arretramento; nel contesto di una moderna economia, che voleva sviluppare il “comunismo”, la contraddizione era ancora più lampante.
Trotskij spiegò allora che:
Il lavoro salariato non perde in un regime socialista il suo avvilente carattere di schiavitù. Il salario “secondo il lavoro” è in realtà calcolato nell’interesse del lavoro “intellettuale”, a detrimento del lavoro manuale e soprattutto del lavoro non qualificato. È fonte di ingiustizia, di oppressione e di costrizione per la maggioranza, di privilegio e di “vita comoda” per la minoranza.
Invece di riconoscere apertamente che le norme borghesi di lavoro e di ripartizione predominano ancora nell’Urss - continua Trotskij - gli autori della Costituzione [la nuova Costituzione introdotta da Stalin nel 1936], dividendo in due parti staccate questo unico principio comunista, hanno rimesso ad un avvenire imprecisato l’applicazione della seconda proposizione e hanno dichiarato la prima realizzata, aggiungendovi meccanicamente la norma capitalista del lavoro a cottimo e facendo di tutto questo il “principio socialista”. Ed è su questa falsificazione che erigono l’edificio di una Costituzione!
E ancora:
Senonché, fatto tutt’altro che trascurabile, la legge che protegge l’isba, la vacca e il mobilio approssimativo del contadino, dell’operaio e dell’impiegato garantisce al tempo stesso l’albergo riservato al burocrate, la sua villa, la sua automobile e gli altri articoli di consumo personale o “oggetti di comodità”, di cui si è appropriato grazie al principio socialista: “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro”. E l’automobile del burocrate, non dubitiamone, sarà meglio difesa dalla nuova legge fondamentale che la carretta del contadino.3
Nel disperato tentativo di trovare una via d’uscita, Gorbaciov tentò di rivitalizzare l’economia appellandosi ai lavoratori e facendo esempi eclatanti dei danni provocati dal controllo burocratico. Tuttavia Gorbaciov non rappresentava gli interessi dei lavoratori. Le sue riforme avevano lo scopo di combattere i privilegi “illegali” dei funzionari, mentre crescevano quelli “legali”. Durante il suo governo, la differenziazione dei salari crebbe costantemente, al contrario di quanto sostenesse Lenin. Di fatto, le proposte di Gorbaciov non avevano nulla in comune con la democrazia leninista o con il vero socialismo. La burocrazia temeva la classe operaia. Privilegi legali e illegali, corruzione e furti andavano ridotti, ma nel farlo Gorbaciov non voleva intaccare i cardini del dominio burocratico. I privilegi “legittimi” si mantenevano e anzi aumentavano.
Gorbaciov utilizzò deliberatamente la definizione errata di Stalin, il quale sostenne: “Stiamo ripristinando interamente il principio del socialismo: “Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro””.4 Questo distorceva la formulazione originale di Marx, il quale aveva spiegato che nel comunismo non ci sarebbe stato l’obbligo del lavoro e ogni membro della società avrebbe prodotto “secondo le proprie capacità”. La sovrabbondanza della società senza classi avrebbe quindi permesso agli uomini di prendere “secondo i propri bisogni”.
Questo concetto non aveva nulla a che vedere con la situazione in cui operava Gorbaciov, il quale utilizzava quella definizione erronea come giustificazione delle proprie scelte.
Malgestione burocratica
Il cattivo funzionamento burocratico aveva provocato ogni tipo di distorsione nell’economia sovietica. Mentre alcuni settori erano all’avanguardia, altri erano privi di investimenti, come la fabbrica di autobus Likino negli Urali, che produceva lo stesso modello del 1970, con macchine utensili costruite quarant’anni prima. Eppure Gorbaciov insisteva che i lavoratori dovevano produrre beni di qualità, sanzionando chi non si atteneva a tali obiettivi.
Con macchinari obsoleti, e ostacolati dalla burocrazia e dalla cattiva gestione, era praticamente impossibile rispettare le norme di produzione stabilite. Così la perestrojka significò per molti lavoratori un peggioramento dei salari e delle condizioni di lavoro. La burocrazia, come i padroni in Occidente, stava cercando di uscire dalla crisi esercitando pressioni sulla forza lavoro, aumentando la produttività a scapito dei nervi e dei muscoli dei lavoratori.
Gorbaciov nel libro Perestrojka, unico suo tentativo di affrontare delle questioni “teoriche”, cercò di giustificare le differenze salariali definendole compatibili col socialismo! In condizioni di povertà, privazioni ed arretratezza, con una classe operaia semianalfabeta e una classe contadina analfabeta, i bolscevichi erano stati costretti a concedere agli specialisti borghesi salari che superavano di molto il massimo stabilito dal partito. Per una nazione sviluppata, tali ineguaglianze sarebbero state considerate da Lenin e Trotskij del tutto imperdonabili. Lenin previde che, mano a mano che l’economia sovietica fosse progredita, le disuguaglianze si sarebbero gradualmente ridotte.
Quando l’Unione Sovietica divenne una nazione industriale con una classe operaia altamente istruita, l’esistenza di differenze salariali di questo genere era totalmente antisocialista ed antimarxista. Invece di difendere una posizione leninista per un’uguaglianza sempre maggiore e l’abolizione progressiva delle differenze salariali, Gorbaciov le aumentava.
Come Stalin, Gorbaciov cercava di allargare la base della burocrazia creando uno strato privilegiato, un’aristocrazia operaia, con elevati incentivi legati alla produttività. Il problema era che l’aumento delle disuguaglianze e delle differenze salariali, ponendo i lavoratori uno contro l’altro e una fabbrica contro l’altra, sarebbe servito solo ad alimentare il fuoco del rancore. Non fu un caso che Gorbaciov, nel suo discorso per l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, parlò di opposizione alle sue riforme non solo da parte della burocrazia ma anche da parte dei “collettivi di lavoro”. Ciò indicava l’allarme crescente da parte della burocrazia di fronte all’ondata di scioperi che per la prima volta venivano ampiamente riportati sulla stampa sovietica. Ad esempio, i lavoratori della fabbrica di autobus Likino erano scesi in sciopero contro un taglio dei salari di 60-70 rubli al mese dovuto al mancato pagamento dei premi di produzione. La transizione verso il socialismo doveva comportare una riduzione delle desiguaglianze, ma Gorbaciov faceva il contrario.Così l’affermazione secondo la quale l’Urss sarebbe già arrivata al socialismo suonava come un tragico scherzo.Malgrado ciò Gorbaciov ricevette gli elogi dei leader stalinisti di tutto il mondo, e di molti partiti riformisti, per il suo “socialismo dal volto democratico”.
L’Urss non era più lo Stato debole, impoverito e assediato dei tempi di Lenin. Come Gorbaciov stesso aveva rilevato, l’Urss era ormai un paese ricco e con vaste risorse. Se i lavoratori avessero veramente preso nelle loro mani la gestione dello Stato, dell’industria e della società, tutti i colli di bottiglia prodotti dalla burocrazia avrebbero potuto essere eliminati in fretta. Liberata dalla stretta mortale della burocrazia, l’economia pianificata avrebbe preso il volo. Nell’arco di un piano quinquennale la ricchezza della società sarebbe potuta aumentare in maniera enorme grazie alla libera iniziativa e all’entusiasmo delle masse.
Nel 1919, quando i lavoratori presero il potere in Sassonia e in Baviera, subito Lenin propose loro di introdurre la giornata lavorativa di sette ore, affinché avessero il tempo per gestire l’industria e lo Stato. Gorbaciov si dichiarava per un ritorno alle idee di Lenin, ma in realtà non era più leninista di Stalin. Se si fosse fatto un appello ai lavoratori ed ai contadini perché prendessero il controllo della società e dell’industria, sarebbe stato subito possibile procedere verso una riduzione della giornata lavorativa, condizione preliminare per stabilire un vero regime di democrazia.
Ciò sarebbe vero anche nella Russia odierna, una volta superato il caos spaventoso provocato dal capitalismo mafioso in questi anni. Il controllo democratico e la partecipazione delle masse, nel contesto di non più di due piani quinquennali, potrebbero trasformare tutta la situazione. Dato il livello attuale di sviluppo, sarebbe possibile introdurre molto rapidamente le 32 ore settimanali, seguite in pocchi anni da un’ulteriore riduzione di orario.
Le risorse tecniche e scientifiche necessarie per avvicinarsi al socialismo, assenti nel 1917, erano state costruite in Urss. Anche considerando la stima più conservatrice, l’economia sovietica negli anni ottanta avrebbe potuto conseguire, a queste condizioni, tassi di crescita due o tre volte superiori a quelli raggiunti, superando anche i risultati migliori dell’Occidente. Se una tale crescita si fosse mantenuta, nel giro di dieci anni l’Unione Sovietica avrebbe potuto superare gli Usa non solo in termini assoluti, ma anche nella produttività del lavoro, l’indice più importante del progresso economico. Su questa base sarebbe stato possibile avvicinarsi al socialismo ed assistere al rifiorire dell’arte, delle scienze e della tecnica.
La soluzione di Gorbaciov era invece quella di realizzare “una democratizzazione generalizzata della gestione, potenziando il ruolo dei collettivi di lavoro, rafforzando il controllo dal basso ed assicurando la trasparenza dell’operato degli organismi economici”. Ma le sue dichiarazioni d’intenti erano pura demagogia; un’azione seria in questa direzione avrebbe colpito il cuore stesso del controllo burocratico ed egli non aveva certo intenzione di arrivare ad un punto tale. I cambiamenti erano in realtà solo di facciata. Fu ammessa una consultazione limitata dei lavoratori, nel tentativo di coinvolgerli in certe decisioni, ma senza l’introduzione di gestione e controllo operaio veri. Nonostante questo, Gorbaciov continuò ad insistere nella solita maniera demagogica:
Gli organismi elettivi dovrebbero essere più esigenti verso il proprio apparato. Nessuno può soprassedere al fatto che i dirigenti che rimangono in carica per lunghi periodi tendono a perdere il contatto con il nuovo, a separarsi dalla gente attraverso istituzioni che hanno ideato loro stessi e a volte anche a frenare il lavoro degli stessi organismi elettivi. È arrivato il momento di stabilire una procedura che consenta ai soviet ed a tutti gli organismi sociali di valutare e di verificare il lavoro dei responsabili del loro apparato dopo ogni elezione facendo opportune sostituzioni di personale.
Al giorno d’oggi è necessario un coinvolgimento sempre maggiore delle organizzazioni sociali nell’amministrazione del paese. Tuttavia, in questo contesto, risulta evidente che molte di queste mancano di sufficiente iniziativa. Alcune di esse cercano di operare soprattutto attraverso i loro addetti in maniera burocratica e si appoggiano poco alle masse. In altre parole il carattere popolare, collettivo e indipendente delle organizzazioni sociali è lontano dall’essere pienamente realizzato.
Nel suo discorso al XXVII Congresso del Partito, Gorbaciov si dichiarò addirittura favorevole al “principio di eleggibilità di tutti i dirigenti di équipe e poi progressivamente ad altre categorie di personale dirigente: capireparto, sovrintendenti di reparto, settore o turno e i direttori di dipartimento di fattorie statali”. Gorbaciov faceva di tutto per spingere in avanti l’economia, ma stava giocando col fuoco. Una volta che si introduce “l’eleggibilità”, per quanto riguarda i lavoratori, dove si può finire?
Il fatto che egli fosse costretto a sollevare nel suo discorso del gennaio 1987 la questione dell’elezione di tutte le cariche nel Partito Comunista era un’indicazione che non erano stati ottenuti molti successi nell’elezione dei capireparto ecc.; la burocrazia aveva bloccato l’applicazione di questo cosiddetto principio.Gorbaciov cercava di usare queste “riforme” come una frusta contro la burocrazia all’interno del partito stesso. La situazione reale nella società sovietica risultava evidente dal tentativo disperato di Gorbaciov di utilizzare il voto segreto, come aveva fatto Stalin, nelle elezioni di tutti i livelli del partito comunista, da quelli inferiori a quelli superiori; questo doveva essere un mezzo per stroncare i settori più reazionari della burocrazia, che volevano continuare il loro saccheggio dello Stato sovietico.
Nella società capitalista - spiega Trotskij - il voto segreto ha come scopo di sottrarre gli sfruttati all’intimidazione degli sfruttatori. Se la borghesia ha finito per consentirvi sotto la pressione delle masse, è perché si sentiva interessata a proteggere in una certa misura il suo Stato contro la demoralizzazione che vi seminava. Ma non può esistere nella società socialista, a quanto pare, la paura nei confronti degli sfruttatori. Contro chi bisogna dunque difendere i cittadini sovietici? Ma contro la burocrazia! Stalin ne conviene abbastanza francamente. Interrogato: “Perché avete bisogno del voto segreto?”, risponde a chiare lettere: “Perché intendiamo dare ai cittadini la libertà di votare per coloro che vogliono eleggere”. Il mondo apprende così da fonte autorevole che i cittadini sovietici non possono ancora votare secondo i loro desideri. Si avrebbe torto di concludere che la Costituzione di domani assicurerà loro questa possibilità.5
Il sistema burocratico sotto Gorbaciov rimase in essenza quello che era stato durante tutto il corso del dominio della burocrazia. Il tentativo di far schioccare la frusta sopra la burocrazia era destinato a fallire. “Non è una questione sociologica, ma di interessi materiali” come spiegava Trotskij. L’economia non si poteva sviluppare senza la partecipazione e il controllo della classe operaia. Gorbaciov puntava sul mantenimento del potere inserendo alcuni elementi di partecipazione e di controllo da parte dei lavoratori. Tuttavia non può esistere un controllo “parziale” da parte della massa della popolazione; o i lavoratori prendono il controllo o questo verrà loro sottratto di nuovo. Un controllo parziale non potrebbe mai funzionare.
Una casta parassitaria
Questa era la contraddizione fondamentale della posizione di Gorbaciov. Incoraggiare una iniziativa maggiore (e quindi una maggiore produttività da parte dei lavoratori), pur difendendo i privilegi e i guadagni della burocrazia, era un tentativo di far quadrare il cerchio. Per far ripartire l’economia sovietica, per eliminare la corruzione e motivare la classe operaia, sarebbe stato necessario riconoscere ai lavoratori la libertà di organizzarsi, discutere e criticare. Ma questo era impossibile. La prima cosa che i lavoratori avrebbero messo in discussione sarebbe stata proprio la natura parassitaria dei milioni di funzionari, delle loro mogli,familiari e tirapiedi. Da un punto di vista economico, questa argomentazione era incontestabile. Ma Gorbaciov non poteva permettere che una tale questione fosse posta, per la semplice ragione che egli rappresentava gli interessi materiali della casta dominante.
Sui 19 milioni di funzionari che componevano la burocrazia, la grande maggioranza erano figli e nipoti di burocrati. Avevano tutti gli attributi di una casta dominante speciale, come quella dell’India antica, sempre più separata dalla vita e dal modo di pensare dei lavoratori comuni. La burocrazia stessa, nonostante la nuova immagine di Gorbaciov, era profondamente demoralizzata, divisa e pessimista. Dopo più di settant’anni, tutti i collegamenti con le idee e le tradizioni dell’Ottobre erano stati recisi. Nel suo famoso libro satirico La fattoria degli animali, George Orwell dipinge i maiali e gli agricoltori in una riunione dove è impossibile distinguere gli uni dagli altri.
Oltre ad avere privilegi e salari gonfiati, i burocrati vivevano totalmente separati dalle masse, con negozi, ristoranti, cliniche, case di cura e addirittura spiagge speciali. Le loro mogli non dovevano fare la fila al freddo. A differenza dei loro concittadini, potevano viaggiare all’estero, potevano accedere a valuta estera e a tutti i beni di lusso negati al resto della popolazione. Sebbene non fosse ufficialmente ammesso, esisteva anche l’equivalente delle scuole private sotto la sottile maschera di scuole speciali di lingue estere, frequentate quasi esclusivamente dai figli della burocrazia. La mentalità e l’ideologia di questo ceto non avevano niente a che fare con la classe operaia e il socialismo, come dimostrano le seguenti citazioni:
Il jet-set è proprio quello che ci si aspetterebbe. I figli dei ricconi e dei privilegiati, che non hanno nessuna intenzione di lavorare, che non credono in nulla (nemmeno nella ribellione) e fanno del loro meglio per far diventare le ville dei genitori imitazioni di Palm Beach. Vestono capi importati dall’Europa, si ubriacano, amoreggiano e fornicano, giocano d’azzardo e ballano. Considerano la massa della popolazione come bestie e gli intellettuali come saccenti e seccatori, vivono quasi esclusivamente fra di loro nelle case di uno e dell’altro e perciò sono visti raramente.6
E ancora nel Guardian (19/02/86):
Ma ci sono così tanti di questi figli dell’élite del partito che anche al di fuori della vita politica costituiscono una nuova classe in se stessi. E ora anche i loro figli frequentano scuole privilegiate. C’è oggi una classe media sovietica urbana e sofisticata con la sua rete di ex allievi, che è totalmente separata dalla nomenklatura. (enfasi nostra).
Le condizioni di vita lussuose dell’élite non erano un segreto. Il supermarket speciale del Cremlino in via Granovskij era comodamente situato a fianco della clinica speciale del Cremlino stesso. L’articolo continua:
Gli ospedali speciali per gli alti funzionari sono gli unici ad avere accesso ai farmaci occidentali; essi hanno diritto all’utilizzo di tenute in campagna e di appartamenti di lusso che sono compresi nel compenso per il loro lavoro.
(…) [Breznev] ha ammesso di vivere bene, ma ha detto di non guadagnare di più di un alto dirigente d’azienda, a cui vanno, con gli incentivi, circa 200 sterline a settimana. Anche la stampa sovietica ha trovato difficile trattenersi dal ridere davanti a questa dichiarazione.
I burocrati si erano serviti della rivoluzione per garantirsi potere e privilegi inauditi. Nelle parole di Kirpicev, nella commedia di Zorin, erano “aristocratici dai colletti bianchi, avari e presuntuosi, lontani dal popolo.” I vecchi funzionari stalinisti erano dei gangsters corrotti, ma avevano almeno dei legami con le vecchie tradizioni. Ecco invece una nuova generazione di aristocratici “nati nella porpora”, abituata ai profumi francesi, ai vestiti stranieri costosi e alle Cadillac. Raissa Gorbaciova era un classico esemplare di queste creature. Pierre Cardin descriveva Raissa come “una delle più affascinanti mogli di dignitari stranieri che abbia mai visitato il mio salone”. Per qualche strana ironia, la Gorbaciova era stata docente di marxismo-leninismo all’Università di Mosca, anche se è difficile immaginare quale tipo di marxismo possa aver insegnato.
Negli anni ’20 Sosnovskij, membro dell’opposizione di sinistra, coniò la frase “il fattore automobile-harem” in relazione all’ascesa della burocrazia. Gli aspiranti burocrati sposavano le figlie dei borghesi e degli aristocratici e imitavano le loro abitudini e le loro concezioni di vita. Le grandi auto dei funzionari e le loro “signore truccate” ricordavano la protesta di Babeuf davanti ad un fenomeno simile nel periodo della reazione termidoriana della rivoluzione francese, quando gli ex giacobini cominciarono a festeggiare e a pranzare con i nobili, e a sposare le loro figlie. “Che cosa state facendo, plebeo meschino? Oggi vi abbracciano, ma domani vi strangoleranno”. Nulla ha espresso più vividamente delle loro mogli il carattere piccolo borghese e reazionario della nuova cricca di burocrati melliflui rappresentati da Gorbaciov.
I governanti dell’Unione Sovietica erano difatti più distanti dalla popolazione di quanto lo fosse la classe dominante in Occidente. Ciò si espresse nello sfogo di uno dei delegati alla conferenza speciale del Pcus tenuta nel 1988 (non a caso, era la prima conferenza di questo tipo dal 1941): “Sappiamo di più sulla situazione del presidente Reagan o della regina d’Inghilterra di quello che sappiamo sui nostri dirigenti”.7
L’élite al potere subiva tanto più l’influenza del capitalismo quanto più diventava estranea e distante dalla società sovietica. Qui abbiamo un esempio di quello che voleva dire Engels quando parlava dello Stato come di un “potere che sta al di sopra della società e sempre più si aliena da essa.” In particolare l’élite del corpo diplomatico si abituava ad intrattenersi nei circoli della borghesia in Occidente, ed evidentemente non le dispiaceva. Eduard Shevarnadze era un personaggio tipico di questo strato. A differenza dei vecchi burocrati ignoranti e rozzi che non sapevano parlare lingue straniere, la nuova generazione era colta, cosmopolita ed elegante e aveva la mentalità dei piccoli borghesi “arrivati” che caratterizza i dirigenti riformisti quando hanno a che fare con la grande borghesia, dove la paura e l’invidia combattono con una segreta e servile ammirazione.
Mai il marciume del regime era stato più evidente che nel periodo della cosiddetta perestrojka (o “katastrojka”, come presto la ribattezzarono i lavoratori russi). Gorbaciov era abbastanza intelligente per comprendere che, se non fossero state prese misure drastiche dall’alto, tutta la macchina si sarebbe inceppata. Non c’è motivo di supporre che in quel momento intendesse ritornare al capitalismo. In quel periodo gli elementi filocapitalisti della burocrazia erano quasi sicuramente in minoranza. Ma Gorbaciov aveva avviato dei processi che avevano una propria logica.
Fermento e malcontento
Le riforme di Gorbaciov, come quelle di Kruscev, stimolarono inizialmente l’economia. Tuttavia l’obiettivo del 4% era molto scarso rispetto a ciò che avrebbe potuto raggiungere l’economia in un regime di democrazia operaia. Nel settembre 1986 la produzione industriale sovietica crebbe del 5,6% rispetto all’anno precedente, in gran parte questo fu il risultato della “spinta all’efficienza” di Gorbaciov. Ciò costituiva un miglioramento rispetto alle cifre raggiunte sotto Breznev, ma non raggiungeva ancora la crescita delle economie capitaliste ai tempi del boom; questo, in una nazione con il 25% degli ingegneri, dei tecnici e degli scienziati di tutto il mondo e le risorse di un sesto del globo a propria disposizione! Il relativo aumento fu in parte conseguito tagliando alcuni rami secchi, eliminando i funzionari più corrotti e scandalosamente inefficienti. Circa il 50% dei ministri del governo e dei presidenti di organismi statali e il 30% dei segretari di Partito furono rimossi. Circa duecentomila funzionari furono licenziati. In confronto al numero totale di burocrati (19 milioni), questa era una cifra insignificante, eppure provocò un’aspra resistenza da parte di un settore della burocrazia, guidato da Ligaciov, che si opponeva alle riforme. Senza il controllo della democrazia operaia, i burocrati avevano mille modi di eludere la perestrojka.
In realtà le riforme, lungi dal risolvere i problemi della burocrazia, li aggravavarono e li intensificarono. Per procedere lungo la strada delle “riforme” Gorbaciov era costretto ad appoggiarsi ora su una ora sull’altra frazione dell’élite burocratica. In svariate occasioni minacciò di dimettersi se le sue riforme fossero state bloccate. Voleva così lanciare un’avvertimento ai settori più conservatori della burocrazia. Ma la burocrazia non avrebbe mai accettato di farsi da parte; al contrario stava cercando di rafforzare la sua posizione privilegiata.
Quanto alla “democrazia”, oltre a qualche concessione secondaria non era cambiato molto. Le masse erano ben consapevoli che tutto era truccato da cima a fondo. L’introduzione della possibilità di avere più di un candidato alle elezioni era un tentativo di nascondere l’esistenza di un sistema totalitario a partito unico; tutti i candidati appartenevano al Partito unico o dovevano comunque essere d’accordo col suo programma.
Invece di procedere dal basso verso l’alto, il sistema funzionava dall’alto verso il basso, come una piramide capovolta. Gorbaciov si appoggiava sullo scontento crescente delle masse verso il sistema, che esse tolleravano in mancanza di un polo di attrazione rivoluzionario all’ovest. Ma l’accordo di Gorbaciov con l’imperialismo Usa ebbe conseguenze di lunga portata all’interno del paese. La “minaccia dall’esterno”, che per decenni era stata usata dalla burocrazia per paralizzare ogni opposizione da parte dei lavoratori, non aveva più effetto.
L’impasse del regime burocratico, che si manifestava nel rallentamento dell’economia, ebbe un effetto sulla psicologia di tutti gli strati della società sovietica a cominciare dalla burocrazia stessa. L’élite dominante si rese conto di non essere più capace di far progredire la società. Sempre più essa si sentiva un freno al progresso e questo malessere pervadeva l’intera società.
C’era un fermento continuo di malcontento fra gli intellettuali. I giovani erano stati gli alfieri della rivoluzione d’Ottobre e i combattenti più valorosi nella guerra civile e avevano investito tutte le loro energie nella realizzazione del primo piano quinquennale; ora la gioventù era del tutto disaffezionata. Lo scontento si manifestava in un teppismo diffuso e nell’abuso di alcolici, che rifletteva la disperazione delle fasce meno coscienti. La condizione dei giovani in Unione Sovietica nell’ultimo periodo la diceva lunga sul ruolo dello stalinismo. Dopo più di tre generazioni, si vedevano tutti i sintomi della demoralizzazione: abuso di alcolici, sottoproletarizzazione, furti, teppismo e comportamenti antisociali.
Fra gli aspetti più barbari dello zarismo, uno dei più retrogradi era il fatto che metà del bilancio dello Stato derivava dal monopolio della vodka. Esiste certamente una lunga storia di alcolismo in Russia che risale a un periodo sorprendentemente remoto. Nella Cronaca dei tempi passati, scritto nel dodicesimo secolo, Vladimir principe di Kiev, rifiutando l’Islam a favore del Cristianesimo, avrebbe asserito: “Bere è la gioia del popolo russo”. Ma il ruolo della vodka nella vita russa è troppo spesso associato a fenomeni che hanno ben poco di gioioso. Il consumo eccessivo di superalcolici riflette piuttosto una demoralizzazione senza speranza. I bolscevichi furono i primi a cercare di combattere il consumo di vodka. Ma il monopolio statale della vodka fu reintrodotto sotto Stalin come una preziosa fonte di entrate, questa misura era in aperta contraddizione con l’affermazione che il “socialismo” era stato ormai costruito in Urss.
Il consumo di alcool puro è quadruplicato nei quarant’anni successivi alla seconda guerra mondiale; una persona su sette si poteva considerare alcolizzata. L’abuso di alcolici cominciava già a scuola, mentre aumentavano le nascite di bambini con handicap fisici e mentali, fenomeno collegato all’alcool. Nel 1985 l’Izvestia affermò che ben 27 milioni di lavoratori avevano seri problemi con l’alcool. Erano così ubriachi, o malati per l’abuso di alcolici, che per almeno due giorni alla settimana non si facevano vedere al lavoro. Una ricerca in 800 fabbriche di Mosca rilevò che nell’ultima ora di ogni turno, solo il 10% dei lavoratori rimaneva ancora al suo posto.
Gorbaciov ordinò contromisure repressive radicali. Nel 1986 furono chiusi, nella capitale, nove negozi di vodka su dieci e inizialmente il consumo di alcool crollò del 40%. Ma in assenza di un autentico regime di democrazia operaia, misure che in sé avrebbero potuto essere giuste ottennero l’effetto opposto a quello voluto. Il tentativo di frenare il consumo di alcool portò effettivamente ad un miglioramento della salute, ma si rivelò un’arma a doppio taglio, provocando un calo delle entrate fiscali del 30%.
Inoltre questa misura non rimosse il flagello dell’alcolismo, un male radicato nelle condizioni di vita vigenti sotto il regime totalitario burocratico, che provocava alienazione e frustrazione crescenti in ampie fasce della società. La stampa sovietica era piena di casi di persone che si erano ammalati bevendo acqua di colonia. Gli arresti per distillazione illegale nel 1987 furono 440.000, il doppio rispetto all’anno precedente. Nel 1988, le distillerie illegali producevano dal 40 al 50% in più rispetto alle fabbriche statali. Si raccontava di piloti d’aereo che rubavano carburante e antigelo a base di alcool, per berli. Erano episodi sintomatici di disperazione.
Il regime repressivo pesava maggiormente sui giovani, che mostravano apertamente cinismo e frustrazione nei confronti del governo totalitario del cosiddetto Partito Comunista. Il Soviet Weekly (08/11/90) pubblicò un sondaggio secondo il quale solo il 14% dei giovani dell’Urss aveva fiducia nel Pcus. A scuola erano stati imbottiti di una concezione formalistica del marxismo-leninismo e ora avevano un rigetto. Il sondaggio concludeva che solo il 15-20% credeva nel socialismo. Lo scetticismo e la disillusione diffusi fra la gente si riflettevano in battute come: “Abbiamo già raggiunto il vero comunismo o ci aspetta qualcosa di peggio?”. Naturalmente questi giovani non avevano mai avuto libero accesso alle autentiche idee del marxismo e del socialismo, ma solo ad una loro sterile caricatura che paralizzava l’intelletto. L’unico “socialismo” che avessero mai conosciuto era una mostruosità totalitaria. Data la mancanza di qualsiasi alternativa, cercavano una via d’uscita attraverso l’evasione dalla realtà.
Un articolo sul giornale dei sindacati, Trud, presentò questo fenomeno con un tono esasperato ma semi-scherzoso. L’argomento in questione era troppo macabro per essere veramente divertente:
La lozione per capelli è particolarmente popolare fra gli alcolizzati di Mosca, ma se non si riesce a trovare, c’è l’acqua di colonia Kara Nova, a 65 copechi la bottiglia. Da evitare a tutti i costi è un profumo chiamato Carmen che fa sentire il cliente come se gli avessero tagliato la gola.
Le misure di Gorbaciov alla fine non ingannarono nessuno. Lo scetticismo generale si rifletteva nella barzelletta seguente:
Un uomo entra in un negozio e chiede una bottiglia di birra che il giorno prima costava 50 copechi. La commessa gli chiede un rublo.
“Ma ieri costava la metà”.
“Sì, ma deve pagare un 100% in più per la glasnost”.
“L’uomo paga di malavoglia il rublo e rimane sorpreso quando riceve 50 copechi di resto”.
“Ma non ha detto che costava un rublo?”
“Certo. I 50 copechi sono per la glasnost. Non abbiamo birra”.
Un gigantesco zero
Nell’economia regnava il caos. Anche il misero obiettivo del 4 per cento di crescita non era stato raggiunto. Dal lancio del nuovo piano quinquennale nel 1986, la crescita era stata del 2% circa all’anno. L’economista Abel Aganbegjan rivelò che la crescita economica nel 1989-90 era praticamente pari a zero. Ma il reddito procapite in realtà diminuì. Ciò costituì una condanna a morte per la perestrojka. Inoltre la partecipazione al mercato mondiale non aveva aiutato, anzi aveva peggiorato la situazione. La burocrazia aveva immaginato che la partecipazione al mercato mondiale avrebbe risolto i suoi problemi. Il commercio estero crebbe in un decennio dal 4 al 9% del Pil sovietico. Per un certo tempo ciò ebbe un effetto positivo, particolarmente nel campo della tecnologia. Ma fece anche nascere nuove contraddizioni che i governanti di Mosca, navigando a vista, non avevano previsto. Il debito dell’Urss verso l’Occidente, che nel 1983 era stato solo di 14 miliardi di dollari, si era ormai raddoppiato arrivando a 28 miliardi di dollari. Era ancora abbastanza ridotto rispetto alle dimensioni dell’economia sovietica, ma rendeva di nuovo attuale la domanda di Lenin: “Chi prevarrà?”.
La crisi economica si fece sentire con una caduta del tenore di vita, con le code nei negozi e con la carenza di cibo. Su mille beni di consumo di base, solo quattro si trovavano regolarmente nei negozi. Questo era il risultato del caos burocratico. Ci fu un raccolto record, con abbondanza di grano e patate, ma non arrivava nei negozi. Una grande quantità di prodotti veniva trattenuta in attesa dell’aumento dei prezzi. Un milione di tonnellate di cibo marciva nei porti. Il giornale dei sindacati Trud fece l’esempio di scaffali di negozi che avrebbero dovuto essere pieni di frutta e verdura fresca e che invece avevano solo barattoli di albicocche bulgare. In seguito la situazione peggiorò. Secondo il Soviet Weekly (8/11/90): “una cifra sbalorditiva di 70 milioni di persone - un quarto della popolazione - oggi riesce a malapena a sbarcare il lunario.”
Un articolo della Pravda del 18 ottobre 1990 dipingeva un quadro allarmante di disintegrazione economica e sociale:
La situazione continua a peggiorare; la produzione è in calo; i collegamenti economici sono stati spezzati. Le tendenze separatiste diventano sempre più forti. Il mercato dei consumatori è un macello. Il deficit di bilancio e il credit-worthiness (la possibilità di ottenere prestiti - NdT) dello Stato hanno raggiunto livelli critici. I comportamenti antisociali e la criminalità sono cresciuti. La vita sta diventando più difficile, gli incentivi a lavorare si sono indeboliti, la fiducia nel futuro sta crollando. L’economia è in una situazione altamente pericolosa.
La carenza di cibo e di altri beni di consumo era endemica. La scontento della popolazione era alimentato dalla consapevolezza che queste carenze erano artificiali, risultato di incompetenze e di sabotaggi. La vodka sottratta dai negozi veniva venduta al mercato nero a prezzi gonfiati. Non c’erano sigarette nei negozi, ma le fabbriche ne erano piene. La carne restava a marcire nei magazzini. La domanda veniva soddisfatta solo per il 66%. Non appena le merci arrivavano nei negozi la gente ne faceva incetta, aumentando così la scarsità di beni. La stampa ufficiale ammetteva che “negli ultimi quattro anni 13.000 tipi di articoli sono scomparsi dagli scaffali”.8
La politica anti alcool fallì e ancora una volta ci furono lunghe file per la vodka. Il 22 agosto 1990 la rabbia e la frustrazione accumulate esplosero; ci furono disordini a Celjabinsk provocati dall’interruzione dei rifornimenti di alcoolici. Quando arrivò la milizia la folla la costrinse a ritirarsi.
La milizia si schierò con gli scudi a mo’ di testuggine tipica della Roma antica, ma anche quella fortezza rudimentale non poteva resistere all’attacco della folla inferocita. Circondando la milizia da tutte le parti i teppisti lanciarono sanpietrini alle truppe da distanza ravvicinata.9
La situazione a Celjabinsk fu peggiorata dallo scandalo, emerso in seguito, che coinvolgeva il Partito comunista locale. “Gli ispettori degli approvvigionamenti pubblici scoprirono un magazzino segreto pieno di leccornie nella sede centrale del Partito comunista”. Nello stesso articolo si ammetteva che “la situazione politica e sociale ai tempi dei disordini per la vodka era simile a quella che esiste oggi in molte città sovietiche”. In altre parole la pazienza delle masse stava raggiungendo il limite e qualsiasi fatto accidentale poteva provocare un’esplosione. Era evidente anche che le masse cominciavano a perdere la loro paura delle forze repressive dello Stato. Ma in assenza di una alternativa seria, cioè di un partito e di un programma rivoluzionari, lo scontento delle masse non trovava uno sfogo efficace.
Di fronte al vicolo cieco in cui si trovava il regime, un settore crescente della burocrazia cercava una via d’uscita nell’Occidente, che stava ancora attraversando un boom, per quanto artificiale e temporaneo. I rappresentanti dell’élite burocratica avevano occasione di stare a stretto contatto con miliardari, diplomatici e presidenti nelle loro visite sempre più frequenti all’ovest. Mettevano a confronto questo spettacolo scintillante con il quadro di impasse e di stagnazione che si erano lasciati alle spalle, e il paragone non appariva molto lusinghiero. In tal modo, fra una parte dei burocrati l’idea dell’Occidente come “modello” cominciava seriamente a farsi strada.
Ciò dimostrava la totale bancarotta ideologica dei leaders dell’Unione Sovietica e del Pcus. Impressionisti superficiali come Gorbaciov e Shevardnadze si lasciavano ingannare. Come tutti i burocrati, ai tempi della scuola avevano imparato frammenti di un’ideologia confusa e mutilata che veniva spacciata per marxismo-leninismo, ma il vero marxismo era per loro un mistero. La loro completa mancanza di una visione di classe era dimostrata dall’osservazione tipicamente filistea di Gorbaciov su come i capitalisti fossero “anche esseri umani”. In altre parole, si può conversare con i leaders occidentali “da uomo a uomo” e appianare le divergenze attorno al caminetto, come se si trattasse di “chimica personale” e non delle differenze inconciliabili fra due sistemi sociali incompatibili!
I burocrati sovietici non erano gli unici che avevano cambiato lato della barricata. Il dirigente comunista bulgaro Todor Zivkov ammise nel 1990 che da tempo credeva che il socialismo fosse morto e irrealizzabile. Jaruzelski, autore del golpe stalinista, ora affermava che era stato un errore terribile e chiedeva scusa al popolo polacco! Anch’egli improvvisamente comprese che “il capitalismo è l’unica strada”.
Per questa gente un’apostasia del genere era solo un passo logico; dopo tutto nella pratica avevano rotto con il socialismo da molto tempo. Ciò era stato previsto da Trotskij mezzo secolo prima, quando scrisse che la burocrazia non si sarebbe accontentata del potere e dei privilegi usurpati, ma avrebbe cercato di tutelare la propria posizione, e quella dei propri figli, trasformandosi in capitalisti.
Dapprima, Gorbaciov fece un tentativo di resistere alle richieste radicali per una transizione rapida verso il capitalismo. Rizkov aveva una posizione simile: voleva il mantenimento dei settori vitali dell’economia in mano statale, ma anche lasciare spazi al mercato. Gorbaciov vacillava continuamente fra le opposte correnti della burocrazia. Nel frattempo, i generali diventavano sempre più impazienti riguardo al trattato dell’Unione e alla conseguente minaccia all’Urss. Verso la fine del 1990 Gorbaciov finalmente rese pubblici i punti principali del suo piano. Erano un guazzabuglio disastroso di buone intenzioni e idee contraddittorie.
La stabilizzazione della moneta si doveva realizzare con un fondo di valuta pregiata per finanziare il commercio estero. Ci sarebbero state delle privatizzazioni, ma solo di piccole imprese, e in maniera graduale; una liberalizzazione dei prezzi, un decentramento (ma mantenendo l’Urss) e, naturalmente, la deregolamentazione dei salari. Ultimo, ma non meno importante, un deficit di bilancio inferiore al 3% del Pil (questa è anche una delle condizioni di Maastricht, che gli Stati dell’Unione europea non hanno raggiunto facilmente) attraverso ferrei controlli del credito. Le sue conclusioni erano ottimistiche: “Dovrebbe emergere un’economia equilibrata, con un mercato saturo di beni di consumo e servizi”. Ma era l’ottimismo di un uomo che cammina sull’orlo di un burrone.
Gorbaciov continuava a professarsi “socialista” e “comunista”, ma con la sua condotta dimostrava di non credere ad una parola di quello che diceva. Risultò evidente in un’intervista concessa alla televisione britannica dove ripeté l’assurdo mito per cui tutto sarebbe andato bene in Russia, se solo la Rivoluzione di Febbraio avesse avuto successo! Questo fa capire la sua totale mancanza di comprensione sia della Rivoluzione di Febbraio, sia di quella di Ottobre. Non è necessario dilungarsi su questa questione, che abbiamo affrontato altrove. È un’emblematica manifestazione di degenerazione il fatto che, dopo settant’anni dall’Ottobre, il segretario generale del Pcus ripeta una tale assurdità.
Reagan e gli altri capi occidentali, mentre in pubblico elogiavano Gorbaciov, probabilmente ridevano alle sue spalle. I diplomatici statunitensi sicuramente non credevano ai loro occhi. Quest’uomo poco lungimirante venne rapidamente trascinato nella logica della capitolazione da questa gente, che in realtà era decisa a strangolare e a mettere in ginocchio l’Unione Sovietica. Ancora oggi Gorbaciov continua a nutrire illusioni sulla “democrazia occidentale”, o, per essere più precisi, sulla “democrazia in quanto tale”, tipiche di un riformista piccolo borghese che immagina di poter conciliare interessi di classe antagonisti. La sua immagine di realismo pragmatico è solo una foglia di fico per coprire la sua impotenza.
Con ogni probabilità Gorbaciov non voleva la restaurazione del capitalismo in Russia, ma ne preparò il terreno e fu messo inevitabilmente da parte dal suo “pupillo” Eltsin, non appena salì in sella alla testa della frazione della nascente borghesia. Oggi Gorbaciov è disposto ad accettare il fatto compiuto delle cosiddette riforme, mentre piagnucola per le loro disastrose conseguenze. Anche per questo aspetto è una copia fedele dei dirigenti socialdemocratici occidentali che sono pronti ad abbracciare il capitalismo, ma non sono contenti con tutto ciò che inevitabilmente ne consegue.
Illusioni in Gorbaciov
È incredibile come molti elementi della sinistra in Occidente si sono lasciati abbindolati da Gorbaciov. Non solo la destra e la sinistra dei partiti riformisti, ma anche qualche sedicente trotzkista, si sono fatti in quattro per rendere omaggio a questo “grande riformatore e statista”. Questa gente era incapace di distinguere fra l’ombra e la sostanza. In realtà Gorbaciov difendeva gli interessi della casta dominante. Certo, la sua immagine era diversa da quella dei vecchi dirigenti stalinisti, ma la differenza era più di stile che di contenuto.
Gorbaciov era un burocrate colto e pratico dei paesi esteri, ben diverso dai parvenu rozzi, limitati e ignoranti dei tempi di Stalin. Capiva l’impasse in cui si trovava il sistema burocratico.
Tuttavia, senza l’iniziativa delle masse, non si può risolvere nulla. Anche sotto il capitalismo è così; la maggioranza delle grandi fabbriche produrrebbe meno e peggio se i lavoratori non applicassero la loro intelligenza e capacità, a volte aggirando le regole, per mantenere in funzione i macchinari. Ogni anno in Gran Bretagna si ricavano centinaia di milioni di sterline dai suggerimenti dei lavoratori.
Questo dimostra l’enorme potenzialità di un sistema basato sulla gestione e sul controllo operaio che sprigionerebbe l’iniziativa, l’intelligenza e la creatività dei lavoratori. Sono stati molti quelli che hanno nutrito illusioni sul fatto che la burocrazia potesse riformare se stessa.
Uno di questi era Roy Medvedev, uno storico capace che, pur manifestando grande coraggio personale nella lotta contro il regime, non riuscì a sviluppare un’analisi marxista veramente coerente. Medvedev rappresentava l’ala “sinistra” dellaburocrazia. Voleva che il regime si riformasse in un modo rigorosamente legale e costituzionale.
Per ciò che riguarda i mezzi e i modi di lotta politica, devono essere assolutamente legali e costituzionali, - dice Medvedev - esistono alcuni gruppi estremisti che credono nell’utilizzo di metodi illegali, ad esempio la fondazione di tipografie clandestine.10
Poi cita un suo avversario che evidentemente valutava in modo esatto la burocrazia:
“Tu credi che il vertice appoggerebbe un certo grado di democratizzazione, ma per i vertici significherebbe liquidare se stessi; l’intera storia politica conferma la natura utopica di una tale aspettativa. Nessun governo si ritira per sua spontanea volontà. Le tue idee sono nocive dal momento in cui creano illusioni sulla facilità con cui il programma di riforme che proponi si possa realizzare. Suggerisci che, in base ad un cambiamento nelle condizioni sociali e politiche, forze fresche entrerebbero a far parte dell’apparato e trasformerebbero i suoi modi burocratici. Ma ciò incoraggia l’idea erronea di un processo spontaneo e automatico; in realtà queste forze fresche incontrerebbero inevitabilmente un’aspra resistenza”.11
Di nuovo Medvedev vuota il sacco quando dice: “Riforme troppo precipitose possono creare problemi con il blocco socialista (come ha insegnato l’esperienza cecoslovacca)”.12 Chiaramente ogni movimento della classe operaia per liberarsi dal giogo della burocrazia “creerebbe problemi”. Ma immaginare che la casta dominante si potesse arrendere senza lottare era solo una pia illusione.
Un altro esempio è costituito da Isaac Deutscher. Il suo nome è spesso legato a quello di Trotskij per la sua biografia in tre volumi del grande rivoluzionario. Ma politicamente i due non potrebbero essere più lontani. Infatti nella sua biografia di Stalin, Deutscher cerca di glorificare il ruolo di quest’ultimo. Invece di descriverlo come il capo della burocrazia controrivoluzionaria, lo fa apparire come un grande rivoluzionario incompreso:
Stalin è stato sia il leader che lo sfruttatore di una rivoluzione tragica e contraddittoria, ma creativa. Come Cromwell, egli incarna la continuità di una rivoluzione attraverso tutte le sue fasi e metamorfosi, sebbene il suo ruolo fosse meno importante in una prima fase. Come Robespierre ha dissanguato il proprio partito e come Napoleone ha costruito il suo impero per metà conservatore e metà rivoluzionario esportando la rivoluzione al di là dei suoi confini nazionali (…). Ma per salvarla [la parte migliore del lavoro di Stalin”] per il futuro e renderle tutto il suo valore, la storia dovrebbe forse ancora ripulire e rimodellare il lavoro di Stalin così rigorosamente come a sua volta ha ripulito e rimodellato il lavoro della rivoluzione inglese dopo Cromwell e di quella francese dopo Napoleone.13
Deutscher non ha mai capito Trotskij o il suo grande contributo al marxismo, cioè la sua analisi dello stalinismo. Quello che c’è di corretto nella sua trilogia Deutscher l’ha preso a prestito da Trotskij, ma il suo approccio alle questioni teoriche non è di nessun valore. Liquida il “fiasco della Quarta internazionale” e “i suoi armeggiamenti riguardo alla riforma e alla rivoluzione in Urss” come meri voli di fantasia.14 In realtà, senza una comprensione delle idee di Trotskij sullo stalinismo, è impossibile afferrare ciò che sta accadendo nell’ex-Unione Sovietica oggi. Lungi dall’essere meri “armeggiamenti”, le sue idee sono state confermate pienamente dai fatti. Lo stesso non si può dire delle previsioni di Isaac Deutscher.
Dopo la morte di Stalin, Deutscher salutava la cosiddetta “destalinizzazione” di Kruscev come un grande passo in avanti. Ecco le conclusioni di Deutscher nel terzo volume della sua biografia di Trotskij:
È chiaro che anche sotto lo stalinismo la società sovietica otteneva progressi immensi in molti campi e che il progresso, inseparabile dalla sua economia pianificata e nazionalizzata, disgregava ed erodeva lo stalinismo dall’interno. All’epoca di Trotskij era troppo presto per cercare di fare un bilancio di questo sviluppo. I suoi tentativi in questo senso non furono privi di errori; e il bilancio non è ancora abbastanza chiaro, anche un quarto di secolo più tardi. Ma è evidente che la società sovietica si è sforzata, non senza successo, di disfarsi delle pesanti colpe e di sviluppare i grandi pregi ereditati dall’era di Stalin. C’è molta meno povertà, disuguaglianza e oppressione nell’Unione Sovietica nei primi anni ’60 che negli anni ’30 o nei primi anni ’50. Il contrasto è così impressionante che è un anacronismo parlare della “nuova schiavitù totalitaria stabilita dal collettivismo burocratico” (…) È ancora una questione controversa se la burocrazia sovietica sia “una nuova classe” e se sia necessaria una riforma o una rivoluzione per portare alla fine il suo dominio arbitrario. Ciò che è fuori di dubbio è che le riforme del primo decennio post-staliniano, per quanto contraddittorie e insufficienti, hanno mitigato e limitato il dispotismo burocratico in maniera rilevante e che correnti fresche di aspirazioni popolari stanno lavorando per trasformare la società sovietica ulteriormente e in modo più radicale.15
Fin dall’inizio Deutscher si illuse che la burocrazia potesse “deburocratizzarsi” e introdurre il socialismo. Trotskij ebbe mille volte più ragione quando previde che la burocrazia si sarebbe diretta verso il capitalismo con l’intento di rafforzare i suoi privilegi piuttosto che dare il potere alla classe lavoratrice, e a maggior ragione nel contesto del temporaneo boom economico all’Ovest che ha coinciso con le riforme di Gorbaciov.
La tesi centrale di Deutscher è formalistica e non marxista: secondo il suo ragionamento,se la burocrazia si era sviluppata come conseguenza dell’arretratezza della Russia, avrebbe dovuto scomparire in modo spontaneo e indolore man mano che la società fosse progredita a un livello economico e culturale superiore. Questa tesi non considera le contraddizioni di classe insite nella società. In qualsiasi società di classe, lo Stato, una volta nato, acquisisce un proprio slancio. Tutta la storia dimostra precisamente l’opposto delle tesi di Deutscher. Quando lo sviluppo delle forze produttive non è più compatibile con le forme di proprietà esistenti, la classe dominante e lo Stato non si conciliano affatto con la logica del progresso storico; si battono per mantenere il loro potere e i loro privilegi, anche quelli che sono in palese contraddizione con le esigenze del progresso economico. Il sistema capitalista è da tempo un freno allo sviluppo delle forze produttive, ma ciò non significa che la classe capitalista voglia cedere il potere al proletariato!
Lo sviluppo delle forze produttive non determina automaticamente la natura dello Stato. Se così fosse la rivoluzione non sarebbe necessaria, né in Russia né altrove; l’intera storia umana sarebbe un’evoluzione tranquilla e graduale nella direzione del progresso. Ma anche uno scolaro sa che non è così. L’inevitabilità della rivoluzione sorge precisamente dal fatto che nessuna classe o casta dominante si arrende in questo modo. La burocrazia sovietica non fu un’eccezione, particolarmente dopo che Stalin ebbe sterminato i rappresentanti dell’Ottobre. Il modo in cui la burocrazia consolidò il suo potere - avanzando con le purghe attraverso un mare di sangue - dimostrò che questa casta dominante non si sarebbe fermata davanti a nulla pur di mantenere il potere. Come spiegò Trotskij, “Non si è mai visto un diavolo tagliarsi volontariamente le unghie. La burocrazia sovietica non abbandonerà le sue posizioni senza combattere: il paese si avvia manifestamente verso una rivoluzione”.16
Tutte le argomentazioni di Deutscher erano nella tradizione del menscevismo. Egli rifletteva la stessa logica del riformismo che cerca di dimostrare che la rivoluzione in generale è scomoda e superflua. Il suo stampo di “realismo” era in effetti un rozzo empirismo privo di comprensione storica. Era lo stesso tipo di mentalità che ha portato i dirigenti socialdemocratici in Europa ad abbandonare il socialismo e ad approdare all’economia di mercato, vale a dire a passare dalle riforme alle controriforme. Così questo presunto realismo si è rivelato una pura utopia.
La visione di Deutscher di una burocrazia che si autoriforma fornì una speranza confortante agli “amici” radicali dell’Urss, che sognavano una transizione indolore al socialismo. In realtà ciò era impossibile senza un movimento di massa della classe operaia. Il successo o il fallimento non dipendevano dalla buona volontà della burocrazia, ma esclusivamente dalla volontà della classe operaia di lottare per la propria emancipazione. L’esperienza dell’Ungheria dimostra come un movimento di massa rivoluzionario possa dividere la burocrazia e conquistarne una gran parte alla rivoluzione politica.
Al contrario le cosiddette riforme di Gorbaciov, che avevano lo scopo di impedire una rivoluzione dal basso e conservare il dominio della burocrazia, prepararono il terreno per il passaggio di un vasto settore della burocrazia al capitalismo, piuttosto che accettare l’abolizione dei propri privilegi.
Al giorno d’oggi le teorie di Deutscher non hanno nemmeno un interesse storico. In tutta onestà è necessario aggiungere che Tamara, vedova di Isaac Deutscher, in un programma televisivo della Bbc poco prima della sua morte, ebbe il coraggio di ammettere pubblicamente che Trotskij aveva avuto ragione fin dall’inizio su questa questione. Guardando indietro a quel periodo è incredibile come chi avesse anche la conoscenza più elementare della storia russa, per non parlare del marxismo, abbia potuto nutrire la minima illusione in Gorbaciov e nella sua politica. Eppure c’erano sedicenti marxisti che lodavano Gorbaciov e addirittura andavano a Mosca per assistere allo strano spettacolo della burocrazia che “aboliva se stessa”! Invece i fautori della teoria del capitalismo di Stato rimanevano indifferenti: per quel che li riguardava, il capitalismo esisteva già in Russia… e allora perché tante storie?
Mentre tutte le altre tendenze lodavano Gorbaciov come il grande salvatore, solo noi marxisti spiegavamo che le sue riforme erano destinate a fallire. In lui individuavamo una figura dalla mentalità piccolo-borghese, arrivata per caso e condannata ad essere spazzata via, anche se erroneamente avevamo previsto che ciò sarebbe avvenuto come risultato di una rivoluzione politica; a quell’epoca consideravamo da escludere un movimento in direzione del capitalismo. L’unico modo di risolvere i problemi era reintrodurre un regime leninista di controllo e gestione operaia, che sulle basi di un’economia sviluppata, quale allora esisteva in Urss, sarebbe stato relativamente facile.
Ma questa era l’ultima cosa che Gorbaciov aveva in mente. Invece di migliorare la situazione, le riforme di Gorbaciov introdussero un ulteriore elemento di destabilizzazione, accelerando la dissoluzione del sistema. A quel punto c’erano solo due possibilità. Mancando un movimento della classe operaia verso una rivoluzione politica, la bilancia si inclinò bruscamente verso il capitalismo.
La demagogia di Eltsin
Dall’arrivo di Gorbaciov al potere, chi scrive aveva previsto che le sue riforme potevano avere un effetto per alcuni anni, prima di esaurirsi. Era chiaro che Gorbaciov o avrebbe compiuto un’inversione di rotta ritornando alla centralizzazione e alla repressione, o sarebbe stato rimosso, come successe a Kruscev. Il principale punto debole nelle riforme gorbacioviane era che, come in Occidente, si voleva conseguire la crescita economica principalmente a spese della classe operaia attraverso un aumento dei ritmi lavorativi, accordi sulla produttività, tagli ai sussidi e perfino chiusure di fabbriche. La condizione penosa in cui si trovava l’economia sovietica portò i consiglieri economici di Gorbaciov a scimmiottare gli stregoni dell’Occidente chiedendo l’introduzione di elementi di mercato, proprio nello stesso momento in cui il sistema capitalista su scala mondiale cominciava ad entrare in crisi. Mancando di una comprensione marxista, erano impressionati dal temporaneo boom del 1982-90 che, per un caso nella storia, coincise con lafase finale della crisi nell’Urss.
In quel momento c’era già un settore della burocrazia che aspirava a un ritorno ai “bei tempi andati” del capitalismo. Disillusi dall’impasse dello stalinismo erano sempre più colpiti dal boom economico dell’Occidente. In quel momento il caos e il sabotaggio burocratico avevano portato ad una situazione nella quale, secondo gli economisti ufficiali, il 13% delle fabbriche sovietiche lavorava in perdita. La soluzione proposta da elementi quali l’economista Abel Aganbegjan, che faceva eco ai monetaristi thatcheriani occidentali, era di permettere che migliaia di fabbriche fallissero! La stessa gente proponeva l’eliminazione dei sussidi per i generi alimentari e per gli affitti perché troppo onerosi, in modo che la legge della domanda e dell’offerta determinasse liberamente i prezzi di questi beni. Pochi anni dopo questo consiglio fu messo in pratica con effetti devastanti. Ma per il momento Gorbaciov, che temeva la reazione delle masse, non era disposto a seguire questa strada.
Boris Eltsin, un ambizioso “apparatcik” di Sverdlovsk, cercò di farsi un nome come il difensore più sincero della perestrojka. Demagogo naturale, con una predisposizione per i gesti teatrali, Eltsin si sentiva in dovere di viaggiare sui mezzi pubblici e visitare i mercati. Prendeva il metrò anche per andare al Cremlino, facendo a meno dell’autista personale e della limousine, e protestava ad alta voce contro i privilegi burocratici. Ciò senza dubbio gli diede una certa popolarità a Mosca in quel periodo, dove i suoi attacchi demagogici contro la corruzione ebbero una grande eco.
Il danno prodotto dal soffocante controllo burocratico era tale che, senza la corruzione e il mercato nero, l’economia si sarebbe arrestata molto prima. Questo i lavoratori lo sapevano bene, e anche Gorbaciov lo ammise apertamente dichiarando, poco dopo essere diventato segretario, “Se volete far aggiustare delle cose in casa, dovrete senz’altro rivolgervi a qualcuno che fa il doppio lavoro e che avrà dovuto rubare i materiali in un cantiere edile”.17
Anche a Mosca era impossibile ottenere servizi elementari come l’idraulico senza ricorrere al blat. Lo stesso dicasi per le altre città e regioni, come indicò Eltsin nel suo discorso al congresso del partito del 1986:
[Eltsin] ha chiesto perché il segretariato del Cc al vertice del potere in Urss non avesse fatto nulla contro la corruzione dilagante in Uzbekistan e in Kirghizia (due repubbliche dell’Asia centrale dove l’intera direzione del partito è stata rimossa). “Perché”, ha chiesto Eltsin, “gli stessi problemi non sono emersi in cinque anni ai vari congressi del partito? Perché dopo così tanti anni non siamo riusciti a strappare via dalla nostra vita le radici della burocrazia, dell’ingiustizia sociale e degli abusi?” … Eltsin ha detto che Mosca, una città di otto milioni di abitanti, ha un’economia stagnante e trasporti pubblici, centri commerciali e servizi sanitari inadeguati. Ha dato tutta la colpa agli amministratori precedenti della città.18
In un’altro intervento al congresso, Eltsin disse:
Da diversi anni l’intero settore della vendita al dettaglio vive in un ambiente di corruzione e oggi ne stiamo vedendo i frutti. Se non riusciamo a risolvere il problema del personale, se non possiamo disfarci della gente disonesta e ripulire l’intero settore avremo degli ammanchi, ci saranno regolari deficit artificiali.19
Eltsin licenziò il 40% dei dipendenti locali del partito a Mosca, ma questo non fu sufficiente per risolvere la situazione caotica che descrisse al congresso, né impedì a chi era stato licenziato per aver incassato tangenti, di trovarsi subito un altro incarico. Allo stesso tempo la campagna di Eltsin peggiorò la situazione economica a Mosca perché la corruzione e il mercato nero erano il lubrificante che permetteva all’economia a gestione burocratica di andare avanti. Anche i rifornimenti di materie prime alle fabbriche dipendevano spesso da manovre nel mercato nero per aggirare gli ostacoli del sistema burocratico.
L’esperienza dimostra ancora una volta che il muro contro cui si imbatteva l’iniziativa anticorruzione si poteva abbattere solo con lo smantellamento completo dello Stato burocratico e la creazione di una democrazia operaia, vale a dire con una rivoluzione politica. Piuttosto che considerare una prospettiva simile, Eltsin e i suoi amici preferivano dirigersi verso il capitalismo. Comunque le misure populiste di Eltsin preoccupavano il settore conservatore della burocrazia, che temeva che la glasnost sfuggisse al suo controllo. La rimozione di Eltsin fu una chiara indicazione che le riforme gorbacioviane stavano incontrando delle difficoltà. Eltsin, per aumentare in modo demagogico la sua popolarità, dichiarava di lottare per l’uguaglianza. Ma cosa è accaduto in seguito? Questo signore e i suoi amici hanno saccheggiato lo Stato russo. Sotto il regno di questo “egualitario”, sette gangsters incredibilmente ricchi possiedono e controllano metà del paese, mentre decine di milioni di russi vivono in povertà e i salari non vengono pagati per mesi. Che uguaglianza! Nei fatti il divario fra ricchi e poveri nella Russia di oggi è più marcato non solo rispetto al passato, ma anche rispetto ai paesi capitalisti avanzati dell’Europa occidentale, dell’America o del Giappone; le disuguaglianze sociali ricordano maggiormente quelle esistenti sotto Marcos nelle Filippine. Questo fatto non sfugge alla classe lavoratrice che sta traendo le proprie conclusioni. E non dimentichiamo com’è finito Marcos.
1. The Times, 26/6/86
2. Daily Telegraph, 26/2/86
3. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pagg. 242-3.
4. M. Gorbaciov, Perestrojka: New Thinking for Our Country and the World, pag. 31, enfasi mia.
5. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 247.
6. Crankshaw, op. cit., pag. 134
7. Wall Street Journal, 5/7/88, enfasi mia.
8. Soviet Weekly, 1/11/90
9. Ibid.
10. R. Medvedev, On Socialist Democracy, pag. 314
11. Ibid., pag. 313
12. Ibid., pag. 314
13. I. Deutscher, Stalin, a political biography, pagg. 569-70
14. Ibid., pag. 513
15. I. Deutscher, The prophet outcast, pagg. 511-2
16. L. Trotskij, La rivoluzione tradita, pag. 268
17. Financial Times, 2/7/86
18. Financial Times, 28/2/86
19. The Guardian, 29/1/86