Le mobilitazioni contro l’intervento imperialista in Libia hanno visto fino ad ora una partecipazione piuttosto minoritaria: ciò era visibile nella manifestazione di Emergency del 2 aprile a Roma, che ha portato in piazza alcune migliaia di persone.
Fra tanti giovani e lavoratori è presente tanta confusione, dovuta anche al fatto che la rivoluzione in Libia, dopo un avvio del tutto analogo a quelle tunisina o egiziana, è stata poi deviata con le modalità che descriviamo nelle pagine centrali.
Un ruolo determinante nell’alimentare una simile confusione e la conseguente passività lo giocano le opposizioni parlamentari, i vertici sindacali e diverse voci che si levano a sinistra.
Il Partito democratico è decisamente la formazione più interventista nel panorama politico italiano. Bersani e soci applaudono alla risoluzione dell’Onu che ha autorizzato gli attacchi e criticano “l’ambiguità” del governo. Di Pietro, dopo uno smarrimento iniziale che poteva farlo additare presso l’opinione pubblica come un pericoloso pacifista, si è prontamente ricreduto e ha indossato l’elmetto. La bandiera dell’opposizione alla guerra, almeno nell’emiciclo di Montecitorio, è stata lasciata alla Lega che, in maniera del tutto strumentale, l’ha fatta in parte propria.
Sul versante sindacale, anche la Cgil ha preso posizione. La segreteria nazionale, si legge in una nota del 21 marzo scorso, “ha valutato positivamente la risoluzione n. 1973 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per la creazione di una ‘no fly-zone’ e per la tutela delle popolazioni civili.” Certo, il più grande sindacato italiano precisa che bisogna “dare la necessaria priorità al percorso politico-diplomatico”. Quello che i vertici sindacali non capiscono è che non ci possono essere interpretazioni a piacere della risoluzione Onu. Queste ultime sono dettate dalle volontà delle grandi potenze, in primis gli Stati Uniti, ma non solo. Quando le Nazioni unite si sono distanziate dagli Usa (come quando l’Onu definì la guerra in Iraq “illegale”), questi ultimi se ne sono infischiati e hanno proceduto con i massacri.
La risoluzione 1973 fornisce, ad ogni modo, ampi margini alla “coalizione dei volonterosi” prima e alla Nato ora, quando consente di “prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili”. Ed è quello che sta succedendo.
Clamoroso dunque l’abbaglio preso da una serie di deputati del gruppo della sinistra europea, come Lothar Bisky di Die Linke o alcuni del Pc francese, che hanno votato a favore della No-Fly zone.
In Italia la Federazione della sinistra e Sel si sono schierati contro l’intervento. Per il partito di Vendola l’opposizione è stata finora solo a parole, vista la scarsissima presenza delle sue bandiere a presidi e sit-in. Tuttavia gli appelli che ambedue le formazioni rivolgono per il ritorno di un ruolo della diplomazia, sono pure illusioni. La diplomazia ritornerà quando i “volonterosi” avranno raggiunto i loro obiettivi o quando saranno raggiunti nuovi equilibri.
Risulta quindi poco comprensibile la richiesta, sempre da parte di Sel “di forze di interposizione sotto chiaro mandato Onu di paesi che non abbiano interessi economici diretti nell’area” (come se potessero esistere nel 2011!). Come potranno essere imparziali tali forze di interposizione è un mistero che neanche la narrazione vendoliana riesce a sciogliere.
Parlavamo prima di abbaglio rispetto alle posizioni di appoggio all’imperialismo da parte di forze della sinistra. In realtà tali posizioni sono il frutto di una precisa linea politica, quella che dimostra una grande fiducia nei governi occidentali (naturalmente privilegiando quelli “progressisti” alla Obama) e nelle istituzioni sovranazionali e un’altrettanto grande sfiducia nella lotta delle masse.
Mentre gli attuali governi occidentali difenderanno solamente gli interessi delle rispettive borghesie, è solo attraverso l’azione di massa che si può pensare di fermare la guerra. I lavoratori di questo paese hanno la forza per fermare le basi militari, decisive per le azioni della Nato, attraverso un blocco delle attività lavorative che paralizzi il paese. Il movimento contro la guerra può crescere se si collega alle mobilitazioni di questi ultimi mesi e riesce a far irrompere nello sciopero del 6 maggio il No ad ogni avventura imperialista dell’Italia, in Libia come nel resto del mondo.