Sabato 19 maggio si è tenuta una manifestazione a Napoli che ha visto circa seimila persone manifestare contro il piano regionale dei rifiuti e contro la creazione nuove discariche in Campania. Pubblichiamo il testo del volantone prodotto dai sostenitori locali di FalceMartello, un valido contributo rispetto a quale dovrebbe essere la posizione dei comunisti su queste tematiche.
Da 14 anni la gestione del ciclo dei rifiuti in Campania è sotto il controllo di un commissario straordinario nominato dal governo. Ad oggi, la gestione commissariale è costata allo stato 500 milioni di euro di debiti, mentre 1 miliardo e 300 milioni di euro sono stati destinati alla risoluzione dell’emergenza. Di fatto però l’emergenza è soltanto peggiorata, con una produzione giornaliera di 7000 tonnellate di rifiuti in Campania, e città in cui l’immondizia è accumulata ormai dall’inizio dell’estate 2006.
La questione dei rifiuti non è solo una questione di immagine, di decoro cittadino o economico: è ormai una questione di vita o morte. Il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, pubblicato nello scorso aprile, rileva un’impennata dei tassi di mortalità generale del 9% tra gli uomini e del 12% tra le donne in otto comuni campani (Acerra, Bacoli, Caivano, Giugliano, Aversa, Marcianise, Castelvolturno, Villa Literno) e registra negli stessi comuni un aumento pari all’84% del rischio di malformazioni congenite all’apparato uro-genitale e al sistema nervoso. I casi di tumore al fegato e dei dotti biliari sono cresciuti del 19% tra gli uomini e del 29% tra le donne, come si registrano casi di tumori ai testicoli nei giovani sotto i 25 anni, per non parlare della crescita impressionante dei casi di leucemia. Mentre la Campania continua ad assorbire rifiuti tossici illegali da tutta Italia, non riesce, a fronte di 13 anni di gestione commissariale (Bassolino e Bertolaso) e 860 milioni di Euro spesi, a risolvere in modo pulito o quantomeno “normale” il problema dello smaltimento dei propri rifiuti solidi urbani (RSU) . Le istituzioni, a tutti i livelli, incuranti delle 655 discariche abusive censite, pur di non intralciare le attività camorristiche che fanno della Campania un crocevia dello smaltimento di rifiuti tossici di tutta la nazione (nucleari, ospedalieri e al cobalto), non percepiscono lontanamente come un problema il calpestamento del diritto alla salute della popolazione, decretando manu militari, con l’avvallo del governo centrale, il carico di ulteriori ed ennesime discariche “temporanee” per far fronte al ricatto delle 700.000 tonnellate di immondizia sparse sul territorio regionale che minacciano crisi sanitarie se non raccolte.
La classe lavoratrice di Serre (l’unica a non rimediare profitti dalla vicenda) da mesi in mobilitazione, in difesa del proprio territorio, è stata scelta come il capro espiatorio del malgoverno regionale e predestinata a pagare tutto l’onere dell’emergenza attuale in ragione di motivazioni di convenienza economica e temporale. Eppure l’emergenza dura da più di un decennio e si sapeva da mesi che Maggio sarebbe stato, con la saturazione della discarica di Villaricca (che chiuderà il 26 di questo mese), il mese dell’esplosione dell’emergenza più grande mai vista.
Si sapeva, eppure il Commissario Bertolaso, successore di Bassolino (indagato dalla magistratura per il periodo della sua gestione commissariale in un’inchiesta che coinvolge anche la Fibe, società del gruppo Impregilo, che gestisce lo smaltimento degli RSU risultando creditrice verso i Comuni per 250 milioni di Euro), non ha mai preso in considerazione le proposte dei siti alternativi suggeriti più adatti per caratteristiche geologiche e per lontananza dai centri abitati, ad accogliere “temporaneamente” in discarica i rifiuti accumulati fino ad ora, in attesa della costruzione degli inceneritori di Acerra e di S. Maria La Fossa.
Serre è più vicina e già dotata di infrastrutture (anche se è a solo un KM dall’Oasi faunistica di Persano) ma sappiamo che i vincoli ambientali valgono solo per le classi subalterne. Eppure la discarica di Serre, insieme alle altre tre previste dal decreto speciale varato in questi giorni (Terzigno (Napoli) (nel parco nazionale del Vesuvio!), Sant’Arcangelo Trimonte, in località Nocecchia (Benevento), Savignano Irpino (Avellino) non potranno che assicurare qualche altro mese di sospensione dell’emergenza strutturale in cui la Campania è precipitata da più di un decennio, considerato anche che si calcolano decenni per lo smaltimento delle “ecoballe” accatastate negli
anni passati (a cui si sommano il milione circa di tonnellate di
rifiuti accumulati con l’ultima crisi) le quali in mancanza di una
seria raccolta differenziata a monte non si sa se possono o meno essere
smaltite dai Cdr, senza liberare nell’atmosfera un carico enorme di
diossina (oltre a quella normalmente prevista nel processo di
incenerimento), prospettiva tossica che in ogni caso è il futuro più
roseo che ci si possa aspettare nello schema legislativo che pone
l’incenerimento dei rifiuti come parte dell’anello terminale del
processo di smaltimento, emergenza o non emergenza.
Speculazioni e collusioni
È evidente che la “soluzione” dell’ennesima emergenza, determinata ad arte, per piegare la resistenza di Serre è stato il decreto speciale voluto da Bertolaso e prontamente offertogli dal governo centrale con la compiacenza di Bassolino.
Il decreto, che in sintesi prevede: 1) poteri speciali ai prefetti e genio militare per le infrastrutture; 2) i cinque presidenti di provincia nominati sub-commissari accanto al Commissario Bertolaso e “garanzie ai territori già provati” (!); 3) autosufficienza dei comuni: dal 1 gennaio 2008 i comuni avranno l’obbligo della corresponsabilità e pagheranno quest’onere con la Tarsu (tassa sullo smaltimento dei rifiuti) che aumenterà del 30%. È evidente che tradotto il decreto significa: militarizzazione della gestione emergenziale con i poteri speciali ai prefetti. È palese che nato per gestire l’emergenza, nel senso che lo Stato si assume l’onere del lavoro sporco con la soluzione dell’emergenza, risulta essere completamente funzionale alla gestione del “dopo emergenza”, in modo da rendere più “comoda” e perciò ancor più profittevole la raccolta dell’immondizia e la sua “sparizione” da parte delle ditte private tuttofare che si cureranno dell’intero ciclo, dalla raccolta all’incenerimento, le quali con moltissime probabilità avranno anche gentilmente indicato, già da ora, i siti più adatti allo stoccaggio provvisorio dell’immondizia è chiaro che l’emergenza è solo un modo per fare pressioni sulle popolazioni e costringerle ad accettare inceneritori e discariche.
Questo il cinico ricatto. Così, come già previsto dal decreto speciale, in Campania dove già si pagano tasse sui rifiuti fra le più alte d’Italia, assisteremo ad un ulteriore incremento del 30% della Tarsu, a partire dall’anno prossimo (la Campania è già oggi una delle regioni in cui questa tassa è più alta), quando con la fine della gestione commissariale saranno i Comuni a dover accollarsi l’aggravio di spese, necessario al mantenimento di questa soluzione “tecnica”, rappresentata dagli inceneritori, (spacciata come unica possibile) che è anche di gran lunga la più costosa e inquinante.Inceneritori subdolamente ribattezzati “termovalorizzatori” al fine di poter usufruire degli incentivi statali per le “energie rinnovabili” (Cip 6 e “codici verdi”).
Sembra incredibile, ma gli inceneritori sono finanziati dallo Stato perché equiparati a impianti di produzione di energia pulita, attraverso un’aliquota della bolletta ENEL, che tutti paghiamo, in modo da rendere conveniente la costruzione di impianti grandi che altrimenti non renderebbero abbastanza da giustificare copiosi costi di costruzione. Così lo smaltimento dei rifiuti costa alla popolazione una volta il proprio territorio per le discariche, una volta la tassa sullo smaltimento, una volta parte della bolletta Enel, una volta il parco macchine pubbliche per la raccolta non utilizzate al fine di favorire gli appalti alle imprese private, una volta la disoccupazione del personale pubblico addetto, una volta l’inquinamento atmosferico provocato dagli inceneritori, una volta il sistema parallelo delle discariche abusive gestite dalla camorra .
Si tratta con tutta evidenza della più grande truffa legalizzata attuata sulle spalle della classe lavoratrice. Lo Stato ha evidentemente fatta propria la lezione della camorra efficacemente sintetizzata dall’ormai classico: la munnezza è oro! Infatti in dieci anni (1995 – 2005) la camorra ha guadagnato 26,9 miliardi di euro, secondo Legambiente, un vero e proprio impero economico, fondato sul risparmio e la convenienza di un pugno di capitalisti. Infatti, conviene molto smaltire i rifiuti così: invece di pagare 2 euro a chilogrammo di un tipo di scarto speciale, la camorra lo smaltisce per 40 centesimi di euro a chilogrammo, incluso di spese di trasporto…basta dividere un po’ le cifre, e i guadagni sono spaventosi.
Il problema dello smaltimento dei rifiuti e l’obiettivo “rifiuti zero”
Partendo dal presupposto che in natura nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma”, è semplice comprendere come l’immondizia non possa sparire ma solo essere trasformata in qualcos’altro e che quindi per il suo smaltimento si parla solo di processi di trasformazione più o meno efficaci e più o meno nocivi.
Dato che si parla solo di trasformazione di materia, il discorso tecnico sullo smaltimento dei rifiuti non può prescindere da una corretta impostazione di tutto il ciclo del rifiuti. Produzione e smaltimento vanno considerati insieme. Siccome non si può fare altro che trasformare rifiuti diventa assolutamente necessario ridurne la quantità, secondo un ciclo virtuoso per cui “riduzione” e “trasformazione” devono essere due aspetti complementari e non contraddittori dello stesso processo.
La introduzione in Italia del problema della “trasformazione” dei rifiuti è avvenuta con il cosiddetto “Decreto Ronchi” (D. Lgs 22/97), che chiudeva l’era delle discariche come soluzione. Lo smaltimento dei rifiuti all’epoca delle discariche avveniva dunque a scapito del territorio, nel senso che smaltire significava direttamente perdere porzioni di territorio sempre più consistenti.
Con il decreto Ronchi, la “riduzione” è perseguita attraverso la imposizione di politiche di riuso e di riciclaggio. Quindi la raccolta differenziata è lo strumento per permettere il riuso ed il riciclaggio diretto di tutto ciò su cui è possibile (vetro, carta e cartoni, metallo, plastica ecc..) ed allo stesso tempo dunque per la “riduzione” della massa di rifiuti da trasformare.
Il decreto Ronchi propone però l’inceneritore come principale, se non unico, strumento di trasformazione della parte non riciclabile di rifiuti. Il problema è che l’inceneritore non è “complementare” alla riduzione, ma “contraddittorio” alla riduzione, almeno in un’economia di mercato. L’esperienza dimostra che i costi di costruzione e di gestione degli inceneritori sono talmente elevati che per avere una certa convenienza si è costretti a bruciare quanto più possibile. Dunque se servono quanti più rifiuti possibile da incenerire, non si avrà interesse a ridurre seriamente, per cui succede che si rende inutile la raccolta differenziata e tutte le politiche di riduzione connesse, spingendo addirittura ad un aumento, o quanto meno ad una “gestione incontrollata” della produzione di rifiuti. Infatti l’inceneritore, come qualsiasi altra tecnologia, non permette la “distruzione dei rifiuti”, ma solo la loro trasformazione. Anzi il “processo di trasformazione” usa acqua, combustibile, aria e sabbia, per cui la massa di rifiuti in uscita è superiore a quella in entrata. Si calcola che per ogni tonnellata di rifiuti in entrata ci siano due tonnellate di emissioni in uscita, sotto forma di materia allo stato gassoso, liquido e solido.
Questo significa almeno due cose. La prima è che l’inceneritore provoca una moltiplicazione dei rifiuti e dei problemi di smaltimento, la seconda è che le emissioni solide come le ceneri (che contengono parti pesanti di tutto) richiedono alla fine comunque lo stoccaggio in discariche speciali di tipo B1, molto più costose e pericolose di quelle “tradizionali”. Le discariche cacciate dalla porta rientrano dalla finestra, per cui è evidente che incenerire non significa neanche superare il problema delle discariche e per un problema non superato ce ne sono altri aggiunti.
L’inceneritore non è una soluzione pulita. Oltre al noto problema della diossina e dei furani, l’incenerimento genera polveri fini (PM 2.5) ed ultrafini (fino a PM 0,01) o “nanoparticelle”. In sostanza più è efficace il processo di incenerimento più saranno minuscole le particelle che si liberano completamente anche perché non esistono al mondo filtri capaci di trattenere particelle così piccole. Queste emissioni sono incontrollabili, perché non esistono neanche centraline capaci di rilevare particelle così piccole, per cui non c’è modo di misurare il vero inquinamento che un inceneritore produce. Gli studi ufficiali e i limiti “legali” sugli effetti inquinanti sono rimasti ancora alle particelle PM 10 che al massimo creano crisi respiratorie, mentre le fini ed ultrafini, che possono entrare direttamente nei tessuti organici, generano tumori, deficienze immunitarie ed alterazioni del DNA con un’esposizione maggiore dei bambini. In più c’è il problema delle particelle non note che si formano caoticamente durante la combustione e di cui ne sono state individuate chimicamente solo un centinaio fino ad oggi. L’Agenzia governativa di protezione ambientale americana (l’EPA) stima che il 90% delle emissioni di un inceneritore non sono state identificate.
L’inceneritore non è una soluzione economica. L’incenerimento è di gran lunga la soluzione più costosa in termini economici. In più costituiscono una sorta di “beffa ecologica”, visto che nonostante siano altamente inquinanti assorbono una percentuale spropositata di risorse destinate allo sviluppo delle energie rinnovabili (CIP 6 e “certificati verdi”). In Italia dunque l’inceneritore è considerato una fonte di energia rinnovabile ed assorbirà nei prossimi anni il 40% delle risorse per le rinnovabili! Come specificato nelle “linee guida” per indirizzare i fondi strutturali europei. Tutta questa costruzione teorica fasulla del “termovalorizzatore” è derivata dal fatto che alcuni inceneritori utilizzano i rifiuti stessi per alimentare il processo di combustione, riuscendo a risparmiare con questo un po’ di energia, ma non certo riuscendo ad avere un bilancio energetico complessivo in positivo. Un bilancio energetico positivo significa quanto meno che un meccanismo si autoalimenti energeticamente.
In definitiva, in un’economia di mercato, l’inceneritore oltre ad essere un mostro mangia-rifiuti è parimenti un mostro mangia-soldi la cui digestione risulta mostruosamente velenosa ed indigeribile per l’ambiente. Tutto questo senza considerare che il mancato riciclaggio e riuso dei rifiuti, in assenza di una seria raccolta differenziata rappresenta un ulteriore costo. Si stima che solo in Campania la mancata raccolta della sola carta e cartone è costata 100 milioni di euro in 10 anni.
L’incenerimento dei rifiuti non è l’unica soluzione tecnologica. In sostanza la tesi per cui o si incenerisce o si ritorna alle discariche è fasulla. Esistono infatti tecnologie alternative all’incenerimento che hanno il pregio di essere in continuità con le politiche di riduzione dei rifiuti e quindi con la raccolta differenziata, perché la richiedono necessariamente a monte per poter funzionare, costituendone quindi il completamento.
La principale soluzione alternativa all’incenerimento è il “trattamento meccanico biologico” (TMB) che non prevede combustione. Bisogna dire che anche in questi casi ci sarà sempre bisogno di discariche alla fine del ciclo, ma che in tali discariche arriverà una massa di materia pari complessivamente ai 3/10 di quella che entra nell’impianto, in modo da avere la seguente situazione: di tutta la massa di RSU (rifiuti solidi urbani) il 70% si può riciclare e riusare (attraverso la “Raccolta differenziata porta a porta” di cui al punto seguente), in modo che solo il rimanente 30% debba essere ulteriormente trattato. Di questa massa rimanente si può arrivare a deporre in discarica solo un ulteriore 30% che rappresenta il 9% del totale degli RSU. È importante sottolineare che questo 9% circa degli RSU da stoccare in discarica, è 10 volte meno inquinante dei prodotti che fuoriescono dall’inceneritore, (sono considerati inerti, che cioè non reagiscono più) per cui si ottiene una riduzione dell’inquinamento sia quantitativa che qualitativa.
In sostanza il TMB funziona così: “Il procedimento coinvolge una fase meccanica nella quale i rifiuti vengono triturati in frammenti e poi separati facendoli passare attraverso vagli di varie misure e davanti a magneti. Questo procedimento separerà i rifiuti in frazioni che possono essere usate per diversi scopi. Ad esempio i metalli, i minerali e le plastiche dure possono allora essere riciclate. Si potranno recuperare anche la carta, i tessuti e il legname. A questo punto la materia organica può essere degradata mediante compostaggio – questo è il trattamento biologico. Si può fare questo esponendo i rifiuti all’ossigeno atmosferico, oppure li possiamo degradare in assenza di ossigeno (digestione anaerobica). A quel punto, i rifiuti residui possono essere collocati in discarica. Questo procedimento è praticamente privo di inquinanti, a meno che i pellet residui non vengano bruciati con tutti i rischi che ciò comporta. (testo virgolettato preso dal “4° rapporto della società britannica di medicina ecologica”). In sostanza si tratta di un ulteriore processo di riciclaggio anche sulla parte non riciclabile direttamente attraverso la raccolta differenziata. Inoltre questa soluzione costa di meno (circa un quarto del costo di un piccolo inceneritore), perché gli impianti sono meno complessi e di più veloce costruzione. Esistono altre soluzioni intermedie come gli “Impianti di pressatura” che eliminando la combustione si limitano a compattare e ridurre per pressatura la parte da trattare. Infatti se l'unico risultato utile di un inceneritore, ai fini dello smaltimento dei rifiuti, è la riduzione ad un terzo del volume iniziale dei rifiuti trattati, è pur vero che risultati analoghi possono ottenersi con un processo di pressatura, che ha il vantaggio di produrre come unica emissione acqua inquinata da depurare.
Le ultime tecnologie di termoessiccazione, che operano un modesto riscaldamento della massa di rifiuti durante il processo di pressatura, possono ridurre il volume fino a 7 volte quello iniziale producendo un materiale piuttosto stabile meccanicamente e chimicamente che occuperebbe meno spazio in discarica degli scarti del processo di incenerimento
La Raccolta differenziata che permette il raggiungimento dell’obiettivo della riduzione del 70% degli RSU è quella “porta a porta”. Esistono diversi modi o modelli per organizzare la raccolta differenziata e anche in questo caso i due modelli sono alternativi e funzionali ai diversi sistemi di smaltimento del residuo. Come spiegato nel documento della scuola agraria del Parco di Monza “L’efficacia economica e quali-quantitativa dei nuovi modelli di raccolta differenziata integrata in relazione all’obiettivo di riduzione della produzione di RU”: nelle città dove la raccolta differenziata è a domicilio non c’è crescita di produzione di rifiuti, mentre nelle realtà in cui la raccolta differenziata è fatta attraverso sistemi meccanizzati, come grandi contenitori urbani di indifferenziata e “compattatori a presa laterale” (costosi autocarri per la raccolta), c’è una crescita tendenziale della produzione annua di rifiuti, e una decrescita di differenziazione con un minor controllo anche su rifiuti speciali che non potrebbero di norma far parte di questa quota di rifiuti. Tale abuso è però difficilmente controllabile e sanzionabile.
Quindi anche per la raccolta differenziata ci sono pro e contro a seconda del modello di raccolta adottato, sia in termini di efficacia e di virtuosismo del meccanismo, sia in termini di costi economici. Il modello meccanizzato non è virtuoso in quanto si registra un aumento tendenziale incontrollato di indifferenziato, mentre la “raccolta porta a porta” permette anche la stabilizzazione nel tempo della produzione totale di rifiuti, oltre ad essere l’unica possibile nelle grandi città storiche.
Capitalismo e crisi ambientale
È importante comprendere che la soluzione dell’emergenza attuale non rappresenterà in nessun caso la soluzione del problema dello smaltimento dei rifiuti anche nel caso si riescano a scongiurare emergenze future in ragione della messa in esercizio dei cdr in costruzione (Acerra e S. Maria La Fossa) e che è necessaria la continuazione della mobilitazione per portare il livello di scontro e di dibattito ai gradini più alti delle scelte strategiche di medio e lungo termine con attenzione anche alle incompatibilità fra l’anarchia produttiva del sistema economico capitalista e le tecnicamente possibili soluzioni “pulite” del ciclo produzione-consumo-smaltimento rifiuti,che richiedono una complessiva capacità di pianificazione ed un parallelo controllo sociale della sua gestione.
Per affrontare il problema dei rifiuti si sarebbe costretti a dover affrontare parallelamente quello della produzione e del suo carattere privato e questo è un problema politico. Non possiamo pensare di produrre meno rinunciando al progresso e a quello che Marx chiamava “lo sviluppo delle forze produttive”, in particolare considerando che una parte importante della popolazione mondiale vive in povertà e non usufruendo delle possibilità che uno sviluppo armonico della società, liberato dal profitto potrebbe garantire.
La pianificazione generale e socializzata dei processi produttivi è assolutamente necessaria per la corretta gestione del problema e per il raggiungimento dell’obiettivo “rifiuti zero”, ma è esattamente ciò di cui il sistema capitalista non è capace, per cui le soluzioni tecnologicamente già possibili non possono avere efficacia e corretta applicazione se non vengono trasformate in rivendicazioni politiche chiare inquadrate in un progetto, non più “particolare” di ennesima vertenza antiemergenza, ma “generale” di socialismo. Se il processo produttivo non è pianificato dalla stessa classe che ne è il destinatario, non potrà mai risolversi la discontinuità di interessi fra produzione consumistica in libero mercato e smaltimento pulito dei rifiuti e la parallela tendenza a trasformare ogni anello del processo in una speculazione economica, ambientale e sociale ai danni della parte di società che da tutto questo non riceve nessun beneficio in cambio però dell’intero l’onere.
Solo la pianificazione del processo produttivo dalla A alla Z può scongiurare speculazioni di ogni tipo e solo la gestione sociale, da parte della classe lavoratrice può garantire la compatibilità ecologica, ambientale ed economica della produzione con le esigenze reali dell’umanità.
Ora che fare?
Questi disastri ambientali, prodotti da una gestione scellerata dei siti di conferimento dei rifiuti, a essere alla base del moltiplicarsi di lotte a difesa del proprio territorio, non un localismo spinto all’eccesso, come accusano coloro che questi scempi li hanno prodotti e vogliono continuare a produrli. La chiusura dei vecchi impianti ha fatto sì che Bertolaso dovesse individuare nuovi siti e, con un’abilità che i vari commissari hanno dimostrato di possedere in egual misura, ha individuato i luoghi peggiori possibili. In particolare i siti individuati per le provincie di Napoli e Salerno destano scalpore.
In provincia di Salerno si è individuato il sito di Serre, dove è ubicato un parco ambientale del WWF, mentre lo sversatoio della provincia di Napoli dovrebbe essere Terzigno, nel parco naturale del Vesuvio. Entrambe le aree, dunque, si trovano a ridosso di territori dove i vincoli ambientali sono tali che non è possibile edificare, procedere a lavori che modifichino anche minimamente l’assetto ambientale, dove, in pratica, nessuno poteva toccare una pianta.Ma forse a nessuno era venuto in mente di costruire una discarica, quella sì consentita. Tutto ciò è stato giustificato con le necessità imposte dall’emergenza, ma questo è falso. Quando ad Acerra si iniziarono i lavori per la costruzione dell’inceneritore e montò la protesta si disse la stessa cosa, cioè che l’inceneritore era l’unica soluzione per risolvere l’emergenza che era scoppiata in quei giorni, come se un inceneritore di quelle dimensioni si potesse costruire in un paio d’ore.
Oggi avviene la stessa cosa, visto che i siti indicati dal commissario saranno pronti tra almeno un mese, mentre per risolvere la crisi in corso sarà necessario individuare dei siti di stoccaggio provvisorio finchè le discariche definitive non saranno pronte. Inoltre il presidente della provincia di Salerno ha indicato 5 siti alternativi, peraltro approntabili in tempi minori, ma Bertolaso non ne ha voluto sapere, ed ha impugnato il decreto legge da poco firmato dal governo, in cui si individuano come siti di stoccaggio quelli proposti da lui.
L’unica strada è la mobilitazione
La risposta dei cittadini di Serre non si è fatta attendere, visto che da mesi erano sul piede di guerra per impedire che un’oasi ecologica, simbolo di quel riscatto economico che si doveva legare al turismo, si trasformasse nell’ennesima promessa non mantenuta.
Gli abitanti della cittadina salernitana hanno mantenuto il presidio che era stato messo in piedi da alcuni mesi, con l’obiettivo di impedire la partenza dei lavori. Anche in questo caso la risposta del commissariato non si è fatta attendere ed è stata in linea con il comportamento già tenuto in passato. Bertolaso, infatti, forte dell’appoggio di Prodi e Napolitano, ha inviato a Serre 500 agenti in tenuta antisommossa e ha appaltato i lavori al genio militare, alla faccia del dialogo con le popolazioni che avrebbe dovuto distinguere il governo di centrosinistra da quello precedente.
Sabato 12 maggio la polizia ha rimosso con la forza il blocco pacifico dei cittadini di Serre davanti al sito della futura discarica. Anche a Terzigno il commissariato ha voluto mettere subito le cose in chiaro, e se a Serre la risposta è stata militare, a Terzigno è stata poliziesca. Nel paesino vesuviano sono stati inviati agenti di polizia con lo scopo di intimidire la popolazione fermando indiscriminatamente tutti coloro che si avvicinavano al sito della futura discarica e minacciando rappresaglie su questi nel caso di eventuali rivolte.
La posizione del Prc
Rifondazione Comunista i questi anni ha partecipato attivamente alle mobilitazioni contro l’inceneritore ad Acerra e contro le varie discariche ma non mai riuscita a rappresentare una alternativa complessiva per il legame a doppio filo che ormai da oltre un decennio la lega al Centrosinistra in Campania.
In tutta la vicenda dei rifiuti le responsabilità del centrosinistra campano sono evidenti così come la sua subalternità e collusione con il sistema delle imprese che specula sulla pelle dei cittadini. Il governo Prodi poi non ha dimostrato nessuna discontinuità sul terreno ambientale rispetto a Berlusconi garantendo la costruzione dell’Alta velocità Torino-Lione (punto 3 dei 12 punti scaturiti dall’ultima crisi di governo), rilanciando la costruzione dei rigassificatori (punto 4 dei 12 punti scaturiti dall’ultima crisi di governo) e varato il decreto che militarizza l’emergenza rifiuti in Campania. Rispetto a quest’ultima non basta che il Ministro Ferrero lo definisca “un’ assurdità”. Anche nelle ultime settimane rispetto alla vicenda di Serre il compagno senatore del Prc Sodano, presidente della commissione ambiente del Senato, pur partecipando continuamente alla mobilitazione al fianco dei cittadini non è andato oltre il ruolo di mediatore, tentando di concertare tra la popolazione di Serre, il governo e il superpoliziotto Bertolaso.
L’unica posizione che emersa da parte del Prc è la ricerca del sito alternativo a Serre poi individuato in Macchia Soprana. Nella provincia di Caserta sulla vicenda dell’apertura della discarica a Lo Uttaro il Prc non ha mai nemmeno preso in considerazione di aprire una crisi alla provincia approdando alla logica del meno peggio come dichiarato dal segretario provinciale della federazione Giosuè Bove “proprio sui rifiuti, carattere pubblico dei servizi e pianificazione territoriale la colazione riconobbe già nel 2005 l'impossibilità di una posizione unica(…)” malgrado ciò “l’attuale assetto politico in provincia e in comune, piaccia o meno, è il più avanzato possibile” (il Giornale di Caserta 27Apr 2007).
Rifondazione Comunista deve rompere la sua subalternità al Bassolinismo e al Centrosinistra e costruire un programma basato su una alternativa complessiva all’attuale ciclo dei rifiuti proponendo la ripubblicizzazione del settore e ricostruendo il suo intervento sindacale per potere portare questa battaglia tra i lavoratori ed anche all’interno del sindacato.
Uniti si Vince! Coordiniamo le vertenze ambientali, coinvolgiamo il movimento operaio
Nel giorno di sabato, mentre a Serre la polizia imponeva con la forza la volontà di procedere alla costruzione della discarica, dall’altra parte d’Italia, in Val di Susa, veniva portato avanti un blocco ferroviario sulla linea Torino-Modane in solidarietà con la lotta campana. Questo atto segna un decisivo passo in avanti rispetto al passato. Tutte le lotte ambientali degli ultimi anni, da Scanzano ad Acerra, passando per la Val di Susa, hanno avuto il limite di essere circoscritte geograficamente, di vedere al massimo un coinvolgimento emotivo da parte delle persone estranee al problema, ed in molti casi si trattava di persone coinvolte in lotte simili.
La solidarietà attiva messa in campo dal comitato no-tav segna un passaggio di qualità, segnalando la possibilità concreta che tutti gli scempi ambientali perpretrati dai vari governi e giunte locali in ogni angolo del paese possano avere una risposta unica sul piano della mobilitazione. Ragionare assieme sulle tematiche ambientali consentirà di individuare nel profitto dei padroni la causa unica di tutte le diverse vertenze. Sono i profitti delle imprese edili a spingere per la costruzione della Tav in Val di Susa, mentre la Fibe è alle spalle dell’inceneritore ad Acerra, e il giro economico di mille milioni di euro in otto anni ha imposto le discariche nei luoghi meno adatti della Campania.
Se si ha la capacità di cogliere questo elemento di unificazione e con il coinvolgimento del sindacato e la partecipazione della classe lavoratrice si potrà sviluppare un’unica lotta che ponga la questione della salute pubblica e della gestione del territorio su una base più avanzata, che sappia individuare nella ricchezza dei pochi la causa dei disastri ambientali che colpiscono intere popolazioni
Noi lottiamo per:
“Ad ogni passo ci viene ricordato che noi non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo ad essa, ma che le apparteniamo carne, sangue, e cervello e viviamo nel suo grembo.”