Una lunga striscia di rapine e omicidi, assieme ad una possibile nuova guerra di camorra, hanno riportato Napoli e la Campania al centro del dibattito politico e giornalistico.
Quello che è certo è che la cosiddetta “emergenza criminalità” che sta insanguinando il capoluogo partenopeo è solo la parte più evidente di una crisi sociale che ormai da tempo attanaglia la società napoletana e spinge il proletariato e il sottoproletariato sempre di più nella spirale criminalità/repressione. Il dibattito sul possibile invio dell’esercito proposto dal ministro Mastella farebbe sorridere se non affrontasse una drammatica realtà quotidiana per i lavoratori che si trovano a subire tagli alla spesa sociale, crisi industriali e disoccupazione cui si affianca e dalla quale si alimentano l’arroganza, la violenza e lo strapotere camorrista.
La cruda realtà dimostra che il problema non è una cultura che genera violenza e delinquenza ma le condizioni in cui vivono centinaia di migliaia di persone, condizioni aggravatesi nell’ ultimo periodo grazie alle ricette del centrodestra nazionale e del centrosinistra campano.
Tutti i problemi di questo sistema si esprimono a Napoli in tutta la loro crudezza. La popolazione napoletana è una popolazione giovane con solo il 12 per cento al di sopra dei 65 anni (in Italia è il 18 per cento) e con un incredibile tasso si emigrazione che raggiunge il 7,1 per cento ogni 1000 abitanti (a livello nazionale è l’1,6 per cento). La disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni è del 69,3 per cento, mentre la disoccupazione complessiva è del 27,9 per cento (in Campania è del 23,7 per cento). La crisi sociale è testimoniata dal reddito medio pro capite annuo che è di appena 11.161 euro, collocando Napoli all’83° posto tra le città italiane. Malgrado la produttività delle imprese sia aumentata del 4,7 per cento c’è un calo di manodopera nella grandi imprese (-3,2 per cento) e gli unici settori in crescita negli ultimi anni sono stati il tessile-abbigliamento, che esporta ormai oltre il 50 per cento della produzione, e le piccole imprese del calzaturiero. In entrambi i settori si concentrano enormi condizioni di sfruttamento e un forte investimento del capitale camorristico.
La condizione giovanile e scolastica ha pochi paragoni nei paesi capitalisti avanzati “vantando” 9.000 abbandoni scolastici nell’anno 2004-2005 di cui oltre 2.000 alle scuole medie.
Dopo anni di sgravi alle imprese la situazione dell’apparato industriale è drammatica e solo nel settore metalmeccanico la crisi industriale interessa in provincia oltre 30 aziende, coinvolgendo oltre 1500 addetti, oltre 6500 a livello regionale.
Di fronte a questa emergenza sociale il centrosinistra risponde con il cosiddetto piano Amato: un concentrato di paternalismo, legalitarismo e repressione. Non ci sono soldi per il salario garantito ai disoccupati, per salvare le aziende in crisi nazionalizzandole o per ampliare le piante organiche del Comune ma si posso spendere milioni di euro per inviare ogni tipo di divisa all’ombra del Vesuvio.
Il piano prevede una videosorveglianza con telecamere in ogni angolo della città da fare invidia al Grande Fratello, 1.300 uomini in più sulle strade, 79 nuove pattuglie a Napoli e 39 in provincia, 10 distretti di polizia considerati “più agili” dei vecchi commissariati, 400 agenti da usare come “forze di reazione rapina” e addirittura 30 uomini in più alla forestale!
Bassolino e il centrosinistra hanno salutato il piano entusiasticamente ritenendo che “infonda nuova fiducia nei cittadini, nelle istituzioni locali e nelle forze dell’ordine”(il Mattino, 5 novembre) mentre secondo i senatori napoletani del Prc Sodano e Tecce “è giusto pensare ad una razionalizzazione dell’uso delle forze dell’ordine ed anche a un loro rafforzamento, ma non si ricostruisce la società civile ed il tessuto sociale con la semplice repressione” (Metro, 3 ottobre). Dobbiamo ricordare a questi compagni che nella proposta del governo oltre all’invio di un esercito di poliziotti, carabinieri e finanzieri e di una serie di astratti richiami alla legalità non c’è traccia di un intervento diretto sul terreno sociale ma una visione dell’emergenza criminalità come mero problema di ordine pubblico. Al di là delle operazioni d’immagine, fatte di qualche retata plateale e di qualche arresto eccellente, finché camorra e delinquenza saranno le principali agenzie di collocamento l’“emergenza Napoli” è destinata a riesplodere periodicamente.
15/11/2006