I dati delle ultime perizie chimiche hanno rilevato che nel 2010 l’ILVA ha emesso dai camini oltre 4 mila tonnellate di polveri, 11mila tonnellate di CO2 e 11mila e 300 tonnellate di anidride solforosa oltre a 7 tonnellate di acido cloridrico, 1,3 tonnellate di benzene, 338,5 chili di IPA (1), 52,5 grammi di benzo(a)pirene, 14,9 grammi di composti organici dibenzo-p-diossine e policlorodibenzofurani.
Le cifre accertate sulla mortalità, senza tenere conto di quelle non accertate, rivelano che in 13 anni le vittime per l’inquinamento sono state 386, di cui 104 operai; raddoppiati i casi di tumore ed in aumento quelli in età pediatrica. Nonostante questi dati il ministero dell’ambiente nell’estate del 2011 ha rilasciato allo stabilimento l’AIA (Autorizzazione integrata ambientale).
Il caso dell’ILVA è solo una delle punte dell’iceberg di un sistema produttivo che sta dimostrando di essere tecnologicamente sorpassato e fortemente dissipativo e che tende ad un impiego sbagliato delle risorse di cui poi si sbarazza in discarica e attraverso l’incenerimento.
Un caso che fa emergere sempre più chiaramente l’esigenza di un cambiamento radicale nella produzione, di una “nuova rivoluzione industriale una prospettiva che solo una nuova stagione di lotte operaie può aprire, mettendo in discussione l’intero sistema.
Come funziona un’acciaieria oggi
Acciaio è il nome dato ad una lega composta principalmente da ferro e carbonio. A differenza della ghisa la percentuale di carbonio dell’acciaio non supera il valore del 2,06%.
Questa lega è riciclabile al 100% e praticamente all’infinito.
Oggi viviamo a contatto con una vasta gamma di acciai che sono il risultato di un’evoluzione millenaria. Impiegato per usi molteplici che vanno dalla realizzazione delle carrozzerie delle auto, agli elettrodomestici, al settore delle costruzioni, l’acciaio resta un materiale decisivo anche per il futuro per le sue capacità di adeguarsi alle diverse esigenze produttive.
Viene prodotto, prevalentemente, attraverso due cicli produttivi che si differenziano per le materie prime impiegate: il “ciclo integrale” e il “ciclo rottame” (2).
Nel “ciclo integrale” si impiegano le materie prime come si trovano in natura (minerali, fossili). Il fossile viene trasformato in coke metallurgico, i minerali trasformati nell’altoforno in ghisa - lega tra il ferro ed il carbonio con un tenore intorno al 4 – 5%. Il coke agisce in questo processo sia come fonte di calore che come agente riducente nella formazione della ghisa. Successivamente si abbassa il tenore di carbonio della ghisa liquida fino ad ottenere l’acciaio.
La tradizionale tecnica dell'altoforno ha un forte impatto ambientale con emissioni in aria e in acqua di diossine, idrocarburi policiclici aromatici, polveri di coke, ammoniaca, cianuri ed altri inquinanti.
Nel “ciclo rottame” la materia prima è costituita dai rottami dell’acciaio che vengono fusi nel forno elettrico. A causa delle sostanze non ben separate dall’acciaio (rame, cromo, nichel ….), che rendono ibrido il rottame proveniente dalle carrozzerie dei veicoli e da altri settori, l’acciaio da forno elettrico ha al momento delle caratteristiche qualitative inferiori a quello da altoforno e non può essere utilizzato in molte applicazioni industriali, come quelle di profondo stampaggio utilizzate nella produzione dei veicoli.
L’Italia è il secondo produttore di acciaio nell’UE ed il maggiore produttore europeo di acciaio da forno elettrico, con circa il 63% della produzione tramite tale processo.
E’ possibile produrre acciaio completamente pulito?
Ad oggi questa domanda ha risposta negativa, i passi finora fatti in questa direzione sono ancora pochi ed insufficienti ma se intrapresi permetterebbero comunque di ridurre drasticamente l’inquinamento prodotto da questo settore.
Il settore più inquinante nelle acciaierie tradizionali a ciclo integrale come l’ILVA è la cokeria, per questo nei nuovi impianti la riduzione del minerale di ferro si realizza nel corso della fusione, sostituendo il coke utilizzato nell’altoforno (3) con nuovi processi come la riduzione diretta (direct reduction) e la fusione di riduzione (smelting reduction). Il sistema di smelting reduction (tra cui il Corex) è tra le principali innovazioni verso la produzione di acciaio pulito.
Esso abbassa la produzione di sostanze tossiche sostituendo il coke con il carbone e minerale fine in altoforno (4). Il costo per la messa in funzione di un impianto Corex di due milioni di tonnellate è stimato intorno ai 300 milioni di euro; la sua attivazione determinerebbe d’altro canto significativi abbattimenti nei costi di produzione della ghisa e un minor consumo energetico (Il Manifesto, 4.09.12).
Per ridurre l’impatto ambientale delle acciaierie è necessario anche ridurne l’elevata emissione di CO2 (5) attraverso l’aumento dell’impiego di rottame grazie ad un maggiore riciclo di acciaio (forni elettrici). E’ chiaro che le emissioni potrebbero ulteriormente essere ridotte se si facesse ricorso ad elettricità proveniente da fonti rinnovabili. Per quanto riguarda il trattamento polveri invece uno dei sistemi più in uso è il processo Waelz (6) da cui si ricava un materiale (zinco metallo) reinserito nel ciclo produttivo globale.
Resta al palo la ricerca sulla produzione di nuovi tipi di acciaio.
Perché questi esempi sono isolati?
Ad oggi questi sistemi in Italia e nel mondo sono poco utilizzati perché considerati non competitivi. Per i produttori di acciaio l’altoforno è considerata “una tecnologia «matura» che ha raggiunto (…) livelli di efficienza e produttività. Queste prerogative hanno in parte scoraggiato la ricerca di processi alternativi”(da Federacciai Acies. Acciaio competitivo intelligente e sostenibile, 2008). Questo il motivo per cui ad oggi le innovazioni trovano ambiti di applicazione ristretti o si limitano a casi isolati. Ancor più lontano l’orizzonte di un passaggio da un sistema produttivo di tipo dissipativo ed inquinante ad uno rigenerativo ed in grado di assicurare un ricambio organico con la natura. Le cause di questo sono inerenti proprio alla struttura del capitalismo in cui a guidare la produzione e le innovazioni tecnologiche è principalmente il profitto e non certo la salute dentro e fuori le fabbriche. Un sistema connaturato dalla frammentazione che non intende farsi carico nemmeno dei costi delle trasformazioni possibili con le tecnologie già in uso figuriamoci sperimentarne di nuove. Finché le produzioni saranno spezzettate tra i vari Riva e Marchionne difficilmente si riuscirà ad articolare quelle modifiche sull’intera filiera produttiva necessarie per produzioni realmente sostenibili e rigenerative.
Un altro sistema però è possibile. “Attualmente quando un’auto viene rottamata (…) viene schiacciata, pressata e sottoposta a lavorazione; così l’acciaio duttile della carrozzeria e gli acciai inossidabili vengono fusi insieme con altri frammenti e materiali che ne compromettono la qualità e riducono drasticamente le possibilità di ulteriori impieghi (…) Con una progettazione più attenta si potrebbe fare con l’auto quello che i nativi americani facevano con la carcassa del bisonte: sfruttare ogni elemento, dalla lingua alla coda. I metalli verrebbero fusi solo con metalli simili per mantenere l’elevata qualità” (McDonough, W.; Braungart, M. ,Dalla culla alla culla).
In pratica occorrerebbe, principalmente, procedere verso una separazione sempre maggiore dei materiali fra quelli recuperabili nel ciclo biologico e quelli recuperabili nel ciclo industriale, e puntare sulla progressiva sostituzione delle sostanze nocive.
Questo tipo di produzione è irrealizzabile in assenza di una visione di classe sulle questioni ambientali e di un coordinamento sempre maggiore tra i lavoratori che operano nei differenti comparti industriali.
Proposte per l’ILVA di Taranto
Per Taranto una delle proposte ipotizzate negli scorsi mesi per la riduzione dell’inquinamento è la conversione alla smelting reduction (Politecnico di Torino, Il Manifesto, 3.08 e 4.09 ‘12), a partire dalla sostituzione dell’altoforno ad oggi non in uso. A catena potrebbero seguire poi le altre sostituzioni fino alla trasformazione di tutto il ciclo produttivo. Dato poi che ad oggi una compatibilità al 100% per un'acciaieria risulta ancora lontana, alla progressiva riconversione dovrebbe essere affiancato un serio investimento nella ricerca in prospettiva di una riduzione delle emissioni di sostanze tossiche e riduzione di CO2.
Gli spazi guadagnati dalla conversione potrebbero essere utilizzati per la costruzione di impianti fotovoltaici, realizzando un’area per il rifornimento dello stabilimento con energia pulita.
Uno snodo chiave potrebbe essere un ripensamento all’intera filiera ILVA-FIAT-ILVA puntando sul recupero di acciai di elevata qualità, incrementando sempre più il ciclo rottame.
I nuovi tipi di acciaio progettati in un comune centro di ricerca e messi a punto in un ciclo industriale così pensato, potrebbero abbattere sempre più i danni e favorire i benefici ambientali e sociali. In quest’ottica, che ovviamente sarebbe impensabile nell’attuale regime proprietario degli stabilimenti, una nazionalizzazione sotto controllo operaio favorirebbe l’inserimento degli altri settori strategici attivando un ciclo virtuoso nella produzione.
Si tratterebbe di una crescita ecoefficace, nella quale i prodotti si rigenerano, rinascono di continuo, "dalla culla tornano alla culla", superano il concetto di impatto zero per sviluppare un rivoluzionario impatto positivo.
Politica industriale? D’ora in poi decidiamo noi
Una delle parole d’ordine dei lavoratori dell’ILVA, questa frase sintetizza bene la direzione in cui agire.
Oggi la difesa del lavoro viene affrontata spesso in maniera pietistica dai sostenitori della decrescita, ventilando improbabili possibilità di sviluppo turistico in piena crisi economica; si stenta a capire che per uscire realmente dalla stretta ecologica la lotta per la difesa del posto di lavoro e per le fabbriche non inquinanti, ad effetto positivo sull’ambiente e contro la deindustrializzazione diviene sempre più decisiva per il futuro della società e dell’ecosistema.
Marx scrive circa l’applicazione delle scoperte scientifiche nei processi produttivi “Infine occorre l’esperienza dell’operaio combinato per scoprire e additare come e dove si possa economizzare, quali siano i mezzi più semplici per tradurre in realtà invenzioni già fatte, quali difficoltà pratiche sia necessario superare per realizzare la teoria – per farne cioè applicazione nel sistema produttivo - e così via” (7).
Oggi i lavoratori dell’ILVA stanno dimostrando che non sono disposti a scegliere se rinunciare alla propria salute o al proprio lavoro, rivendicando un futuro per il proprio stabilimento ma anche per i propri figli.
Si tratta di una battaglia decisiva che i lavoratori stanno portando avanti con la forza ed il coraggio di chi sa guardare al futuro, una battaglia che però non riguarda solo loro ma tutti noi, che al loro fianco abbiamo il dovere di combattere.
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Note
[1]I dati della perizia chimica ordinata dal GIP http://saluteinternazionale.info/2012/09/ilva-di-taranto-glossario-per-capire .
[2] Rapporto ACIES Federacciai
[3] Link: http://www.itisdonegani.it/sitosteel/Lavorazione%20dell'acciaio/altoforno.html
[4] Link: http://www.itisdonegani.it/sitosteel/Lavorazione%20dell'acciaio/altoforno.html
[5] Rapporto CSI Emissioni di CO2
[6] Raggio, C. La tecnologia del recupero polveri degli impianti metallurgici: una panoramica sui processi La Metallurgia italiana 11-12, 2004
[7] Marx, Karl. Il Capitale Roma: Editori Riuniti, 1965 Libro III p. 138