Dopo ripetuti rinvii del tavolo di trattativa nel corso del mese novembre, nei primi giorni di dicembre è stato chiuso un accordo separato tra Indesit, governo, Fim, Uilm e Ugl, che è stato sottoposto subito dopo a un referendum tra i lavoratori. Un accordo che riteniamo rimandi solo i problemi e apra la strada a future procedure di mobilità.
Pubblichiamo un resoconto dei giorni attorno al referendum negli stabilimenti di Caserta e Fabriano che cerca di fare un bilancio dell’esperienza di questi mesi e settimane, in cui la combattività e la determinazione che era stata espressa dai lavoratori non ha trovato nella Fiom una direzione sindacale all’altezza della situazione. Crediamo che da questo bilancio si possano trarre delle lezioni preziose per quando si giocherà il secondo tempo della partita della lotta di classe alla Indesit e non solo.
Breve cronaca e analisi del voto, il tutto visto da Albacina (Fabriano)…
Il 18 novembre, quando il tavolo di trattativa si riapre (dopo che era stato rimandato tre volte) erano presenti a Roma presso il Ministero dello sviluppo economico centinaia di operai provenienti da Fabriano e Caserta con ben 16 pullman. Dopo ore di trattativa, il padrone, all'alba del giorno successivo, ha fatto saltare il tavolo per forzare la mano ai lavoratori ma soprattutto a quei sindacati non avvezzi a lottare duramente per la difesa dei posti di lavoro.
La conferma di una certa malleabilità si è avuta nelle assemblee di stabilimento che si sono svolte subito dopo: ad Albacina (Fabriano) il 21 novembre, presenti i 3 responsabili nazionali del bianco di Fiom, Uilm e Fim (Pagano, Ficco e Trovò), si è visto come gli interventi di area Fim fossero tutti preparati mentre non veniva lasciato spazio agli iscritti Fiom. Tra l’incontro a Roma e l’assemblea, la Fim ha cercato di seminare il panico tra gli operai, la cui quasi totalità, in assenza di alternative, voleva la firma di un accordo. L’unico di area Fiom che è riuscito a prendere la parola in assemblea è stato il sottoscritto, ma senza ottenere nessuna risposta rispetto alle questioni poste come, tra le altre cose, la mancanza di qualsiasi garanzia anche per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, come si è visto nell’accordo alla Best sempre a Fabriano, dove il Ministero del lavoro non sta pagando la cassa integrazione come da accordi siglati.
L’indomani il padrone convoca le Rsu per comunicare l’apertura della procedura di mobilità, per forzare ulteriormente la mano.
Il 25 mattina presto in una riunione dei direttivi Fiom congiunti degli stabilimenti di Melano ed Albacina decidiamo di fare un’assemblea per tutti i lavoratori tesserati o simpatizzanti Fiom nel pomeriggio del 29 (entrambi gli stabilimenti sono in cassa integrazione). La voce si stava già spargendo in fabbrica quando l’azienda toglie la giornata di cassa integrazione per il 29, trasformandolo in lavorativo (e non avevamo fatto ancora il volantino...).
Il 27 ad Ancona il segretario Landini ci incontra come delegazione di lavoratori Indesit, e ci ribadisce che ad un eventuale referendum la Fiom rispetterà democraticamente il volere dei lavoratori anche se ciò significherà firmare un pessimo accordo. Sottolineando le differenze con Pomigliano: lì erano in gioco dei diritti di rappresentanza, con buona pace di chi pensa che il lavoro sia un diritto...
Il 3 dicembre nuovo incontro al Ministero, dove Uilm, Fim e due delegati Fiom di Comunanza firmano l’ipotesi d’accordo che era stata blindata da ministero e azienda. Tutto con la massima fretta per non far ragionare gli operai sull’ipotesi d’accordo e sfruttare l'onda emotiva dell'apertura della mobilità.
Il 5 mattina ci ritroviamo di nuovo insieme (direttivi di Albacina e Melano) per discutere sull’ipotesi di accordo, trovarne tutte le debolezze e preparare una strategia comune per l’indomani, giorno in cui è prevista l’assemblea sull’accordo ad Albacina, prima che si voti in tutti gli stabilimenti il 9 e il 10. In sostanza l’accordo ribadisce la stessa strategia aziendale che aveva portato l’azienda ad annunciare oltre 1.400 esuberi a giugno (“razionalizzazione dei siti italiani”, “ricollocazione delle produzioni non più sostenibili in paesi a minor costo”) solo che per i prossimi cinque anni si ricorrerà agli ammortizzatori sociali (sempre che il Ministero del lavoro dia copertura finanziaria, visto che nell’accordo c’è solo l’impegno del ministero, non competente in materia, a valutarne l’utilizzo), mentre si preparano e si riorganizzano gli stabilimenti in modo da rendere necessarie le mobilità dopo questo periodo di tempo. Vengono redatti due volantini diversi per le due fabbriche e partiamo già da subito a parlare con gli operai e a volantinare davanti ai cancelli.
Nell’assemblea sull’accordo Michela Spera della Fiom spiega nel dettaglio le ragioni della mancata firma, legate soprattutto a dubbi sulle coperture degli ammortizzatori sociali, su eventuali cambi di proprietà e la messa nero su bianco che, qualora un prodotto non sia più conveniente in Italia, possa essere delocalizzato. Ma si affretta subito a ribadire che qualora gli operai decidessero per il sì, la Fiom firmerà, così come aveva fatto Landini qualche giorno prima, in una dichiarazione preventiva che, mettendo le mani avanti, depotenziava in partenza qualsiasi determinazione a contrastare l’accordo. In assemblea dubbi sono stati sollevati non solo dagli iscritti Fiom, ma anche da operai che magari non intervenivano da anni e che hanno evidenziato i punti deboli dell’accordo.
Sulla base di questi presupposti, essendo mancata da parte dei dirigenti Fiom la fiducia nei confronti della campagna per il no, al momento del voto, si temeva un plebiscito. E invece ad Albacina la situazione è stata la seguente: dei 680 aventi diritto hanno votato in 584, 4 nulle, 1 bianca, 461 sì (79,62%) e 118 no (20,38%). Ma analizziamo meglio il voto scorporando il montaggio dagli uffici dai reparti tradizionalmente filo-aziendali (essendoci 2 urne è possibile farlo): al montaggio avevano diritto al voto 448 operai e hanno votato in 386 con 2 nulle, 290 sì (75,52%) e 94 no (24,48%). Alla vigilia si temeva una vera e propria débâcle ma, a giudicare dalle facce che i segretari territoriali Fim hanno fatto nel sentire “118 no”, era chiaro che la Fim si aspettava per i contrari percentuali prossime allo zero. Senza considerare che si è votato con la classica pistola alla tempia, che erano assenti tra malattia, gravidanza e vacanze almeno 10-15 operai contrari alla firma e che a marzo nelle elezioni per l’Rsu la Fiom prese solo 111 voti.
Alcuni operai, dopo il voto, mi hanno confidato di aver votato “sì” anche se lo ritenevano un pessimo accordo perché le alternative proposte dalla Fiom di tornare al tavolo non erano credibili o non erano state proprio capite.
Da Fabriano a Teverola (Caserta)
A Caserta l’assemblea si è tenuta il prima possibile dopo la prima firma al ministero (il 5 dicembre). Il clima era molto rovente e la stragrande maggioranza dei lavoratori si dichiarava per il no. Oltre alla difesa dei posti di lavoro e degli stabilimenti i lavoratori erano indignati per la proposta di utilizzare i contratti di solidarietà (quindi i lavoratori stessi di Teverola) per smantellare il proprio stabilimento. Tuttavia, anche qui, la Fiom ha detto solo timidamente No provando a scaricare la propria responsabilità nell’organizzazione del conflitto sui lavoratori. Mentre ci si dichiarava per il no all’accordo, ci si è preoccupati di informare i lavoratori che se avessero vinto i sì la Fiom avrebbe firmato l’accordo. Poco o niente, invece, nella direzione di provare a connettere la campagna sul referendum almeno con la settimana di mobilitazione della Fiom stessa: quindi verso lo sciopero del 12 dicembre (alla Indesit di Caserta, ancora dopo l’assemblea del 5, neanche gli iscritti Fiom erano stati minimamente informati nonostante le otto ore di sciopero previste per il settore degli elettrodomestici). I lavoratori, quindi, fin dall’inizio non hanno percepito una volontà di organizzare la lotta seriamente da parte della Fiom, né è stata loro presentata una strategia credibile nell’eventualità di una vittoria dei no al ricatto. Per tale motivo, nonostante nessun lavoratore era favorevole a questo accordo, i no sono stati a Caserta solo il 35% (una percentuale sicuramente alta ma che non riflette la rabbia ed il disgusto dei lavoratori.
Questi numeri ci dicono che lo spirito con cui nelle giornate di giugno-luglio avevamo lottato contro gli esuberi non è del tutto sopito ma si è cercato di soffocarlo da parte di Fim e Uilm intenzionati in tutti i modi a mettere una firma su un accordo con l’azienda. Un accordo che non solo “non ci ha convinto”, come recita il volantino della Fiom, ma ci porrà a breve di fronte alla necessità di tornare a lottare in difesa dei posti di lavoro. C’è da dire che neanche la Fiom ci ha convinto, prima col suo immobilismo (ricordiamo ad esempio la manifestazione del bianco che doveva tenersi a settembre, poi cancellata, o l’indisponibilità a portare i lavoratori a Roma in occasione degli incontri al ministero), poi con una campagna organizzata all’ultimo, senza convinzione, né una strategia alternativa. Sta ora ai lavoratori Indesit in generale, e agli iscritti Fiom in particolare, trarre tutte le lezioni da questa prima parte del confronto tra Indesit e lavoratori, per essere all’altezza della situazione quando la lotta di classe tornerà a vedere i lavoratori protagonisti.