Il Comitato Centrale del 5 e 6 settembre rappresenta un punto di svolta nella Fiom di cui la crisi della segreteria nazionale non è che il mero epilogo. Crisi che si è esplicitata nel confronto sui documenti alternativi e alla fine dei lavori con le dimissioni dalla segreteria nazionale di Airaudo e Spezia in polemica con Bellavita.
In queste settimane, sia nei momenti di discussione collettiva che nei corridoi, si è spesso tentato di dipingere lo scontro che si stava consumando come una questione personale di incompatibilità tra i compagni Landini e Bellavita; un problema di mancanza di “lealtà” e solidarietà ecc. In realtà le ragioni di quanto accaduto sono molto più profonde e di carattere squisitamente politico
Una posizione di contrasto agli attacchi padronali e del governo che in questi mesi si è fatta sempre più fragile alla lunga non ha retto e ha portato il gruppo dirigente a proporre, davanti allo spettro dell'ennesimo contratto separato, un patto alla controparte accantonando la piattaforma licenziata e approvata dai lavoratori pochi mesi fa.
La Fiom, negli ultimi 10 anni (pur se non in modo lineare, vedi il contratto unitario del 2008 o il referendum alla Bertoni), ha saputo adottare una linea combattiva e “radicale” rispetto al resto della Cgil e del sindacalismo confederale. Tale linea aveva però come risvolto contraddittorio il limite di non riuscire ad arrivare sino a mettere in discussione le compatibilità del cosiddetto “modello europeo” di relazioni sindacali e del sistema capitalista. L’aggravarsi della crisi economica e la conseguente offensiva padronale per smantellare non solo i diritti dei lavoratori ma anche lo stesso ruolo contrattuale del sindacato, se in prima battuta ha travolto la già moderata Cgil, oggi investe il gruppo dirigente e la linea della Fiom.
Colpisce, tra le altre cose, come nessuno sulla stampa di sinistra si sia preso il disturbo di commentare il perché di questa divisione e i contenuti del documento alternativo della sinistra interna.
La Fiom abbandona la propria piattaforma
Leggendo il documento approvato a maggioranza dal Comitato Centrale sono tre i punti che emergono. Il primo è la rinuncia alla battaglia per la riconquista del contratto nazionale a partire dalla piattaforma Fiom votata dai lavoratori.
Lo scorso 23 luglio è partita la trattativa tra Fim, Uilm e Federmeccanica per il rinnovo del contratto. Ancora una volta la Fiom, sindacato maggiormente rappresentativo, è stata esclusa. A questo ennesimo atto autoritario di padroni e sindacati complici la Fiom aveva dato una prima risposta immediata con 4 ore di sciopero e manifestazioni regionali: la parola d'ordine era stata la riconquista del contratto nazionale. Oggi tuttavia, alla vigilia dell'ennesimo accordo separato, la Fiom cambia tattica. Decide di proporre un “Accordo unitario per il lavoro e per un'industria di qualità e ambientalmente sostenibile” i cui obbiettivi dovrebbero essere congelare la trattativa per un anno e tentare di dare una risposta al sempre più drammatico problema della crisi.
Al di là delle intenzioni, una proposta di questo genere è gravida di conseguenze pericolose e controproducenti.
Da un lato infatti non v'è dubbio che una tale ipotesi di mediazione è evidentemente velleitaria. Per quale ragione mai i padroni dovrebbero accettare di non firmare un accordo separato dal momento che Fim e Uilm hanno già dichiarato di essere disposte a sottoscrivere quanto da essi richiesto nella loro piattaforma lacrime e sangue varata a Bergamo il 22 giugno scorso? L'unica possibilità potrebbe essere che a livello confederale, dalla trattativa col governo partita l'11 settembre, emergano soluzioni a loro più favorevoli. Dubitiamo che questa ipotesi possa aiutare in qualche modo la causa della Fiom. Il fatto che Fim e Uilm abbiano già risposto picche e che Federmeccanica manco si degni di replicare dà l'idea dell'inconsistenza della proposta Fiom.
Dall'altro una tale proposta manda di fatto in soffitta la piattaforma dei meccanici Cgil votata da oltre 372mila tute blu. Infatti è evidente a chiunque abbia un minimo di esperienza sindacale che se alla vigilia di un accordo separato sul CCNL, la Fiom propone, ci si conceda la battuta, di “parlare d'altro" il segnale che si trasmette è quello di aver rinunciato a quella battaglia. È forse un caso se il Corriere della Sera il giorno seguente abbia titolato in maniera sibillina e un po' provocatoria “Se i metalmeccanici dialogano più di Cgil” (07/09/2012)? D'altronde non crediamo sia un caso se in tutto il testo finale approvato dal Comitato Centrale non v'è alcuna menzione della nostra piattaforma né della “riconquista” del contratto nazionale. È noto che la maggioranza dei compagni che compongono il gruppo dirigente della Fiom ormai ritiene non più possibile riconquistare il contratto in questa situazione e con questi rapporti di forza nella classe. Ma se è così, invece di relegare queste considerazioni in sfoghi di corridoio, perchè non lo si dice chiaramente e si mettono i militanti della nostra organizzazione e i lavoratori tutti nelle condizioni di poter affrontare una discussione schietta e senza giri di parole? Crediamo sinceramente sarebbe molto più costruttivo ed efficace.
Si può uscire dalla crisi attraverso un patto coi padroni?
Il secondo limite di fondo della proposta Fiom sta proprio nel tipo di richieste che si avanzano. La visione strategica che ne emerge è quella di poter uscire dalla crisi attraverso un accordo ed una collaborazione con il padronato. Si propone infatti di “favorire tramite accordi la difesa e/o la crescita dell'occupazione agendo sulla riduzione e rimodulazione degli orari anche con l'uso prioritario dei contratti di solidarietà (nel testo non si specifica quanto detto nella relazione e cioè che in cambio di tale riduzione di orario si è disposti a garantire un maggior utilizzo degli impianti perciò maggiore flessibilità NdR), richiedendo congiuntamente al Governo di incentivare tali accordi con la riduzione per imprese e lavoratori del cuneo e del carico fiscale”. Inoltre si chiede che “si attivino tavoli dei settori che costituiscono la nostra categoria, al fine di definire concrete linee di politica industriale anche da sottoporre ad un confronto col governo”.
Anche se davvero ci fossero i margini per questo accordo, cosa abbondantemente improbabile, sono proprio la vicenda Ilva, così come quella Alcoa, Carbosulcis e le altre centinaia in giro per l'Italia, che dimostrano quanto gli interessi dei lavoratori (e cioè occupazione, diritti ed ambiente) siano assolutamente inconciliabili con quelli dei padroni (e cioè il profitto). Pensare di affrontare questa crisi così profonda del sistema capitalista, attraverso una “concertazione”, a prescindere dal tono più o meno “di sinistra” che si usa, significa non essere in grado di offrire una vera alternativa alle logiche del grande capitale e del governo Monti.
Allineamento alla Cgil sulle politiche sindacali
L'ultimo punto di fondo che emerge è quello della totale assenza di qualsiasi critica alla Cgil rispetto alle sue gravissime responsabilità nel non avere proclamato lo sciopero generale ed aperto lo scontro con il governo a maggio in difesa dell'art.18. Non solo, se si confronta il testo approvato con il documento presentato dai compagni Venturi/Potetti/Breda, che in Fiom rappresentano la linea Cgil, si evince come sul merito non vi siano differenze di sostanza. Sulla proposta di un accordo che accantonando di fatto il CCNL metta al centro defiscalizzazione del salario contrattuale, che incentivi l'utilizzo dei contratti di solidarietà, che richieda il rispetto dell'accordo Confederale del 28 giugno così come sulle proposte per uscire dalla crisi non v'è distinzione alcuna. L'unico "rimprovero" avanzato dai camussiani, si legge dal loro documento, è l'"Aver reso pubblica una proposta, senza aver verificato la sua percorribilità e l'eventuale consenso minimo sulla medesima, è stato un errore che rischia di produrre un duplice effetto negativo, sulla proposta stessa e sulla piattaforma di Cervia". In sostanza i camussiani avrebbero voluto che si fosse lasciato alla segreteria Cgil il tempo di verificare con le controparti attraverso canali "confidenziali" la fattibilità dell'accordo. Obbiettivo implicito e non confessato di tale percorso era prendere in mano direttamente le redini della eventuale mediazione esautorando i meccanici della loro titolarità contrattuale.
Un dissenso di metodo, per quanto profondo, non rende tuttavia meno rilevante la portata di una completa identità sul piano del merito sindacale assunta dalla Fiom nei confronti della Cgil.
Sull'unità della Fiom
A fine riunione il compagno Landini ha posto in votazione un ordine del giorno dal titolo "L'unità della Fiom". Il testo in sé si limita a riprodurre letteralmente alcuni passaggi dello statuto, rendendone peraltro dubbia persino la validità stessa dal momento che su materie statutarie è solo il congresso che può esprimersi oltre al Collegio di Garanzia. Tuttavia il significato politico di tale documento è risultato più chiaro a fronte delle dimissioni rassegnate, qualche minuto dopo la sua approvazione, dai due compagni Airaudo e Spezia dalla segreteria nazionale. La motivazione è stata di ritenere la propria presenza incompatibile con le posizioni politiche espresse dal compagno Bellavita. L'obbiettivo non celato di tale mossa è di rieleggere la segreteria escludendone quest'ultimo. A rincarare la dose sono state le dichiarazioni pubbliche di critica nei confronti del Segretario Generale in merito alla vicenda Ilva e alle contestazioni subite a Bergamo. Su questa vicenda vorremmo essere chiari. É legittimo ritenere che le dichiarazioni pubbliche rilasciate da Bellavita in queste ultime settimane siano state inopportune, così come è legittimo criticarle anche aspramente. Allo stesso tempo però, dato che Bellavita non ha commesso alcuna violazione dello statuto, è stata altrettanto legittima e non lesiva nè dell'unità nè della lealtà o solidarietà dell'organizzazione la sua scelta di farle.
Pertanto, il messaggio che emergerebbe da questa vicenda, qualora l'area di sinistra Rete28Aprile fosse esclusa della segreteria nazionale, è che in Fiom chi dichiara esplicitamente e pubblicamente il proprio dissenso non può fare parte del suo massimo organismo esecutivo. Anche questa sarebbe naturalmente una decisione politica assolutamente legittima. Tuttavia non v'è dubbio che rappresenterebbe una novità e controtendenza rispetto alla prassi adottata in Fiom negli ultimi 10 anni almeno. Inoltre una decisione di questo genere sarebbe difficilmente giustificabile da parte di una organizzazione che ha fatto, giustamente, del rispetto della democrazia e del pluralismo sindacale la sua bandiera. Siamo convinti che solo attraverso il rispetto e la garanzia della massima democrazia interna sia possibile garantire il massimo della unità d'azione verso l'esterno.
Quale alternativa?
Chi scrive, assieme ad altri 14 compagni, ha presentato un documento alternativo con l'obbiettivo di tentare di tracciare alcune linee guida ed alcune proposte in merito a cosa oggi dovrebbe tentar di fare il nostro sindacato.
Innanzitutto confermare e proseguire la battaglia per la riconquista del contratto nazionale a partire dalla nostra piattaforma.
Dobbiamo dire ai lavoratori le cose come stanno in maniera franca e schietta. Tra qualche settimana avremo un nuovo contratto separato che imporrà condizioni durissime ai lavoratori e avrà come conseguenza immediata l'acutizzarsi dell'isolamento "istituzionale" della Fiom. Tutto questo rende la nostra lotta estremamente lunga e dura. Deve essere chiara a tutti, a partire dal nostro corpo militante, l'idea che probabilmente ci vorranno mesi se non anni per ottenere ciò per cui stiamo lottiamo, ma allo stesso tempo che non siamo disposti a fare nessun passo indietro sulle questioni di fondo e di principio.
Combinando nelle prossime settimane e mesi mobilitazioni generali e nazionali con la conflittualità territoriale ed aziendale dobbiamo costruire nei luoghi di lavoro quella coscienza e rapporti di forza necessari a sostenere e vincere questa vertenza. Ciò vuol dire chiarire e dimostrare attraverso una pratica sindacale coerente che è solo basandoci essenzialmente sul conflitto che possiamo vincere. Non ci sono scorciatoie, nè patti nè accordi ponte col padronato, che possano "salvarci".
Dobbiamo altresì rompere l'isolamento cui la Fiom è relegata ripartendo dal 16 ottobre del 2010. Ricostruendo quelle alleanze sociali e politiche dal basso che pongano al centro e impongano gli interessi della classe lavoratrice. In una parola la Fiom deve tentare di esercitare in prospettiva il ruolo di egemonia e direzione di quel conflitto di classe che verosimilmente, come già in Grecia e Spagna, andrà nei prossimi mesi a crescere di intensità con l'acuirsi della crisi non solo economica ma anche e soprattutto sociale e politica.
Per questo non c'è spazio per soluzioni vaghe e “concertate” col padronato per uscire dalla crisi e per questo a partire da due vertenze emblematiche come quella Fiat e Ilva nel nostro documento si propone di rivendicarne la nazionalizzazione. La produzione non deve e non può più basarsi sulle leggi di mercato. Al centro debbono esserci gli interessi ed i bisogni della collettività e non della borghesia. Questo significa forse mettere in discussione la logica del profitto e quindi le basi fondamentali del sistema? Questo significa mobilitarsi anche per la cacciata del governo Monti? La risposta non può che essere una, secca ed inequivocabile: Si. É il capitalismo, con la sua degenerazione, ad imporcelo ogni giorno di più.
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