Non capita tutti gli anni di tornare a scuola con già uno sciopero generale alle spalle. Anzi, in Italia forse non è mai successo. Per l’anno che viene, però, è meglio abituarsi da subito alle novità.
Partiamo dalla situazione oggettiva. Non uno dei problemi che attanagliano la scuola e l’università pubblica è stato risolto, e il fatto che non ci siano (per ora) in cantiere ulteriori controriforme non toglie gli effetti dell’applicazione di quelle degli anni passati, dai tagli alla riforma Gelmini dell’anno scorso. Anzi, proprio quest’anno segnerà l’entrata in vigore a tutti gli effetti della maggioranza dei nuovi Statuti d’ateneo, con un funzionamento didattico sempre più improvvisato e una restrizione degli spazi democratici. Intanto le scuole continuano a cadere a pezzi. Il classico rapporto di Legambiente sullo stato degli edifici scolastici continua ad essere un bollettino di guerra: quasi la metà delle scuole senza certificato di agibilità, quasi due terzi senza certificato di prevenzione incendi, solo per citare due dati. Per non farsi mancare niente, resta il problema dei tagli agli organici, a cui la sbandierate assunzioni estive non pongono argine. Ogni studente sa poi qual è lo stato dell’istruzione in termini di corsi tagliati, materiale non disponibile e nella vita di tutti i giorni dentro scuole e università. Per chi alza la testa, si accumulano una dopo l’altra le misure repressive, dal voto in condotta al tetto delle 50 assenze, fino ai provvedimenti autoritari del singolo preside o professore.
Se si esce dalle scuole, la musica non cambia. La disoccupazione giovanile continua a salire: secondo l’Ufficio studi dell’associazione degli artigiani sono 1.138.000 gli under-35 senza lavoro. La percentuale di disoccupazione sotto i 24 anni è, secondo lo stesso studio, al 29,6%. C’è da ridere (per non piangere) se pensiamo poi al tipo di lavori a cui hanno accesso quelli che non figurano fra i disoccupati, con il precariato giovanile che viene santificato e aggravato dall’ultima manovra economica del governo.
Abbiamo toccato il fondo? Forse sì, ma il governo si prepara a scavare ancora più in basso. Le misure che sono state approvate mettono in ginocchio l’istruzione pubblica e le prospettive che un giovane può nutrire per il proprio futuro, ma sono solo i primi passi per far fronte, dal loro punto di vista, alla crisi economica. Altri soldi dovranno essere trovati ancora, e ancora, e ancora e chi li dovrà dare saranno sempre gli stessi: giovani e lavoratori. Ciò che vedremo nel prossimo periodo non è uno scenario inedito a livello internazionale. Prima dell’Italia, per restare solo in Europa, le stesse misure sono state prese in Grecia e Spagna. E non è un caso che proprio in quei paesi abbiamo visto la rabbiosa risposta dei giovani, dagli Indignados spagnoli a Piazza Syntagma ad Atene. Ma abbiamo visto anche la reazione degli studenti e dei giovani britannici, prima con un imponente movimento studentesco e poi con i riot di quest’estate che ci hanno riportato alla mente le banlieue parigine. Sia chiaro, non è saccheggiando e incendiando che si fermeranno manovre economiche e polizia, ma ci sembra una reazione più che naturale alla violenza, sotto ogni forma, che speculatori, governi e polizia esercitano ogni giorno. Come diceva qualche anno fa un gruppo di Rio de Janeiro (per la verità più propenso alla guerra cieca alla polizia che alla lotta sociale): “noi siamo il caos che voi avete creato”. Il nostro compito però non si ferma nello spiegare tutto questo e nel partecipare (cosa imprescindibile) alle lotte: è necessario trovare una risposta organizzata che possa davvero combattere gli attacchi e cambiare la situazione.
E allora ben venga un autunno di lotte, ben vengano la mobilitazione studentesca del 7 ottobre e il corteo nazionale del 15, ma rendiamoli passaggi di una lotta capillare e incisiva. Facciamo tesoro della radicalità che abbiamo già visto esplodere con l’Onda e tornare su scala più alta in giornate come il 14 dicembre scorso a Roma, e investiamola in un programma e in metodi vincenti. Quale programma? Chiediamo il ritiro di tutti i tagli e di tutte le controriforme dell’istruzione, l’immediato raddoppio dei finanziamenti all’istruzione e alla ricerca, la gratuità ad ogni livello di istruzione pubblica, una vera democrazia dentro scuole e università. Chiediamo l’abolizione di ogni forma di precariato e il salario garantito per i disoccupati e i precari. Certo, ci diranno che siamo dei folli a chiedere tutto questo proprio quando c’è il problema di pagare il debito pubblico. La nostra risposta è semplice: il debito non va pagato. E, se ci sono da trovare i soldi, andiamo a prenderli dalle scuole private, dalle agevolazioni fiscali al Vaticano, dalle spese militari.
Davanti alla crisi, difenderci vuol dire rompere le compatibilità di questo sistema, con buona pace di chi si illude di poter costruire alternative “compatibili”. Per riuscire a farlo, dobbiamo unire le lotte, e per prima cosa unire la lotta degli studenti con quella dei lavoratori, gli unici in questa società che hanno la forza per vincere questa battaglia. Eravamo nelle piazze dello sciopero generale il 6 settembre, continueremo ad esserci, ma chiediamo che si metta in campo una strategia che possa davvero sconfiggere il governo. Occupazioni, cortei locali e nazionali, presidi permanenti, tende in piazza, scioperi di 24 ore, scioperi a oltranza, picchetti… discutiamo insieme di come continuare la lotta e di come farla avanzare.
Per questo aderiamo all’appello “Dobbiamo fermarli!” anche come studenti, per costruire un’assemblea nazionale che affronti questi problemi, e crediamo che questa discussione debba essere affrontata in ogni collettivo, struttura studentesca e giovanile, per prepararci alle mobilitazioni di quest’autunno.