Con il chiaro intento di parlarne affinchè quanto accaduto non abbia a ripetersi, Daniele Vicari (già regista di un documentario sulla lotta partigiana in Emilia Romagna e di uno sulla lotta dei 35 giorni alla Fiat) ha realizzato un film, “DIAZ non lavate questo sangue”, sugli eventi alla scuola Diaz, durante le contestazioni al G8 di Genova nel luglio del 2001, il giorno dopo l’assassinio di Carlo Giuliani.
Gli eventi di Genova 2001 si inseriscono nel contesto delle mobilitazioni contro i vertici degli organismi finanziari internazionali che avevano avuto il loro avvio con le contestazioni al Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio) a Seattle nel 1999. In Italia il movimento no-global in quegli anni fu particolarmente nutrito e molti furono gli attivisti italiani che già nel settembre del 2000 andarono a Praga a contestare il vertice della Banca mondiale. Alcuni mesi prima degli eventi descritti dal film, a Napoli, durante le proteste contro il Global forum sull’e-government, vennero fatte le prove generali della repressione messa in campo a Genova, con migliaia di attivisti circondati e caricati dentro piazza Municipio.
Il film, passato fuori concorso nella sezione Panorama al Festival di Berlino di quest’anno, con un grandissimo successo di pubblico (che gli ha tributato il proprio premio) e ovviamente nell’indifferenza dei grandi mezzi di comunicazione, denuncia quella che è stata definita da Amnesty international la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale.
Una irruzione di una violenza inaudita di 350 poliziotti, con 150 carabinieri a cinturare l’isolato della scuola, come se si fosse alla ricerca di un arsenale da far impallidire quello dell’esercito degli Stati Uniti (per come è stato descritto nei comunicati dove si è inventata di sana pianta la motivazione per l’irruzione). Vennero invece trovate 93 persone che utilizzavano la scuola come dormitorio e si stavano riprendendo dopo tre giorni di manifestazioni accompagnate dalla continua violenza della polizia, culminata con l’assassinio di Carlo Giuliani per mano del carabiniere Mario Placanica.
Il produttore del film Domenico Procacci si è sentito in dovere di precisare che “il film non ha l’obiettivo di condannare la polizia tout court, ma solo certi atti compiuti a Genova durante il G8”. Il problema non è questo, quanto quello di capire come l’azione della polizia sia servita per veicolare un messaggio chiaro a centinaia di migliaia di attivisti in Italia e in tutto il mondo: “scordatevi la politica altrimenti questa è la fine che si fa a voler scendere in piazza a manifestare per difendere i propri diritti”.
Il film racconta i fatti così come sono avvenuti, con realismo. Ha il pregio di essere molto documentato e di riportare, in gran parte, episodi riportati nelle 10mila pagine dei verbali processuali tratti dalle deposizioni dei 93 attivisti massacrati alla Diaz e successivamente reclusi nel carcere di Bolzaneto, dove le violenze sono continuate.
Si racconta anche la pianificazione del blitz: l’ordine di “sgomberare un manufatto (??) occupato da anarco-insurrezionalisti”. Un ordine, che già da come è concepito, è un depistaggio esso stesso, buono per mettere nella testa di chi lo riceve la ricerca di qualche terrorista che sta confezionando bombe molotov in un casale abbandonato. Alla domanda incontrollata di un sottoposto “come cerchiamo i terroristi? Ci sono delle foto?”, non a caso, viene risposto da un superiore “ma quali foto vai cercando!”.
L’ordine era di entrare e pestare qualunque cosa si muovesse ed un ufficiale di polizia, quando ammette nel film “io i miei uomini non li tengo più”, rende bene l’idea di reparti che erano stati addestrati in maniera durissima da sei mesi per scatenarsi con ferocia, caricati come le molle, contro chi fosse andato a Genova per partecipare alle mobilitazioni contro il G8. Si comprende come i fatti di Genova non costituiscano una “macchia” per le forze dell’ordine , ma la conferma del ruolo dello Stato e dei suoi corpi di uomini armati a tutela dell’ordine costituito.
Durante il film si può sentire anche la telefonata tra due marescialli di polizia, dopo l’assassinio di Carlo Giuliani, nella quale uno dei due ammette candidamente “speriamo che muoiano tutti. Intanto uno già… uno a zero per noi”. Sono questi gli eroi incensati da Repubblica e Corriere della Sera allorquando uno di loro “mantiene stoicamente la calma” di fronte ad un attivista No Tav che, ripreso dalle telecamere della Digos, abituato da quando era piccolo ad avere la polizia nella propria terra per difendere un’opera che gli devasterà la vita, lo stuzzica cercando di risvegliare in lui un po’ di coscienza civile.
E proprio le mobilitazioni degli ultimi anni e degli ultimi mesi a fianco del movimento No Tav, che combatte contro una grande opera inutile quanto contro la repressione, sono la dimostrazione che l’ammonimento, che si è cercato di dare più di dieci anni fa a Genova a mollare l’impegno politico, è stato perlopiù ignorato.