30 anni per la pensione
Purtroppo la campagna terroristica della borghesia verso l’imminente e pressoché inevitabile tracollo dell’Inps ha dato i suoi frutti tra quelle forze, che a sinistra hanno proposto delle riforme che vanno contro gli interessi dei lavoratori.
Dobbiamo rifiutare il concetto che la spesa pensionistica sia una bomba ad orologeria su cui è seduto il paese, dobbiamo rifiutare la logica che tagliare le pensioni è il rimedio di tutti i mali.
Da una parte si punta ad attaccare la spesa pensionistica, dal loro punto di vista troppo alta e responsabile del debito pubblico, dall’altra si stanno organizzando per ingozzarsi quell’enorme torta che rappresentano i fondi pensionistici privati.
Quello che ci stanno preparando avrà grandi ripercussioni sulla vita di tutti i lavoratori e dello loro famiglie, questa volta prepararsi alla lotta vuol dire dover vincere e non accontentarsi di una tregua momentanea come quella del 1° dicembre, che è servita solo a far rientrare il movimento e concedere il tempo necessario per tornare a colpire con più forza.
Per vincere sono necessarie tre cose: primo, ritornare nelle piazze con ancora più forza dell’autunno. Secondo, far sì che le Rsu promuovano le mobilitazioni perché contro Dini i vertici della Cgil non sono disposti, da quello che si è visto fino ad ora, ad organizzare alcuna mobilitazione, in quanto il Pds è nella maggioranza governativa e il nuovo governo è aperto alla concertazione. Terzo, rispondere allo slogan per cui, se non si riducono le pensioni, i nostri figli non avranno alcuna pensione.
Perchè l’Inps è in deficit
L’Inps è allo sfascio perchè i governi fin qui succedutisi l’hanno usata come una banca a interessi zero per coprire altri buchi dello Stato.
Dopodiché ci sono i contributi pensionistici non pagati dagli imprenditori, che evadono una cifra di 15mila miliardi all’anno. Questa evasione si potrebbe combattere se solo l’Inps aumentasse il numero degli ispettori. In tutta Italia gli ispettori sono solo 250! Il fatto che non ci sono i soldi per pagarne di più è assurdo se si considera che ognuno di loro recupera all’anno in media 500milioni (dieci volte di più del loro salario). Stanno dicendo che le nostre pensioni in futuro dovranno essere più basse di quelle dei nostri padri perchè ci sono meno lavoratori e più pensionati, ma nessuno dice che la produttività dei lavoratori negli ultimi 40 anni è aumentata del 500% e che un padrone estrae oggi molti più profitti da un singolo lavoratore.
Nel 1980 ogni operaio della Fiat produceva in media 28 auto, oggi ne produce 79. Il padrone guadagna molto di più da ogni operaio di conseguenza, dunque è giusto che versi più contributi.
Nel ‘94 è accaduto proprio il contrario: il Pil è cresciuto del 3,9% la produttività è aumentata del 5,4%, mentre si sono ridotti salari reali (2%) e occupazione (meno 650mila posti di lavoro). I padroni hanno aumentato profumatamente i profitti mentre i lavoratori ci hanno perso. Una volta di più si dimostra che i sacrifici li fanno sempre e solo lavoratori e pensionati.
Perchè l’Inps non sia in deficit devono aumentare le entrate e cioè i contributi versati dai datori di lavoro, non si possono ridurre le pensioni. Andare più indietro di così non si può.
La proposta dei Progressisti e del sindacato
Non è esattamente in questa direzione che vanno le proposte dei Progressisti e quelle di Cgil-Cisl-Uil giustamente criticate dal coordinamento nazionale delle Rsu.
Non possiamo accettare l’introduzione di meccanismi come "la speranza di vita" (Progressisti), meccanismo che penalizza fortemente i lavoratori che con 35 anni di lavoro vanno in pensione prima dei 65 anni. Quello che deve contare sono gli anni lavorati, non l’età del lavoratore e quanti anni può sperare di campare ancora.
Non possiamo accettare neanche che la pensione sia calcolata sull’arco di tutta la vita lavorativa, come già proponeva Amato, perché altrimenti se si dice che si va in pensione con il 70% del salario, la realtà è che si andrà in pensione con la metà o forse meno.
Non possiamo neanche accettare in prospettiva i 35 anni perché oggi quei 35 anni nella realtà sono molti di più. Con l’accordo del 23 luglio ‘93 si è aperta la porta al lavoro interinale o alle prestazioni temporanee che altro non vogliono dire che precarietà. Ci sono giovani che prima di lavorare con un contratto, lavorano tre, quattro, cinque anni in nero, con ritenuta d’acconto o con contratti a termine. Senza contare una cosa: quanto aumenterà il rischio che nell’arco della vita lavorativa si perda il posto di lavoro? Considerando tutto questo è necessario proporre che in pensione si vada con 30 anni di contributi versati e non con più di 35 anni come propone per il futuro il documento votato dal direttivo nazionale Cgil-Cisl-Uil.
Se i sindacati non difendono le pensioni si apre la strada a tendenze antisolidaristiche tra i lavoratori che possono richiedere di avere tutti i soldi in busta e di farsi una pensione privata che teoricamente offre rendimenti più alti. Questo significherebbe sfasciare il servizio pubblico e più in generale lo Stato sociale.
Si aprirebbe la strada alla privatizzazione delle pensioni, insieme a tutto il resto, facendo il gioco della borghesia dal momento che i fondi di assicurazione rappresentano una fonte di guadagno enorme.
Ma chi ci garantisce che queste assicurazioni domani non subiscano un crack o un crollo in borsa come è avvenuto per la Maxwell in Gran Bretagna, che dopo essersi incassata 18 anni di contributi di molti lavoratori ha chiuso i battenti con un fallimento?
Verso la consultazione dei lavoratori
Nella consultazione, che dobbiamo pretendere sulla trattativa pensioni, oltre a dire di no all’attuale proposta di Cgil-Cisl-Uil nazionale dobbiamo proporre un’alternativa che difenda una vecchiaia dignitosa per i lavoratori.
I nostri dirigenti sindacali hanno dimostrato con questa proposta di riforma di non essere in grado di svolgere questo compito. La logica che li ha portati a farci perdere anno dopo anno diritti e potere d’acquisto dei salari ci impone di incominciare seriamente a organizzare un’alternativa ai vertici sindacali.
Avevano firmato contratti ridicoli nel ‘90 dicendo di chiedere poco per ottenere tutto, promettendo che finita la crisi con i nuovi contratti avremmo ripreso tutto quello perso con gli interessi. Così non è stato perché la ripresa c’è, ma i contratti firmati pochi mesi fa sono ancora peggio e i salari continuano a perdere terreno.
Avevano accettato la fine della scala mobile perché avremmo così debellato il pericolo dell’inflazione. La verità è che l’inflazione si è tenuta in qualche modo sotto controllo perché la crisi ha portato milioni di famiglie a ridurre i consumi, obbligando i commercianti a tenere bassi i prezzi per non scoraggiare ulteriormente i consumatori. Ora che c’è la ripresa lo spettro dell’inflazione torna di attualità e noi non abbiamo meccanismi per difenderci.
Non possiamo accettare che anche sulle pensioni trattino sulle nostre teste. Dobbiamo opporci rompendo con la logica delle compatibilità tra i lavoratori e gli interessi del capitale visto i risultati fallimentari che questa politica ha portato.
Questa opposizione deve incominciare il suo cammino ponendosi chiaramente come alternativa sui programmi, le rivendicazioni e le parole d’ordine coordinando quei delegati sindacali che sui posti di lavoro, negli attivi e nelle assemblee vogliono distinguersi e offrire un’alternativa alla piattaforma nazionale.
Il movimento delle Rsu ha la possibilità di giocare questo ruolo e dare ai lavoratori che stanno nel sindacato o che più semplicemente lo guardano (e lo giudicano) questa alternativa. Non basta proporsi e fare pressioni verso i funzionari perché cambino linea, nell’autunno fu questo il compito che il movimento delle Rsu assunse e di risultati non ce ne furono.
Bisogna andare oltre l’esperienza di Essere Sindacato che ha fatto un’opposizione solo nei congressi e nelle riunioni dei funzionari, ma che non ha mai proposto piattaforme alternative su contratti e trattative. Senza contare che sulle pensioni numerosi quadri sindacali di Essere Sindacato hanno dato il loro appoggio alla piattaforma ufficiale Cgil-Cisl-Uil.
Dobbiamo inserire in questa piattaforma elementi nuovi come il turnover obbligatorio (per un lavoratore che va in pensione un nuovo assunto) e come la riduzione d’orario a parità di salario.
Il discorso pensioni va saldamente legato a quello dell’occupazione perché se passa il discorso della "speranza di vita", la gente lavorerà di più di oggi, riducendo ulteriormente gli sbocchi lavorativi per le giovani generazioni. Certo sono rivendicazioni coraggiose ma le uniche in grado di superare le contraddizioni di questo sistema capace appunto di creare disoccupazione anche in un momento di crescita economica.
Il ruolo delle Rsu
Il movimento delle Rsu deve produrre una piattaforma alternativa da contrapporre a quella ufficiale. Una piattaforma che appunto faccia emergere i limiti della riforma e che dia delle alternative, per poi presentarla in più fabbriche possibili.
Deve pretendere di far discutere nelle assemblee e nei posti di lavoro due mozioni e concedere ai lavoratori finalmente la possibilità di scegliere.
Questo è il primo serio passo verso un nuovo modo, che da tempo non si vede, di fare sindacato.
Se domani riesploderà la lotta dei lavoratori contro un accordo iniquo, il movimento delle Rsu potrà solo guadagnare rispetto e simpatia per la coerenza e la giustezza delle sue idee.
A chi dice che in questo modo spacchiamo il sindacato e quindi lo indeboliamo, dobbiamo rispondere in modo fermo che è falso. La logica della concertazione, la qualità degli accordi stipulati fino ad ora che ha fatto uscire migliaia di lavoratori dal ciclo produttivo, che non permette ai lavoratori precari di alzare la testa, ha portato moltissimi operai a stracciare la tessera ad allontanarsi dal sindacato, o ad averne una sfiducia generalizzata.
Ghezzi (segretario della Camera del Lavoro di Milano) in autunno definì il movimento delle Rsu un’organizzazione parallela al sindacato che doveva chiudere. Ciò era falso perché il movimento era composto da delegati eletti da lavoratori e quindi perfettamente autorizzati ad esprimere idee anche diverse all’interno del sindacato. Sono questi metodi democratici? Se non sei in linea sei fuori, Siano i lavoratori a decidere.
Il sindacato ha la sua ragione di essere solo se è riconosciuto dalle Rsu, se così non è non sono le Rsu a fare l’organizzazione parallela, ma i vertici sindacali che non rispettano la democrazia sindacale.
Le Rsu non possono più lasciare il campo libero ai vertici sindacali accettando di essere semplici suggeritori di proposte formali. Non possiamo sperare in un ripensamento o in una illuminazione improvvisa durante le trattative con le altre parti sociali.
Dobbiamo lottare perché alle trattative vadano delegati di trattativa eletti dalle fabbriche e che i rappresentanti sindacali accompagnino queste delegazioni solo per dare le loro competenze tecniche.
A firmare devono essere i rappresentanti di tutti i lavoratori. Ma intanto prima di sederci ad un tavolo bisogna iniziare a lottare. Da accordi senza lotte non potrà venire niente di buono per noi.
Ci hanno forse mai regalato qualcosa se non quando abbiamo mostrato la forza del movimento dei lavoratori, con l’arma dello sciopero e della mobilitazione?
Pubblica su FalceMartello n°98