Un accordo da rispedire al mittente senza esitazioni
Il 23 luglio è stato definito l’accordo su previdenza, lavoro e competitività. Come già si intuiva da tempo questo nuovo accordo peggiora ulteriormente le condizioni di tutti i lavoratori, donne, giovani, meno giovani e precari.
Le proteste e gli scioperi portati avanti dagli operai metalmeccanici nelle scorse settimane contro qualsiasi cedimento sulle pensioni sono rimaste inascoltate. L’accordo che i vertici sindacali hanno firmato è una vera e propria resa.
L’esigenza di raggiungere un accordo senza conflitti che fosse in sintonia con le condizioni imposte dal ministro dell’economia Padoa Schioppa, li ha obbligati a fare di tutto per impedire che la classe operaia scendesse in campo per ottenere con la lotta quello che doveva essere l’unico obbiettivo di questa vertenza, l’abolizione secca dello scalone Maroni. Del resto era ancora troppo viva per i vertici la contestazione subita sulla finanziaria questo autunno a Mirafiori, e l’idea che le mobilitazioni di giugno potessero estendersi era per Epifani peggio dell’accordo che è stato firmato.
L’accordo
Altro che risarcimento sociale, dei 10 miliardi di entrate in più delle tasse, in gran parte soldi pagati dai lavoratori dipendenti, solo uno e mezzo vengono usati per aumentare le pensioni basse e l’indennità di disoccupazione.
Pensioni: L’accordo raggiunto non abolisce lo scalone ma semplicemente lo sostituisce con una serie di quote e scalini che alla fine dei conti porterà nel 2013 all’età pensionabile di 61 anni con 36 di contributi.
Viene confermata la riduzione da 4 a 2 finestre per l'uscita dal lavoro (gennaio e luglio, le 4 finestre rimarranno solo per i lavoratori che hanno accumulato 40 anni di contributi) e la necessità di aver maturato i requisiti da almeno 6 mesi al momento della finestra. Dal luglio 2009 poi, i lavoratori dipendenti potranno andare in pensione se la somma tra età anagrafica e anni di contributi é pari a 95 ma con almeno 59 anni di età. Dal primo gennaio 2011 la quota passa a 96 (con almeno 60 anni di età) mentre dal primo gennaio 2013 la quota diventa 97 (con almeno 61 anni di età).
Lavori usuranti: Si dà molta enfasi al fatto che finalmente dopo dodici anni dalla controriforma Dini i lavori usuranti saranno esclusi dall'aumento dell'età pensionabile. Lavoratori impegnati nelle attività previste dal decreto Salvi del 1999 (come quelli che lavorano nelle miniere e nelle cave) ma anche quelli impegnati sulla catena di montaggio e gli addetti a produzione di serie, notturni o conducenti di mezzi pesanti. Il Governo calcola che si tratti di 1,4 milioni di lavoratori complessivi pari a circa 5mila uscite l'anno.
Ma anche qui tutto è a discrezione. In primo luogo non è vero che saranno esclusi dalla riforma. Infatti l’accordo dice esplicitamente che avranno il diritto ad andare in pensione con il requisito anagrafico ridotto di tre anni rispetto a quello previsto (sempre con requisito minimo di 57 anni). Quindi quando nel 2013 l’età pensionabile sarà di 61 anni vedranno la propria età pensionabile alzarsi di un anno.
L’accordo prevede che ogni anno verranno utilizzate risorse pari a 250 milioni di euro per permettere il pensionamento di circa 5mila lavoratori. Il problema però è che secondo le stime dell’Inps i lavoratori che avrebbero diritto ad accedervi ogni anno potrebbero essere molti di più. Si calcola che ogni anno vanno in pensione di anziantità in media 100mila lavoratori, di questi circa l’8% fanno parte delle categorie ritenute usuranti. L’8% sono 8mila pensionati l’anno per lavori usuranti. Cosa succederà in questo caso? Si faranno delle liste di attesa?
La definizione di usurante poi è discrezionale, per esempio sono esclusi i lavoratori edili. Chi può sostenere che fare il muratore non sia un lavoro pesante? E ancora, sono compresi i lavoratori notturni, a patto che facciano almeno 80 notti all’anno. Un lavoratore che fa i tre turni nell’arco dei 5 giorni della settimana fa parte o no di questa categoria? Probabilmente no, dato che i giorni lavorativi in un anno sono in media 220 e che quindi le notti sono in un anno mediamente 74. Questi sono solo alcuni esempi che possono dare un idea del fatto che la discussione sui lavori usuranti inevitabilmente apre una dinamica di frantumazione e contrapposizione fra i lavoratori, non certo di ricomposizione sociale come ha sostenuto qualche deputato del Prc.
Viene presentato come una vittoria il fatto che non sono stati toccati i coefficienti. Ma in verità il peggioramento dei coefficienti è solo rinviato di tre anni. L’accordo dice che entro il dicembre del 2008 una commissione apposita farà i conti su quanto dovrebbero essere ridotti i coefficienti per non aggravare la spesa pensionistica. La riduzione dei coefficienti dovrebbe tagliare di un 6-8% le pensioni dal 2010. Dal 2013 poi la revisione dei coefficienti sarà automatica e avverrà ogni 3 anni (la controriforma Dini prevedeva la revisione ogni 10 anni).
Ecco i frutti della politica in favore dei giovani e dei precari promossa dal Governo. Saranno infatti proprio loro che subiranno le ricadute in termini di decurtazione pensionistica di questo accordo. Per quanto riguarda i parasubordinati l’accordo prevede un nuovo aumento contributivo del 3% in tre anni. L’aumento dei contributi sui lavoratori parasubordinati di fatto si tradurrà, nella maggior parte dei casi, in un aggravio per il lavoratore, dato che la retribuzione non è vincolata da contratti nazionali e non sono previsti minimi salariali.
Si da molta enfasi al fatto che si è strappato al Governo l’impegno di portare dal 2030 le pensioni degli attuali giovani al 60% dell'ultimo stipendio, con la controriforma Dini si andrebbe in pensione col 40-50% dell’ultimo stipendio. Questo traguardo sarebbe raggiungibile, secondo il governo, agendo su tre parametri: gli anni di contribuzione, i contributi figurativi e il riscatto della laurea.
Peccato che il paragrafo in questione non da nulla per certo, usa il condizionale e anche qui inserisce una postilla finale che recita: facendo salvo l’equilibrio finanziario dell’attuale sistema pensionistico.
Anche l’argomento che si è tenuto sulle pensioni di vecchiaia delle donne è discutibile. Se è vero che le pensioni di vecchiaia restano a 60 anni (mentre la Bonino e altri esponenti del governo volevano portarla a 65) l’altra faccia della medaglia è che per accedere alla pensione di anzianità dal 2013 dovranno avere 61 anni.
L’inserimento delle finestre nelle pensioni di vecchiaia serve per rastrellare parte delle risorse che vengono a mancare con la trasformazione dello scalone Maroni. Dal 2011, se l’equilibrio raggiunto sarà in pericolo, è già previsto un nuovo aumento dei contributi dei lavoratori dello 0,09%.
Ma non è finita qui. L’accordo affronta anche la questione del lavoro precario e la contrattazione. La legge 30 nei fatti rimane confermata. Viene abrogato il Job on call (il lavoro a chiamata) ma non lo Staff leasing (un'altra variante del lavoro a chiamata), la somministrazione di lavoratori a tempo indeterminato e i contratti di inserimento. Il governo, si riserva inoltre di aprire in futuro un tavolo di trattativa per valutare eventuali modifiche.
Il lavoro a progetto non viene abolito, resterà ancora utilizzabile almeno per tre anni per pagare quasi la metà della riforma sulle pensioni. L'aumento di un punto ogni anno dell'aliquota contributiva sul lavoro parasubordinato per tre anni farà recuperare 4,3 miliardi di euro.
I contratti a termine invece vengono ulteriormente peggiorati, infatti alla scadenza dei 36 mesi non continuativi (un periodo di tempo che dunque può arrivare anche a diversi anni) nella stessa mansione e per lo stesso datore di lavoro, possono essere ulteriormente prolungati. È infatti sufficiente trovare una sigla sindacale qualsiasi compiacente disposta a sottoscrivere il prolungamento del contratto a termine alla Direzione provinciale del lavoro.
Saranno detassati i contratti di secondo livello e i premi di risultato, e la detassazione andrà in gran parte a favore delle aziende.
Queste misure non sono altro che un tentativo di ulteriore svilimento del Contratto Nazionale, proprio nel momento in cui categorie come quella dei metalmeccanici si apprestano ad aprire il conflitto per rinnovarlo.
Gli straordinari saranno meno cari per le aziende (così aumenteranno). L’accordo prevede l’abolizione della contribuzione aggiuntiva introdotta nel 1995. Un incentivo per le aziende ad aumentare l’orario di lavoro che si ripercuoterà su possibili nuove assunzioni. Alla faccia della lotta alla disoccupazione.
Respingere l’accordo
Nella notte tra il 23 e il 24 luglio si è svolto un concitato direttivo nazionale della Cgil che ha appreso all’ultimo momento che nel protocollo d’intesa non c’erano cambiamenti sostanziali sulla legge 30 e sulla contrattazione. Nonostante ciò Epifani e la maggioranza hanno comunque confermato un voto positivo all’accordo per senso di responsabilità. Per la prima volta da tempo nel direttivo si è registrato un voto contrario di una certa consistenza (92 per l’accordo, 22 contro, 8 astenuti). Lavoro società, dallo scorso anno a pieno titolo nella maggioranza, si è dovuta distinguere presentando un documento alternativo sul quale sono confluiti anche i compagni della Rete 28 aprile.
Rinaldini e la Fiom, invece, seppur contrari all’accordo, si sono astenuti riservandosi di prendere una posizione definitiva contro l’accordo al Comitato centrale che si riunirà a inizio settembre.
Il fatto che nel principale organismo di direzione della Cgil ci siano stati non pochi problemi nel far accettare questo accordo la dice lunga sulla qualità dello stesso e sulle non poche difficoltà di Epifani che è stato costretto a comunicare a Prodi che per quello che lo riguarda la concertazione tra governo e Cgil è arrivata al capolinea. Purtroppo però questo non gli ha impedito di firmare l’accordo.
Non è certo dal direttivo nazionale che arriveranno gli strumenti per respingere l’accordo. Lavoro società deve ancora dimostrare effettivamente se oltre a presentare un documento alternativo è intenzionata a fare una battaglia sul campo per farlo bocciare dai lavoratori. Epifani potrebbe anche chiudere un occhio sul documento alternativo, ma non rimarrà a guardare un pezzo della maggioranza che fa una campagna contro a un accordo su cui lui ha messo la firma.
Il 24 luglio i direttivi nazionali di Cgil, Cisl e Uil dovevano incontrarsi per deliberare sui criteri con cui portare avanti la consultazione fra i lavoratori ma l’incontro è stato rinviato a settembre per i contrasti sorti tra le tre organizzazioni sul metodo di consultazione.
A oggi dunque non si sa se i lavoratori saranno consultati e come. È chiaro che l’esperienza ci dice che tenteranno di far votare i lavoratori a fine assemblea per alzata di mano. La maggioranza della Cgil non è per ora disponibile a fare un referendum con tanto di voto segreto e commissioni elettorali, figuriamoci se permetterà ai sostenitori del No di poter entrare nei luoghi di lavoro per spiegare le proprie ragioni. Dobbiamo pretendere un referendum con regole chiare e precise e portare avanti una chiara campagna per il No. Ma dobbiamo anche aver chiaro che da solo questo strumento non è insufficiente. Senza un movimento di lotta che affianchi la battaglia per una vera consultazione i vertici avranno tutti gli strumenti adeguati per condizionarne il risultato. L’esperienza del referendum del 1995 sulla controriforma Dini insegna.
Il fatto che alla firma dell’accordo siano seguite poche proteste o scioperi non significa che a settembre non potremo vedere una risposta più sostenuta dei lavoratori, soprattutto se la Fiom decidesse di dare battaglia abbandonando la posizione ambigua tenuta al direttivo nazionale. C’è un motivo preciso per cui Governi e sindacati firmano sempre gli accordi peggiori in questo periodo dell’anno. È sicuramente il periodo in cui si concentra la maggior stanchezza dei lavoratori.
È importante organizzare da subito alla ripresa dell’attività assemblee, coordinamenti di lavoratori e delegati che contribuiscano a rilanciare quella mobilitazione a cui abbiamo potuto assistere solo parzialmente a giugno. Solo una mobilitazione estesa può creare le premesse per una messa in discussione dell’accordo.
Il partito della Rifondazione comunista ha una grande opportunità da questo punto di vista per recuperare il consenso dilapidato in questi mesi di governo. Non è sufficiente rigettare l’accordo, schierarsi per il No nella consultazione e promettere una battaglia emendativa, quando l’accordo sarà sottoposto al voto delle camere con la finanziaria, sapendo inoltre che in parlamento non esistono assolutamente i numeri per ribaltare questo accordo.
Il Prc deve mettere a disposizione le proprie risorse e i propri militanti, i propri delegati sindacali per una campagna seria che mostri senza ambiguità da che parte sta. Una battaglia che comporterà l’uscita da questo governo, la ricostruzione della credibilità del Prc tra i lavoratori passa da questa strada.