Il Direttivo Nazionale della Cgil di febbraio ha approvato il documento unitario di Cgil-Cisl-Uil. È un documento che non si discosta molto dalle posizioni già conosciute della segreteria della Cgil ma la discussione che si è sviluppata rende, purtroppo, bene l’idea di quali sono le prospettive, in particolare rispetto al tema delle pensioni.
Il documento, in alcuni casi fumosamente, in altri meno, sostiene la linea seguita negli ultimi mesi quando parla di “sviluppo sostenibile e di qualità”, quando ribadisce la condivisione della legge finanziaria del governo Prodi, quando parla di centralità della lotta alla precarietà del lavoro salvo poi riconfermare la correttezza della politica del governo che attraverso le norme del cuneo fiscale, che avvantaggerebbero solo chi assume a tempo indeterminato, e la “lotta al lavoro nero e sommerso” andrebbe, a loro dire, proprio a colpire la precarietà. Ovviamente nessuna parola sul fatto che la discussione sull’abrogazione della legge 30 è stata archiviata.
Il documento tra le altre cose ricorda alcuni cavalli di battaglia della direzione sindacale che rientrano anche nel famigerato memorandum stipulato col governo, la “riforma della pubblica amministrazione” e la richiesta di prevedere anche per i lavoratori del pubblico impiego la previdenza complementare.
Ma è sul tema pensioni che la discussione ha chiarito una volta di più qual è l’orientamento. Il documento dice che “vanno eliminate le distorsioni introdotte dalla legge 243/2004 (la riforma Maroni – ndr), ripristinando la flessibilità dell’età pensionabile nel sistema contributivo e superando l’iniquo scalone previsto a decorrere dal 1 gennaio 2008 per il diritto alla pensione di anzianità. (…)
Cgil Cisl e Uil dicono no alla modifica dei coefficienti di trasformazione delle pensioni in quanto tale modifica si configurerebbe come socialmente insostenibile, soprattutto per le giovani generazioni”.
Dunque “no” allo scalone, che nella Maroni prevedeva l’innalzamento dell’età anagrafica di tre anni per le pensioni di anzianità, “no” alla modifica dei coefficienti che di fatto abbasserebbe ulteriormente le pensioni future, ma, oltre a confermare la validità del sistema contributivo, nessuna parola su eventuali scalini o su ipotesi di aumentare ancora l’età pensionabile.
Il punto è emerso con chiarezza quando il segretario della Camera del Lavoro di Brescia, Greco, ha presentato un emendamento, non particolarmente avanzato, che chiedeva che il documento chiarisse che la pensione pubblica deve garantire il 60-65% dell’ultima retribuzione e che il prolungamento dell’attività lavorativa, oltre la soglia dei 57 anni di età e dei 35 anni di contributi versati, possa avvenire solo volontariamente e sulla base di meccanismi incentivanti, e che non siano previsti disincentivi per costringere i lavoratori a non andare in pensione. L’emendamento è stato respinto con soli 11 voti a favore. Il documento finale è stato approvato con 4 voti contrari dei compagni della Rete 28 Aprile e 4 astenuti. Lavoro Società ha votato a favore.
Il Direttivo, nel documento, dà mandato a tutte le categorie di lanciare una campagna di discussione di questo documento e del memorandum nei luoghi di lavoro per “far vivere la partecipazione”. Una partecipazione molto aleatoria, visto che non è prevista alcuna forma di consultazione che si concluda con un voto.
Il tavolo tra organizzazioni sindacali e governo, mentre scriviamo, non è ancora aperto, ma è ben presente il rischio di un altro accordo al ribasso accompagnato, magari, da una riduzione dello scalone previsto dal precedente governo Berlusconi che, forse, permetterà a qualcuno di andare in pensione prima dei 60 anni.
È quindi necesario per i lavoratori organizzarsi e dare voce alla rabbia che si sta accumulando in questi mesi, a partire dalla questione del Tfr passando per la discussione sulle pensioni che fanno emergere, con sempre maggiore chiarezza, le politiche di attacco alle condizioni di vita dei lavoratori, giovani e pensionati.
14/03/2007