Anche in Sardegna, tutte le forze politiche che hanno portato avanti le politiche di austerità (di centrodestra e centrosinistra) sono in grande crisi, gli unici che non sembrano capirlo sono i dirigenti di Rifondazione comunista che sarà alleata nelle imminenti elezioni regionali al centrosinistra guidato dal Pd e dal suo candidato, l’economista Francesco Pigliaru, prorettore dell’Università di Cagliari.
Solo chi ha potenti allucinazioni può vedere in lui un “candidato progressista”, come afferma il coordinatore regionale del Prc Deriu: Pigliaru è infatti un fervente sostenitore dei memorandum proposti dalla Troika. Questo “sincero democratico” annovera fra le sue proposte politiche principali degli innovativi tagli alla spesa pubblica, dei rivoluzionari abbassamenti del costo del lavoro e delle roboanti semplificazioni amministrative. Giammai si faccia accenno a tagli alle imposte sui consumi o all’aumento e al miglioramento dei servizi pubblici, peste colga tutti coloro che propongano la creazione di posti di lavoro da parte dello Stato. Una prospettiva politico-economica che è più moderata persino della vecchia sinistra Dc, ma evidentemente ai “realisti” dirigenti di Rifondazione questo sembra politica progressista, non gestione liberale del processo di accumulazione del capitale. Tale posizione opportunista porterà all’ennesimo tentato suicidio di Rifondazione. L’unica discriminante posta era l’assenza del Partito sardo d’azione, che dopo essere stato sul punto di entrare nel centrosinistra è tornato nel centrodestra. La motivazione per una simile scelta è la solita: si deve avere almeno un consigliere regionale per incidere, per spostare a sinistra la coalizione, per non scomparire dalla vita politica, insomma le stesse argomentazioni che hanno portato nel ultimi anni alla quasi scomparsa del partito. Sel ugualmente ha mostrato, come sua abitudine, una resa su tutta la linea al Pd. Sul carro dei democratici è salito anche Irs, gli indipendentisti solitamente più votati, sostenendo che la sinistra è tale solo se si apre agli ideali indipendentisti e sovranisti. Insomma non basta un decennio di proclami “rivoluzionari” per essere effettivamente tali.
Il candidato dei democratici, è stato nominato dopo una guerra interna che ha ancora una volta lacerato il partito in pubblica piazza, volta a cacciare la vincitrice delle primarie di settembre Francesca Barracciu, indagata per il poco accorto uso dei fondi regionali da mesi ma divenuta incompatibile solo dopo la vittoria di Renzi alle primarie.
Pigliaru dovrà sfidare oltre al governatore Cappellacci, sotto processo per un paio di bancarotte e per abuso d’ufficio nel quadro dell’inchiesta sulla cosiddetta P3, Michela Murgia, la scrittrice che guiderà una coalizione indipendentista (Sardegna possibile), che punta tutto sulla fascinazione rispetto alle possibilità di sviluppo della Sardegna e sulle capacità dei sardi, ma che non sembra andare oltre un nazionalismo piccolo borghese. Tra i candidati in pectore agli assessorati spicca l’ex segretario dei chimici Cgil Corveddu, che 4 anni fa firmò l’accordo che permise la chiusura della Vynils scavalcando la volontà dei lavoratori.
Gli altri candidati sono l’ex presidente della regione Mauro Pili, staccatosi da Berlusconi per fare un movimento “sovranista” che “cacci i poteri forti” (!) e forse una lista indipendentista (Fronte indipendentista Unidu) che al suo interno ha i comunisti indipendentisti che hanno tuttavia abdicato a un contenuto di classe per puntare su un programma di nazionalismo piccolo borghese, che tuteli i piccoli produttori e commercianti visti come principale base sociale.
Clamorosamente il Movimento 5 stelle, primo partito in Sardegna alle scorse politiche, ha rinunciato a presentarsi alle elezioni regionali a causa dei dissidi interni.
Queste elezioni regionali segnalano un ulteriore passo nel disfacimento dei partiti tradizionali e della credibilità delle istituzioni regionali, nella mancanza di una risposta univoca da dare alla crisi da parte della classe dominante e i suoi partiti, nella crisi del loro consenso ma soprattutto nell’assenza di una forza politica autonoma delle classi lavoratrici che abbia un programma rivoluzionario. Siamo fiduciosi che questa sinistra di classe nascerà solo dal risveglio impetuoso della lotta di classe, non dalla deprimente e sfiduciata elemosina di posti istituzionali.