La polemica tra i deputati grillini e la presidente della Camera Boldrini (Sel) sulla “ghigliottina” o “tagliola”, imposta da quest’ultima alla discussione parlamentare sul decreto Imu-Bankitalia, ha infiammato per alcuni giorni le cronache politiche.
La “ghigliottina”, ovvero la sospensione della discussione parlamentare con voto immediato sul provvedimento in discussione, è una manovra anti-democratica, utilizzata in questo caso contro l’ostruzionismo parlamentare dei grillini, che aveva un unico precedente nel 1996 quando Mancino, allora presidente del Senato, lo utilizzò contro la Lega Nord. Un procedimento parlamentare simile venne utilizzato anche, sotto la monarchia, da Sonnino nel 1899, in piena svolta reazionaria di fine Ottocento...
I principali mezzi di comunicazione hanno presentato i grillini come scatenati ed irrispettosi oppositori del sistema o addirittura – oltrepassando il grottesco – come eversori dell’ordine costituito. Il post dal linguaggio qualunquista e sessista comparso sul blog di Grillo (Cosa fareste se foste in auto con Boldrini?) ha poi permesso a tutti i finti progressisti, abituati a fare prediche sui valori a “pance (sempre più) vuote”, di indignarsi e lanciare proclami altisonanti in difesa della donna e delle istituzioni. Nonostante ciò, tuttavia, ampi settori della popolazione hanno probabilmente continuato a considerare l’insieme della vicenda una prova della radicalità dell’opposizione dei grillini al sistema economico e politico, anche perché l’intervento della Boldrini ha facilitato l’approvazione di un provvedimento che regala miliardi di euro pubblici a Bankitalia.
Cosa c’è di reale nella percezione dei grillini come deputati anti-sistema? Nulla. Il M5S, infatti, presenta la sua azione politica come un tentativo di riportare le istituzioni al servizio dei cittadini, quasi come se si trattasse di infondere “sangue fresco” ad una ormai esausta democrazia parlamentare borghese, avvertita a livello di massa come meccanismo costoso, ostile ed incapace di risolvere i problemi fondamentali della società. Basta ricordare le vanterie di Grillo stesso secondo il quale l’ascesa elettorale del M5S avrebbe impedito una rivolta sociale nelle piazze. L’opposizione all’unità nazionale del M5S, infatti, si guarda bene dall’uscire dalle sedi istituzionali. Per opporsi ad un qualunque provvedimento anti-popolare, però, soprattutto in un periodo di crisi del capitalismo, è necessario un rapporto di forza favorevole nella società. Scioperi, anche ad oltranza, cortei e assemblee di massa sono strumenti necessari per piegare i disegni di governi e classe dominante.
L’interclassismo del M5S, però, non gli permette di unire l’opposizione “urlata” nelle istituzioni ad una qualunque forma di mobilitazione sociale, pena un suo frantumarsi in correnti tra loro in conflitto, esito inevitabile quando la lotta di classe riprenderà in modo generalizzato. L’ideologia liberale è dunque un collante necessario al M5S per sacralizzare la separazione tra eletti ed elettori e la delega passiva dei secondi verso i primi. E cambia poco se gli eletti fanno le barricate… in Parlamento.
Il movimento operaio, nella sua componente marxista, ha mostrato per quali vie sia possibile utilizzare il parlamento per aiutare lo sviluppo della lotta di classe. Nel 1990-91, mentre in Gran Bretagna era in corso la lotta di massa contro il governo della Thatcher contro la Poll Tax, un gruppo di tre parlamentari eletti nel partito laburista e sostenitori della tendenza marxista Militant (Nellist, Wall e Fields) unirono la loro opposizione parlamentare allo sviluppo della mobilitazione. L’azione parlamentare contro la Poll Tax fu subordinata alla lotta nelle piazze. L’opposizione di quei tre parlamentari arrivò fino al non pagamento della tassa, assieme a milioni di britannici, ed alla detenzione per due mesi di Fields. Oggi, al contrario, il M5S taglia lo stato sociale – sempre in nome della legalità – non appena ricopre una minima carica politica esecutiva, come nel caso di Parma e di Pomezia.
In una prospettiva ampia, a concretizzare la differenza tra un parlamentare marxista rivoluzionario ed uno democratico-borghese rimarrà sempre il coraggio e la chiarezza di prospettive del deputato socialista Karl Liebknecht che, cento anni fa, fu l’unico deputato del partito socialdemocratico tedesco a votare contro i crediti di guerra allo scoppio del conflitto. Per avere osato opporsi all’unità nazionale, Liebknecht fu spedito al fronte dove si distinse a tal punto nella propaganda rivoluzionaria tra le trincee da essere rispedito nelle retrovie dallo stesso stato maggiore. Intento a trasformare l’opposizione alla guerra imperialista in una politica di classe contro il capitalismo, Liebknecht, tornato a Berlino, fu il promotore, il Primo maggio 1916, di un corteo di massa non autorizzato al termine del quale gridò “Abbasso il governo, abbasso la guerra!”. Liebknecht in seguito venne arrestato e il giorno della sua traduzione in carcere, scioperarono 30mila metalmeccanici. Erano i primi vagiti della rivoluzione tedesca del 1918-19. A quell’obiettivo era stata interamente subordinata l’azione parlamentare di Liebknecht. Ricordarlo, oggi, ci serve per seppellire quella coltre di perbenismo istituzionale che da decenni ha permeato i gruppi dirigenti della sinistra, pronti a lamentarsi ciclicamente del distacco (sacrosanto!) della gente dalle istituzioni di questa società nelle quali si sono perfettamente integrati, e che ha dato spazio a fenomeni piccolo-borghesi come il M5S.