“I borghesi di Milano per la verità hanno dormito per un bel po’ di tempo. Se adesso si sono svegliati e tornano in campo, è un buon segno, di cui sono lieto” (Cesare Romiti, intervista a la Repubblica del 26 maggio 2011).
Appena resi noti i risultati dei ballottaggi, decine di migliaia di giovani avevano invaso piazza Duomo per festeggiare la “liberazione” di Milano dopo 20 anni di speculazione, repressione e arroganza della destra. Ma a meno di due settimane di distanza nella giunta presentata da Pisapia non si vede traccia di quella straordinaria voglia di cambiamento. E non è tanto un problema di chi manca (nessun assessore per la Federazione della sinistra, ma nemmeno per l’Italia dei valori), ma di chi c’é. Al contrario dell’ondata di “rossi” paventata dalla destra, Pisapia ha formato una giunta di chiaro stampo democristiano e confindustriale.
Un assessorato chiave come quello al bilancio è stato affidato a Bruno Tabacci, ex democristiano di lungo corso, già presidente della regione Lombardia per la Dc e attualmente deputato dell’Alleanza per l’Italia di Rutelli. Tabacci è tra i protagonisti del progetto di un “Terzo polo” con Fini e Casini, quel “grande centro” che ambisce a fare da arbitro e da garante degli interessi confindustriali tra i due poli. Un centro che proprio a queste amministrative ha dimostrato di non essere poi tanto “grande”, che a Milano aveva sostenuto un proprio candidato (Manfredi Palmeri) ed è collocato all’opposizione in consiglio comunale. Il mondo cattolico è poi ben rappresentato dal vice-sindaco Maria Grazia Guida e dall’assessore alla sicurezza Marco Granelli, entrambi esponenti della Caritas ambrosiana, diretta emanazione della curia di Milano. Negli organismi di garanzia hanno invece trovato posto Piero Bassetti, ex presidente della Camera di commercio di Milano e ultimo candidato democristiano a Palazzo Marino, e Valerio Onida, ex presidente della Corte costituzionale e candidato del mondo cattolico alle primarie del centro-sinistra in contrapposizione a Pisapia.
La delega decisiva all’Expo 2015 è andata nelle mani sicure dell’assessore alla cultura Stefano Boeri, l’architetto legato a tutti i principali gruppi immobiliari di Milano che nelle primarie del centrosinistra era stato sconfitto proprio da Pisapia. Alla mobilità e all’ambiente è stato messo il “giovane” Pierfranceso Maran, in realtà pupillo di Filippo Penati, che durante la sua presidenza della provincia di Milano si è distinto per le posizioni più leghiste della Lega contro rom e immigrati, per l’entusiasmo nei confronti dell’Expo morattiano e per il progetto di un “Pd del nord” strettamente intrecciato ai gruppi imprenditoriali. E sembra quasi uno scherzo di cattivo gusto che l’assessore al “benessere” e alla “qualità della vita” sia Chiara Bisconti, ex direttrice risorse umane della San Pellegrino Spa, società del famigerato gruppo Nestlé. Per non farsi mancare nulla dalla vita, non poteva certo restar fuori dalla squadra un socialista, nella persona di Franco D’Alfonso, nuovo assessore al commercio.
Ma le cose non vanno certo meglio se guardiamo a quelli che dovrebbero essere gli assessori di sinistra. Per Sinistra e libertà è diventata assessore all’area metropolitana Daniela Benelli, che era già stata assessore alla cultura nella giunta provinciale di Penati, era rimasta nel Pd fino a marzo e alle primarie aveva sostenuto il candidato cattolico Onida. Quanto all’assessore al lavoro, Cristina Tajani, sebbene venga presentata come una “giovane ricercatrice” protagonista delle giornate di Genova, si tratta di una bocconiana doc che ha fatto il dottorato con Pietro Ichino (il giuslavorista teorico incontrastato della flessibilità sfrenata del mercato del lavoro), che è funzionaria della Cgil ed è nella segreteria della Flc allineata e coperta con la maggioranza della Camusso.
Il segretario milanese di Rifondazione comunista, Nello Patta, ha espresso “stupore e sconcerto” di fronte a questa giunta e più in generale sembra che solo dopo le elezioni nella Federazione della sinistra ci si sia resi conto che i “poteri forti” della città sono ben determinati a condizionare la nuova amministrazione comunale. Eppure sarebbe stato sufficiente leggere l’intervista su la Repubblica di un grande vecchio del capitalismo italiano come Romiti (secondo cui Pisapia “è il prototipo vivente del moderato. Un signore perbene, educato, gentile, pieno di cortesia, colto. Un buon borghese di tradizione milanese”) per capire che la borghesia milanese, delusa dalla Moratti, riponeva in Pisapia la massima fiducia. Anche l’editorialista del Corriere, Piero Ostellino, ci ha sorpreso per chiarezza quando, a proposito delle caratterizzazioni della borghesia milanese progressista o moderata, precisa: “ce n’è una sola. Conservatrice. (…) Conservatrice dei propri privilegi.” E ancora, prima del ballottaggio: “le due borghesie non contano molto ai fini del risultato elettorale. Contano parecchio “dopo”, quando si tratta di governare le risorse cittadine. Marx chiamava i governi delle democrazie liberali il “comitato esecutivo della borghesia”. Sarà tale comitato - sulla base degli interessi dei suoi componenti - a designare il profilo di Milano. Chiunque vinca, i due pallidi candidati sono stati - per dirla ancora con Marx - la “falsa coscienza” di tali interessi”. Spiace che Ostellino vede ciò che Rifondazione invece mistifica, alimentando l’illusione che un candidato apparentemente più di sinistra potesse cambiare la natura della coalizione che lo sosteneva. E infatti oggi il Pd ha una pattuglia di 20 consiglieri su 48 che gli permette di egemonizzare il consiglio comunale: con oltre 13mila preferenze, Boeri si è accreditato ulteriormente presso i palazzinari milanesi e ha scelto come proprio capogruppo Carmela Rozza, famosa per le sue campagne contro gli occupanti abusivi.
L’ipotesi dell’entrata in giunta ha avuto un effetto lacerante sul Prc: sgradevoli appetiti malsopiti trasfigurati da “determinazione a condizionare dal di dentro la giunta”. Come se non avessimo avuto già abbastanza esperienza dell’impossiblità di condizionare i “comitati esecutivi della borghesia”!
È un fatto positivo essere fuori da questa giunta.
Ora è necessario organizzare le aspirazioni al cambiamento. I comitati Pisapia, con tutta la loro demagogia antipartito, non hanno questo scopo. Il vento che cambia ha bisogno di trasformarsi in una protesta popolare cosciente dei suoi diritti e delle sue rivendicazioni: lavoro stabile, casa e servizi contro i grandi affari di Expo 2015.
Con una giunta che risponde solo alle aspettative della borghesia cittadina, cattolica e non, a quelle dei tanti giovani e lavoratori che chiedevano discontinuità con l’era Moratti, la sinistra viene di fatto estromessa dalla maggioranza. Parlare del bilancio partecipativo, come ha fatto Ferrero, suona alquanto ridicolo: un’esperienza fallita persino a Porto Alegre non osiamo immaginare come si possa realizzare con un assessore come Tabacci. La richiesta di formare un gruppo consigliare unitario con Sel e Idv, per condizionare “da sinistra” Pisapia, infine, è anch’essa una proposta piuttosto impraticabile: Vendola vuole fare il partito unico con il Pd e il portavoce milanese di Sel, Daniele Farina, ha difeso a spada tratta la scelta di Tabacci e persino il mantenimento del suo doppio incarico istituzionale.
Rifondazione non può limitare la sua prospettiva politica a tirare la giacchetta di Pisapia. Solo recuperando la propria indipendenza politica e di classe, riuscirà ad incarnare il meglio di quella entusiastica partecipazione popolare che ha portato Pisapia a Palazzo Marino e ad evitare che quella nuova fascia di giovani che durante la campagna elettorale ha iniziato a interessarsi di politica venga schiacciata dal peso della delusione.