Un bilancio delle elezioni europee
Nella consultazione elettorale con la minore affluenza nella storia repubblicana, Renzi ha ottenuto una vittoria di proporzioni pressochè inedite. Il Partito democratico cresce di oltre due milioni e mezzo di voti rispetto alle elezioni politiche di 15 mesi fa.
Prosciugando il bacino elettorale di Scelta civica di Monti, occupa a pieno titolo il centro dello scenario politico italiano. Renzi compie un'incursione anche in Forza italia, incursione legittimata da Berlusconi, quando ha affermato, pochi giorni prima del 25 maggio, “Piuttosto che Grillo, meglio non votare”.
Il campo di quella che fu la corazzata denominata Forza italia e poi Pdl è il più devastato, ennesimo e forse decisivo passaggio di una crisi che si prolunga da anni. Anche se i tre partiti in cui si è scomposto il partito dell'ex Cavaliere ottengono assieme il 25%, vedono la loro tradizionale riserva di consensi del Nord diminuire in maniera consistente: degli oltre due milioni di voti lasciati per strada rispetto al 2013, oltre 600mila provengono da Veneto, Lombardia e Piemonte.
Berlusconi (e l'Ncd, un partito che sopravvive grazie ai voti di Sicilia e Calabria) ha perso l'appoggio della piccola e media borghesia “produttiva” del Nord, che abbraccia Renzi.
Il successo della Lega Nord, 300mila voti in più, è stato ottenuto sulla base di una campagna chiara, di rifiuto dell'Europa, abbinando, sull'esempio del Front national francese proposte reazionarie a campagne con un chiaro richiamo per i ceti meno abbienti, come il referendum sulla riforma Fornero. Il risultato del Carroccio complica le cose per una futura ricomposizione del Centro destra. Ci sono infatti troppe comparse e nessun attore protagonista. La crisi di questo schieramento politico è destinata a continuare nei prossimi anni.
Grillo e Renzi
La bassa partecipazione al voto (-17% rispetto al febbraio 2013) ha sicuramente penalizzato il Movimento 5 stelle. Perchè quasi tre milioni di persone non hanno confermato il voto a Beppe Grillo? Un movimento populista come il M5S, deve vivere continuamente di sfide e soprattutto, di vittorie. L'obiettivo della vittoria elettorale, martellato ossessivamente da Grillo e Casaleggio, doveva essere accompagnato a un'alternativa al programma del Pd di cui il movimento non dispone, dato il suo carattere interclassista.
Il M5S è stato catapultato al centro della scena politica nazionale, è stato messo alla prova dei fatti, e i fatti sono stati implacabili. In parlamento, i grillini non hanno fermato alcuno dei provvedimenti dei governi Letta prima e Renzi poi. Alla prova del governo locale, la “casta” non è stata eliminata ed anzi sono stati i grillini stessi a portare avanti politiche di sacrifici e tagli allo stato sociale. A Parma, dove amministra la città, il M5S si ferma al 19% e totalizza la metà dei voti assoluti conquistati nel 2013.
La rabbia e l'insoddisfazione verso il sistema, la ragione del successo del febbraio 2013, sono stati frustrati da Grillo. Tanti lavoratori e giovani che lo avevano appoggiato sono semplicemente rimasti a casa, e in parte hanno sostenuto Renzi.
Ora, per mantenere assieme il movimento, Grillo non potrà che imporre nuove sfide. Svolte violente e improvvise a destra e sinistra continueranno.
Un peso elettorale significativo potrà essere mantenuto, stante l'assenza di una mobilitazione di massa della classe lavoratrice. Tuttavia, data la sua struttura estremamente volatile, il M5S potrebbe entrare in crisi anche prima, sulla base dell'offensiva renziana, che rinnoverà una campagna acquisti verso i parlamentari grillini, ed ha già nella sua orbita il gruppo di senatori espulsi alcuni mesi fa dal M5S. Altri saranno indispensabili per le riforme istituzionali in programma.
La crisi politica italiana sembra dunque avere trovato una sua temporanea stabilizzazione. Le elezioni politiche sono rimandate e Renzi potrà usare l'arma del voto anticipato come ricatto verso le altre forze parlamentari, dentro e fuori dalla maggioranza. L'appoggio del padronato è totale ed entusiasta. Marchionne e il resto del gotha della finanza e dell'industria applaudono. La Borsa festeggia. Tutti i commentatori della borghesia sono concordi su una cosa: il consenso che ha ottenuto, Renzi lo deve utilizzare per portare avanti riforme strutturali per l'Italia. Dalla riforna del mercato del lavoro a quella della pubblica amministrazione, da una nuova serie di privatizzazioni alle riforme istituzionali, fino alla nuova legge elettorale.
Non abbiamo dubbi che Matteo Renzi accetterà tutte queste sfide. L'uomo è ambizioso e il contesto amplifica enormente questa sua ambizione personale. Sa bene che che il voto, più che al Pd, è andato alla sua persona. Nel partito ha annientato ogni dissenso, la sinistra attorno a Cuperlo e Bersani è costretta al silenzio e si prepara a passare una brutta nottata.
I primi mesi di governo hanno esplicitato tutti i tratti bonapartisti e decisionisti del governo dell'ex Sindaco di Firenze. Dagli 80 euro lordi in busta paga (elargite dal Matteo nazionale, come esplicitato sul cedolino) alla riduzione dell'Irap, passando per l'intervento nelle vertenze Lucchini ed Electorlux. Sono tutti provvedimenti che i lavoratori pagheranno con gli interessi, ma per ora sono serviti, dopo i sacrifici di Monti e l'impasse di Letta, ad illudere un settore che “il governo qualcosa di buono lo sta facendo”. Lo slogan della “speranza” ha, per il momento, funzionato. Tuttavia, Renzi, o alcuni dei suoi consiglieri dovrebbero aver imparato dalla storia che suscitare speranze è un'arma a doppio taglio. Soprattutto se quelle promesse che si sono fatte a lavoratori, disoccupati e pensionati non si potranno mantenere.
Cambiare l'Europa?
Matteo Renzi, baldanzoso per il risultato elettorale, è subito volato a Bruxelles, ripetendo a gran voce che bisogna "cambiare l'Europa se si vuole salvarla". Utilizzerà la presidenza del semestre europeo per ridiscutere il rapporto del 3% tra deficit e Pil, soprattutto per quanto riguarda le spese per infrastrutture ed investimenti. Quello che conta tuttavia in Europa non sono i voti ottenuti, ma la forza economica di cui si dispone. E su questo versante la Germania della Merkel rimane leader incontrastato nel vecchio continente (ed anche nelle urne tedesche, dove la Cdu non è andata affatto male). La Germania e la trojka non sono contrarie ad allargare i cordoni della borsa, ma solo dopo che si siano fatte riforme strutturali nei paesi oggetto degli investimenti.
Anche da questo versante le pressioni si faranno sentire sul governo. Renzi sarà ben felice di “far rinascere l'Europa”, dando l'esempio e, uno dopo l'altro, porterà avanti i provvedimenti tanto attesi dalla borghesia italiana e internazionale.
Lo schema che seguirà sarà quello dei primi mesi di governo, col rifiuto esplicito di mediazioni e pratiche concertative. In questo contesto la “grande soddisfazione” espressa dalla segreteria della Cgil per il voto di domenica scorsa è simile alle congratulazioni di un impiccato al boia mentre sta insaponando la corda.
Uno degli obiettivi di Renzi è quello di azzerare l'idea che i lavoratori possano far valere in maniera collettiva i propri diritti. “Al bene dei lavoratori ci penserà il governo, non c'è da preoccuparsi”, spiega Renzi, usando la più classica retorica demagogica e populista. Il ridimensionamento pesante del potere contrattuale del sindacato da parte dell'esecutivo è quindi un passo inevitabile. E una reazione degli apparati, di cui potrebbe essere in discussione la stessa esistenza, pure.
Renzi in questi primi mesi ha fatto promesse a tutti. Tuttavia, manterrà solo quelle rivolte al padronato. Prendiamo un esempio. Renzi vuole importare il modello danese del mercato del lavoro in Italia, la famosa “flexsecurity”. Nel paese scandinavo, la flessibilità dei contratti è molto alta, ma lo sono pure il salario di disoccupazione e l'assistenza sociale. Nel progetto del ministro del lavoro Poletti, sono previsti contratti da precari a vita e assenza di coperture (o livelli da fame) per coloro che perdono il lavoro. Allo stesso tempo, dal 2017 gli ammortizzatori sociali saranno messi pesantemente in discussione.
In cantiere Renzi ha dunque in programma attacchi, e pasanti, ai lavoratori e al movimento operaio in un contesto di crisi del sistema capitalista. Non siamo in presenza della rinascita della Dc, che consolidò il suo potere durante il boom più prolungato del sistema capitalista: la stabilizzazione del sistema non potrà avere un carattere duraturo.
La lista Tsipras
Come abbiamo visto, non possiamo affidarci a Camusso e soci per una risposta efficace. Men che meno alla Sinistra del Partito democratico, annichilita da Renzi e ormai senza punti di riferimento né amici. Tanto che Cuperlo all'indomani del voto si deve aggrappare al risultato della lista Tsipras, rivelando il suo isolamento.
Il risultato elettorale ci consegna in maniera ancora più drammatica di prima il problema dei problemi. L'assenza di un partito dei lavoratori, di una forza che dia voce agli interessi e alle istanze della classe lavoratrice, sulla base di un programma all'altezza della crisi capitalista in atto. Un programma che può essere solo rivoluzionario, di rottura con le compatibilità del sistema.
Il risultato de “L'altra Europa con Tsipras” ha un aspetto positivo: il raggiungimento del quorum, che a sinistra del Pd mancava dal 2006 in un'elezione nazionale e che libera, almeno parzialmente, gli ambienti della sinistra da un pessimismo cosmico che li opprimeva da troppo tempo.
Il quattro per cento è stato però raggiunto per il rotto della cuffia e, a differenza degli altri paesi dell'Europa meridionale dove la sinistra “radicale” cresce, in queste elezioni europee si perdono ancora voti. Se infatti sommiamo il risultato del 2013 di Rivoluzione civile a quello di Sel, e ai voti della lista Tsipras quelli di Idv e Verdi, i consensi mancanti sono pari a oltre 570mila, finiti nell'astensione e nel voto al Pd.
Le ragioni per questa performance tutt'altro che esaltante sono le stesse che tuttora gettano pesanti interrogativi per il futuro della lista. La sua natura di cartello elettorale, con obiettivi e strategie contraposte al suo interno e il programma riformista, con al centro lo slogan “salvare l'Europa”, la rendono distante dalle necessità attuali del movimento operaio.
Necessità che non sono certo quelle di “sperare che Renzi ci liberi dall'austerità” (Vendola) oppure addirittura di costituire un “partito unico a sinistra col Pd” (Migliore).
Oggi è necessaria invece un'indipendenza di classe per una forza che voglia essere realmente alternativa a sinistra. È essenziale una critica senza sconti ad ogni illusione riformista, illusioni che oggi dominano la Sinistra europea, se si vuole tornare ad essere protagonisti tra quei settori di classi oppresse che oggi non sono rappresentati da nessuno.
È su questa base che sfideremo i gruppi dirigenti della Lista Tsipras, che abbiamo sostenuto criticamente nella campagna elettorale.