Pensioni, legge 30, contratti…
È ora di convocare lo sciopero generale di 24 ore
Fermare il paese con la mobilitazione di massa
Berlusconi scende in campo a reti unificate e dichiara nuovamente guerra ai lavoratori. Otto minuti di messaggio con cui il premier operaio tenta di mettere in riga amici e nemici, caccia un dito nell’occhio a Cisl e Uil e si brucia i ponti alle spalle.
L’offensiva del governo è spinta da molte forze convergenti. La crisi economica colpisce l’Europa e pesa sui bilanci statali, come dimostra il fatto che l’offensiva contro le pensioni colpisce contemporaneamente Italia, Francia e Germania (dove Schroeder insiste sulla sua linea dura sfidando i sindacati e andando a picco nelle elezioni parziali).
I padroni pensano di poter affondare il colpo dopo avere incassato la legge 30. Le grandi mobilitazioni del 2002 non sono riuscite a bloccare l’offensiva contro i diritti dei lavoratori, e questo ha sicuramente causato un momento di disorientamento nella classe operaia. Contando su ciò, Confindustria ritiene di poter raddoppiare la posta puntando a scardinare ulteriormente lo Stato sociale. Contano, soprattutto, sull’evidente arretramento delle burocrazie sindacali, compresa quella della Cgil, che hanno visto le mobilitazioni del 2002 come una parentesi da chiudere al più presto per tornare alla “normale” concertazione.
Ma lorsignori hanno fatto i conti senza l’oste! C’è troppa rabbia accumulata che ribolle. Le condizioni sociali stanno rapidamente deteriorandosi, il peggioramento si avverte a livello di massa, in particolare con l’espolosione dei prezzi (certo ben oltre quel 2,9% ammesso dall’Istat) che erode salari e pensioni con una rapidità che non si vedeva da anni.
In queste condizioni l’attacco del governo e il modo arrogante con cui viene portato avanti non possono che suscitare una reazione. Lo sciopero di 4 ore convocato da Cgil Cisl e Uil per il 24 ottobre è solo l’atto minimo dovuto.
Noi pensiamo che a tale sciopero si debba partecipare, non condividiamo l’appello di alcuni sindacati di base a boicottare quella data e a scioperare separatamente. Tuttavia è evidente che la mobilitazione del 24 parte con una pesante palla al piede, con un carico di ambiguità e di punti negativi che non dobbiamo nascondere.
In primo luogo si tratta di una mobilitazione del tutto insufficiente (solo 4 ore) prevalentemente dimostrativa.
In secondo luogo, è chiaro che le basi su cui si convoca questo sciopero sono le più arretrate. Di fatto si tratta di uno sciopero per difendere una legge sulle pensioni, la riforma Dini del 1995, che:
- non garantisce affatto una pensione pubblica dignitosa per tutti e con l’introduzione del metodo contributivo ha tagliato drasticamente il livello delle pensioni che, a regime, si aggirerà attorno al 60% del salario;
- ha introdotto la previdenza integrativa aprendo la porta alla speculazione finanziaria sulle pensioni;
- ha diviso i lavoratori fra giovani e anziani;
Inoltre la stessa legge Dini prevede una “verifica” sull’andamento dei conti Inps nel 2005, “verifica” che facilmente porterà alla “scoperta” che è necessario provvedere a nuovi tagli. Insomma, sulla base della piattaforma sindacale rischiamo di scioperare oggi per poi, nel 2005, vederci riproporre misure analoghe da parte degli stessi dirigenti sindacali!
In nome dell’unità con Cisl e Uil si accetta di mettere da parte tutti i temi controversi che potrebbero irritare il suscettibile Pezzotta; non si parli di legge 30 e di precarietà, quindi; non si parli di democrazia sindacale, o del diritto dei lavoratori a decidere sugli accordi sindacali che li riguardano. Zitti e mosca, e ringraziare Pezzotta e Angeletti che dopo aver firmato l’impossibile, dal contratto separato dei metalmeccanici fino al “Patto per l’Italia”, ora si degnano di convocare quattro ore di sciopero per le pensioni!
Intendiamoci, se allo sciopero ci saranno i lavoratori iscritti alla Cisl o alla Uil questo è positivo; ma la vera unità fra i lavoratori non può essere costruita con questa equivoca diplomazia fra le segreterie: si può costruire solo con una piattaforma realmente di svolta e con un percorso di mobilitazione credibile, che non sia solo dimostrativo ma che punti realmente a mettere in campo tutta la forza del movimento operaio per mandare a gambe all’aria questo governo.
In nome di questa falsa unità si tenta di smussare gli angoli mettendo in ombra i punti di conflitto più avanzati, a partire dai metalmeccanici. E purtroppo se il gruppo dirigente della Cgil si piega alle esigenze dell’unità di vertice con la Cisl, il gruppo dirigente della Fiom a sua volta si piega alle esigenze di Epifani. Il comitato centrale della Fiom, quindi, ha deciso di rinviare lo sciopero generale della categoria (con corteo nazionale) da mesi convocato per il 17 ottobre e ora spostato al 7 novembre.
La spiegazione fornita ufficialmente è: per far riuscire meglio lo sciopero del 24. Ma è una spiegazione che non sta in piedi, i lavoratori metalmeccanici in lotta contro il contratto bidone firmato da Fim e Uilm aspettavano la data del 17; il messaggio dato è molto chiaro: lo sciopero del 17 era scomodo perché ricordava a tutti che c’è aperto un problema grosso come una casa, ossia il vero e proprio scippo del contratto nazionale operato da Fim e Uilm, e pertanto è meglio rimuoverlo dalla scena. La scelta della Fiom indebolisce oggettivamente sia la lotta dei metalmeccanici che quella per le pensioni.
Male che la Cgil si pieghi a questa logica, malissimo che lo faccia la Fiom, inqualificabile (ma non certo sorprendente) che lo faccia la cosiddetta sinistra Cgil di “Cambiare rotta”. E ci domandiamo a che diavolo serve una sinistra nella Cgil, se alla fine nella riunione del Comitato centrale della Fiom l’unico voto contro lo slittamento dello sciopero (oltre a due astensioni) è venuto dal nostro compagno Paolo Brini.
Ma le ambiguità del 24 non si limitano al solo terreno sindacale. Il centrosinistra si scaglia a parole contro la riforma delle pensioni di Berlusconi. Ma è evidente che per tutte queste forze il problema non è affatto difendere un diritto elementare, ma solo quello di usare le difficoltà del governo per raccogliere un risultato sul terreno elettorale.
Qui la contraddizione è davvero clamorosa. Nel 1994 Prodi invitò Berlusconi, allora al governo, a insistere con la sua riforma delle pensioni; oggi dal suo “alto incarico” di presidente della Commissione europea è uno dei principali responsabili del massacro contro le pensioni che si sta portando avanti in Italia, Francia e Germania. Dovrebbe essere chiaro anche a un bambino di cinque anni che in questa lotta Prodi non è un alleato, ma un avversario, così come lo sono tutti coloro (e sono molti!) che nel centrosinistra hanno detto più o meno apertamente che le pensioni si possono toccare (ultimo l’ex ministro diessino Bersani). Ma questa palmare evidenza sfugge completamente al compagno Bertinotti, che in tutta serietà spiega che la mobilitazione può aprire la strada alla caduta del governo (e su questo ovviamente siamo d’accordo), e che di fronte al fallimento della destra si apre la strada per una alleanza di governo fra il Prc e l’Ulivo capeggiata dallo stesso Prodi!
Va detta apertamente la verità: questo sciopero viene concepito da chi lo ha convocato come la classica valvola di sfogo per evitare un’esplosione di rabbia, e viene concepito dal centrosinistra come un comodo sgabello su cui salire; nella logica di questi signori le piazze piene vanno bene fintanto che non disturbano più di tanto il manovratore. Ben venga quindi lo sciopero, ci dicono i D’Alema e i Bersani, ben venga anche la manifestazione unitaria delle opposizioni proposta da Bertinotti; le piazze piene fanno scena, ma i governi “non si abbattono con la piazza”; alla fine i lavoratori ritornano in fabbrica e a tirare le fila saremo noi nelle prossime elezioni.
La riuscita dello sciopero del 24 non si potrà quindi misurare solo con percentuali di adesioni o numeri di manifestazioni; lo sciopero si potrà dire riuscito se riusciremo a farne un’occasione per esprimere i veri sentimenti di rabbia e di volontà di lottare che si accumulano ogni giorno di più, dando il via a una mobilitazione che rompa gli argini posti dal vertice sindacale e che rompa le uova nel paniere a Prodi e D’Alema.
Il governo è sicuramente indebolito, ma non dobbiamo pensare che possa cadere solo per la sua crisi interna. Il potere di ricatto di Berlusconi sui suoi alleati è ancora forte. Dobbiamo imparare la lezione degli ultimi due anni: le manifestazioni oceaniche e due scioperi generali non sono bastati a far cadere il governo. Dobbiamo uscire dalla logica delle mobilitazioni puramente dimostrative e confinate a un terreno solamente difensivo (ieri l’articolo 18, oggi le pensioni). È necessario che emergano rivendicazioni offensive, unificanti, che possano dare voce alle reali esigenze di milioni di lavoratori, di disoccupati, pensionati, studenti, in particolare:
- una seria battaglia sul fronte dell’inflazione: aumenti salariali cospicui e uguali per tutti, che recuperino quanto perso in dieci anni di concertazione; un salario minimo legale, legato all’inflazione, primo passo per garantire condizioni di vita decenti ai milioni di precari e “atipici” non tutelati da alcun contratto di lavoro; una pensione pubblica e dignitosa per tutti dopo i 35 anni di lavoro;
- una battaglia a tutto campo contro il precariato, contro la legge 30 ma anche contro le forme di precariato introdotte dal centrosinistra con il “pacchetto Treu”, con l’obiettivo finale di trasformare tutti i contratti precari in contratti a tempo indeterminato;
- una battaglia per la difesa della scuola e dell’università pubbliche, contro i regali alle scuole private e contro la logica di privatizzazione strisciante e di selezione di classe che sta devastando l’istruzione pubblica;
- una lotta per la difesa dei posti di lavoro minacciati dalle varie crisi aziendali, partendo la riduzione dell’orario di lavoro fino ad arrivare se necessario a rivendicare l’esproprio sotto il controllo dei lavoratori delle aziende che licenziano o chiudono, a partire dalla Fiat.
A una piattaforma offensiva devono corrispondere metodi di lotta adeguati. Lo sciopero generale deve essere veramente tale, fermare il paese per 24 ore anche rimettendo in discussione le leggi antisciopero; e se ciò non bastasse, bisogna alzare ancora il tiro, andare a una mobilitazione prolungata e in crescendo, rendere ingovernabili le aziende e il paese; il vero black out lo possiamo fare noi, spegnendo il governo e la Confindustria!
Se qualcuno pensa che questa sarebbe una strada magari giusta ma troppo ardua e difficilmente praticabile, lo invitiamo a riflettere su un fatto: la strada del “minimo sforzo”, la strada apparentemente “ragionevole” proposta ovunque dalla sinistra riformista e dai dirigenti sindacali, non ha portato alcun risultato tangibile; gli sbocchi sono solo due: o piegarsi in nome delle “compatibilità”, come hanno fatto la Cisl e la Uil fino a ieri, o come ha fatto la Cfdt francese firmando la controriforma delle pensioni; oppure proclamare la lotta senza però trarne le conclusioni e senza un piano credibile andare oltre le manifestazioni periodiche, con il rischio evidente di sfiduciare i lavoratori senza ottenere alcun risultato.
Le esperienze di cui siamo testimoni attraverso il lavoro di tanti compagni che sostengono la nostra rivista, ci dicono tutte la stessa cosa: ovunque ci sia un delegato sindacale, una struttura periferica, un punto di riferimento in grado di proporre e organizzare lotte più dure e conflittuali, la risposta dei lavoratori è sempre positiva; abbiamo visto ritornare metodi di lotta come gli scioperi senza preavviso, a “gatto selvaggio”, articolati in modo da causare il massimo danno alla produzione, metodi di lotta che da decenni sembravano dimenticati; fra i metalmeccanici compaiono primi tentativi dei delegati di coordinarsi fra loro, di costruire strutture di lotta legate più strettamente ai luoghi di lavoro. Continuiamo a incontrare centinaia di lavoratori più o meno pesantemente precarizzati e “flessibilizzati” che cercano la strada per organizzarsi nel sindacato e imporre il rispetto di diritti minimi elementari nelle aziende.
È questa la strada da battere per i comunisti, altro che inseguire gli accordi di governo con Prodi e compagnia bella!
L’autorganizzazione dal basso è oggi il terreno decisivo sul quale dobbiamo impegnarci, riscoprendo le migliori tradizioni della classe operaia italiana. La storia delle lotte operaie dall’Autunno caldo del 1969 alla lotta per la difesa della scala mobile innescata dai consigli di fabbrica autoconvocati del 1984 (quella stessa lotta che oggi Fassino rinnega come “superata e perdente”), ci insegna che il moderatismo dei vertici sindacali può essere messo in crisi dall’irruzione del protagonismo operaio. Ed è per portare in piazza questo protagonismo che saremo in piazza il 24 ottobre e oltre.