Fermare l’attacco allo stato sociale con un nuovo autunno caldo
Il braccio di ferro che vede impegnata Rifondazione contro l’Ulivo e in particolare contro il Pds attorno alla discussione sullo stato sociale potrebbe apparire a un occhio superficiale una ripetizione di quanto già visto nell’ultimo anno e mezzo.
Una discussione dai toni accesi nella quale Prodi chiede di tagliare 100, Bertinotti propone di tagliare 20 e alla fine si trova l’accordo a 50. Infatti ogni giorno che passa il disincanto per questo governo cresce, non solo per l’effetto cumulativo delle diverse manovre che colpiscono soprattutto i più deboli ma soprattutto per il carattere di farsa che alla lunga assume.
Si può fare un sacrificio e una trattativa al ribasso se hai la prospettiva di un miglioramento futuro, ma quando i sacrifici si allineano uno dietro l’altro e non c’è alcun miglioramento nei salari, nell’occupazione, nello stato sociale nel lungo periodo allora non si è di fronte a un arretramento tattico ma a una sconfitta su tutta la linea.
L’Istat ha rivelato recentemente che negli ultimi 4 anni l’inflazione è aumentata del 15,5% mentre i salari solo del 14,4% (il differenziale nell’industria privata è anche più alto).
In realtà la perdita di salario reale è molto più alta.
Il governo sostenuto fin qui dall’Ulivo e da Rifondazione, non ha assolutamente invertito questa tendenza, anzi. Di occupazione si è fatto un gran parlare ma oltre ad una proposta propagandistica poco si è fatto.
Quella delle borse di lavoro al Sud, non risolve assolutamente il problema dell’occupazione ma si inserisce coerentemente nella filosofia del pacchetto Treu, che alla lunga otterrà solo il risultato di precarizzare il lavoro e provocare più disoccupazione.
Disoccupazione che oltrettutto viene incrementata dalla privatizzazione del settore pubblico. Come si vede ancora una volta coi tagli di personale previsti per l’autunno alle Ferrovie e alle Poste, aziende queste che negli ultimi 5 anni hanno già subito un dimagrimento di personale per oltre 80-100 mila unità.
Sono esaltati a dismisura i risultati del governo nel terreno economico. Si è urlato alla ripresa per la crescita su base annua del Pil dell’1,2% nel secondo semestre, crescita ridicola oltrettutto drogata dagli incentivi auto disposti dal governo.
Certo un governo di destra avrebbe fatto molto peggio, questo è l’argomento che usano i compagni che sostengono la linea di Bertinotti e Cossutta contro le critiche fatte da noi della minoranza di Rifondazione Comunista, ma non si avvedono del fatto che un governo di destra è chiaramente individuato come un nemico dai lavoratori come è avvenuto nel ‘94 col governo Berlusconi, mentre di fronte a questo governo i lavoratori stanno a guardare sono confusi e lasciano fare perché lo considerano (ora sempre meno) un "governo amico".
L’unico vero "successo" che ha ottenuto questo governo è stato quello di spostare l’equilibrio delle forze in campo frenando le lotte operaie preparando il terreno a un ritorno aggressivo delle destre, che oggi sono divise e non riescono a sfruttare a pieno le opportunità che la politica antisociale del governo gli offre ma che domani potrebbero tornare con la loro alternativa alla crisi capitalistica, con la liberalizzazione selvaggia e l’abolizione di ogni parvenza di diritti sindacali e sociali, il tutto contornato da un po’ di populismo razzista e una richiesta di più ordine e dell’uomo forte (poco importa se italiano o padano).
Continuando su questa strada la sinistra si suicida, qualcuno se ne avvede e da lì i malumori crescenti che si odono tra molti dirigenti sindacali. Ma l’unione monetaria incalza e le pressioni della borghesia spingeranno questo governo ad aggredire nuovamente lo stato sociale e in particolare le pensioni che solo due anni fa sono state tagliate con la riforma Dini che secondo i dirigenti sindacali doveva garantirci fino al 2013!
Rifondazione pagherebbe il prezzo più alto di tutti se sostenesse questo scempio ed è per questo che i margini di accordo con Prodi si stanno effettivamente restringendo.
Non a caso il Ccd ha tentato di inserirsi in queste contraddizioni offrendosi coma alternativa in Parlamento ai voti di Rifondazione.
Lo stesso Berlusconi è uscito con la proposta del "governo di programma" proposta immediatamente rientrata.
I tempi per un governo di "unità nazionale" che vedesse solo Rifondazione all’opposizione non sono maturi e Prodi vede col fumo negli occhi qualsiasi cambio di maggioranza che metta in discussione la sua leadership.
Il compagno Bertinotti si è giustamente molto irritato per l’ottimismo sparso da Prodi ma non solo da lui, sul fatto che Rifondazione alla fine "non romperà" essendo una "forza responsabile", lo stesso Fini ha dichiarato al Sole 24 Ore che crede poco alla volontà di Rifondazione di rompere.
Gli stessi padroni come Agnelli hanno dichiarato che la "riforma dello stato sociale" è meglio farla con Rifondazione comunista.
Ma perché la borghesia punta tanto sui comunisti? In primo luogo per quanto detto sopra; i lavoratori una pillola così amara potevano ingoiarla solo da un governo sostenuto dalla sinistra. Ma non è solo questo.
C’è anche una ragione di prospettiva futura, tesa a minare il potenziale di radicalità e di lotta che la sinistra e in particolare Rifondazione è in grado di esprimere e che la partecipazione in questo governo inevitabilmente deteriora.
Infatti anche se la tattica del partito ha indubbiamente fatto aumentare i consensi elettorali è una politica col fiato corto che si ritorce contro il partito stesso che non a caso mostra già i primi segnali di crisi soprattutto sul terreno della militanza attiva (sono in calo gli iscritti rispetto al ‘96, ma soprattutto il livello di militanza, come dimostra il calo di vendite del giornale di partito Liberazione).
Il gruppo dirigente del Pds e della Cgil a loro volta hanno tutto l’interesse a mantenere Rifondazione nella maggioranza e non a caso stanno utilizzando tutti i loro strumenti di pressione per convincere i dirigenti comunisti a cedere.
Non è un caso che lo stesso Cofferati, che raramente interviene sulle questioni politiche si sia spinto a dichiarare che non esiste nessuna maggioranza alternativa a quella attuale.
Non gli garba la prospettiva di una Rifondazione comunista all’opposizione che urla contro un governo di centrosinistra costretto ad avanzare durissime misure antipopolari con il sostanziale sostegno del sindacato.
Il rischio è quello di esaurire completamente i margini di controllo sui lavoratori e che salti in aria tutto il sistema della concertazione. In realtà solo una ripresa del movimento operaio in difesa delle pensioni, con un programma per l’occupazione e la difesa dello stato sociale può fermare il massacro sociale iniziato cinque anni fa con il governo Amato e che senza soluzione di continuità è andato avanti con il governo Ciampi, Berlusconi, Dini e con Prodi oggi.
L’esperienza di questo ultimo anno e mezzo è li a dimostrare che il governo dell’Ulivo non avvierà nessuna svolta politica.
Come comunisti dobbiamo riconoscerlo rompendo con gli elementi borghesi che compongono questo governo ma soprattutto promuovendo la mobilitazione sociale denunciando i misfatti invece di mascherarli come ha fatto finora la direzione di Rifondazione Comunista per sostenere la propria collocazione nella maggioranza parlamentare. In ogni angolo del paese, in ogni fabbrica dobbiamo promuovere assemblee sullo stato sociale costringendo i dirigenti sindacali a spiegarci cosa sono disposti a trattare ancora sulle nostre pensioni. Qualsiasi proposta deve essere sottoposta a consultazione democratica tra i lavoratori. La controriforma Dini passò col 40% di voti contrari, dobbiamo lavorare perché la controriforma Prodi ottenga una maggioranza di voti contrari.
Ma le assemblee, la consultazione, il voto operaio non sono un fatto scontato, solo con la mobilitazione attiva dei lavoratori più coscienti è possibile fermare il massacro sociale in atto.
Dobbiamo lavorare per questo e perché i timori di Prodi di scatenare un nuovo autunno caldo diventino una realtà tangibile.
Questo aprirebbe una crisi del governo, della sinistra e delle organizzazioni sindacali? Se a fermare un governo di centrosinistra che fa una politica di destra sono i lavoratori con una mobilitazione massiccia, questa crisi non può che essere salutare perché spingerebbe le organizzazioni tradizionali del movimento operaio a rimettersi sul binario di una politica di classe, partendo da Rifondazione Comunista, per giungere ai sindacati e perfino al Pds dove una sconfitta della strategie di D’Alema aprirebbe la strada alla crescita di un settore critico e di una sinistra interna che oggi esiste solo sulla carta.