La scelta finale conferma quanto avevamo detto da mesi: la destra al governo, date le condizioni economiche e politiche che si stavano creando, sarebbe stata costretta a scendere sul terreno dello scontro frontale con i lavoratori e con il sindacato.
Il governo può essere battuto! Ci sono le forze, quelli che andranno a Roma, per quanti siano, saranno solo una delegazione dei milioni che si stanno risvegliando nelle lotte di queste settimane.
Il governo ha sbandato. La stessa Confindustria si è divisa, e mentre il presidente D’Amato pochi giorni fa in un’assemblea di Confindustria si strappava i capelli implorando il governo di non cedere di fronte ai sindacati, la Fiat e la Pirelli disertavano platealmente l’incontro. I partiti del governo a loro volta sono divisi, da un lato Bossi invitava Maroni e Berlusconi a riconsiderare la questione, dall’altro i dirigenti del Ccd-Cdu tentavano fino all’ultimo di cucinare un accordo con Cisl e Uil. Berlusconi è riuscito persino a farsi criticare dal cardinale Ruini, presidente della Conferenza episcopale e rappresentante dei settori più reazionari della chiesa cattolica, che ha criticato la legge razzista sull’immigrazione. I rapporti con la magistratura sono arroventati più che mai e si parla di uno sciopero dei magistrati, decine di migliaia di persone stanno partecipando alle mobilitazioni per la "legalità" e la "giustizia".
Ecco servito chi parlava di una destra invincibile, saldamente insediata nella società, con un blocco sociale solido e inattaccabile. Berlusconi ha sollevato un vero e proprio turbine di opposizione sociale e politica dai sindacati agli immigrati, dagli studenti alle donne, sono potenzialmente milioni coloro che possono schierarsi all’opposizione.
Al centro dello scontro ci sono l’articolo 18 e le altre deleghe chieste dal governo, e al centro della lotta c’è lo sciopero generale. Ecco un punto su cui dovrebbe riflettere chi per anni e decenni ci ha riempito la testa con la "fine del lavoro", la "fine del conflitto di classe", la ricerca di "nuove soggettività", ecc.
Il fronte dell’opposizione a Berlusconi è certamente multiforme, sia socialmente che politicamente, ed è un bene che sia così. Ma questo fronte trova un perno, una forza trainante che trascina tutti nella sua scia, nel momento in cui scende in campo il movimento operaio organizzato, nel momento in cui si apre la prospettiva dello sciopero generale. La centralità della classe lavoratrice nella società attuale si dimostra una volta di più non nelle analisi dei marxisti, ma nel vivo dello scontro sociale e politico.
Più d’uno ha paragonato l’attuale situazione italiana a quella della Gran Bretagna dei primi anni ’80, quando la Thatcher schiacciò il sindacato dei minatori dopo uno sciopero di oltre un anno, e a quella degli Usa negli stessi anni, quando il presidente Reagan schiacciò lo sciopero dei controllori di volo; in entrambi i casi, quelle sconfitte aprirono un periodo di amari arretramenti per il movimento operaio. Ne hanno parlato molti nella sinistra, ma ne ha parlato anche il Wall Street Journal, minacciando Cofferati e la Cgil di fare una brutta fine.
Quel paragone è a nostro avviso del tutto infondato. In primo luogo, le sconfitte dei primi anni ‘80 arrivavano alla fine di un ciclo di lotte internazionale durato oltre un decennio, un ciclo aperto dal ‘68 francese e dall’Autunno caldo del 1969 in Italia. Si trattava quindi dell’ultima fiammata di una generazione operaia che aveva dato tanto nella lotta, che aveva toccato livelli altissimi di mobilitazione, ma che cominciava a rifluire, a dubitare delle proprie forze, che accusava il colpo dei tradimenti subiti dai propri dirigenti. Le sconfitte dei minatori inglesi e dei lavoratori americani potrebbero essere, in questo senso, paragonate alla sconfitta della Fiat nel 1980, che chiuse un ciclo di lotte durato 12 anni.
Oggi però il contesto è radicalmente diverso. Protagonista delle lotte è una nuova generazione di lavoratori, che dopo aver accettato la flessibilità e il precariato in nome di un futuro migliore, oggi perde le illusioni e si orienta alla lotta collettiva. In secondo luogo, siamo di fronte a un’ondata di mobilitazioni internazionali che è tutt’ora in crescendo. In Spagna, dopo che lo scorso autunno si sono mobilitati centinaia di migliaia di studenti in quello che è stato il più grande movimento studentesco dal 1986-87, vediamo ora le gigantesche manifestazioni di Barcellona, manifestazioni che sono state probabilmente ancora più partecipate di quelle di Genova. In tutto il mondo il panorama è di una ascesa dei conflitti sociali, in Corea torna a farsi sentire una classe operaia che con una tenacia ammirevole da un decennio mantiene livelli di mobilitazione e di organizzazione tra i più avanzati al mondo. Dall’Ecuador alla Bolivia, dal Brasile all’Argentina, l’America latina torna dopo vent’anni di silenzio a occupare un posto centrale nella lotta di classe su scala mondiale.
Lo sviluppo dei movimenti, della crisi economica e delle contraddizioni internazionali manda in crisi tutti i fautori della "modernizzazione" e della aperta collaborazione di classe. Dopo la crisi del centrosinistra italiano, abbiamo visto le vittorie elettorali della destra in Danimarca e ora in Portogallo. In Gran Bretagna comincia a svilupparsi nei vertici sindacali un’opposizione a Blair, mentre sulla questione della possibile guerra contro l’Irak si dice che due ministri laburisti e 39 deputati abbiano minacciato le dimissioni. In Germania la borghesia comincia ad abbandonare il suo coccolatissimo Schroeder (coccolato come lo era D’Alema fino a un anno fa) e si orienta a sostenere Stoiber, rappresentante della destra più reazionaria della Democrazia cristana tedesca. In Grecia ci sono stati due scioperi generali contro un governo guidato dalla destra socialista.
Tutti questi avvenimenti dimostrano come siamo di fronte a un processo internazionale di crisi della sinistra "modernizzatrice", di ripresa dei movimenti, di maggiore aggressività della classe dominante e dei partiti di destra.
In uno scontro sociale come quello che si apre è importante valutare le forze in campo, ma anche la qualità dei dirigenti: un grande esercito con pessimi generali può essere sconfitto, e i generali che guidano il governo sono davvero poca cosa.
Quando nel 1983 la signora Thatcher decise di attaccare i minatori, allora punta di lancia del movimento sindacale britannico, si preparò allo scontro per oltre un anno; ebbe cura di isolare i minatori dagli altri settori potenzialmente in lotta, ebbe cura di preparare leggi antisindacali per mettere sotto pressione i vertici dei sindacati (che infatti in oltre un anno di sciopero non si decisero mai a convocare uno sciopero generale in appoggio ai minatori stessi), ebbe cura di rimandare altri conflitti che avrebbero potuto confluire nella lotta, ebbe cura di comprare valanghe di carbone in Polonia per garantire i rifornimenti nonostante lo sciopero.
Il governo Berlusconi ha invece "pianificato" la battaglia nel modo che segue: prima ha provocato tutto e tutti (studenti, insegnanti, donne, immigrati, lavoratori, movimento noglobal, magistrati, ecc.); poi ha messo in difficoltà il proprio governo aprendo una serie di conflitti nella sua maggioranza; infine, dopo aver esitato sull’articolo 18 è ripartito a testa bassa, riuscendo così a perdere per la strada i suoi due alleati più importanti: i vertici di Cisl e Uil.
A fianco di Berlusconi c’è il ministro Maroni. Questo signore durante gli scioperi del 1994 era ministro degli Interni, e minacciò di "mandare in piazza i carri armati"; ridotto a più miti consigli, quando Bossi tradì Berlus-coni tentò di organizzare una corrente filoberlusconiana all’interno della Lega. Bossi gli diede una severa lezione e lo mise in punizione per quattro anni; ritornato alla ribalta nell’ultimo anno, non ha scordato le amare esperienze del passato: ogni volta che deve aprire bocca, prima telefona a Bossi e a Berlusconi per essere sicuro di non sbagliare. Il problema sorge quando gli dicono due cose diverse, e allora va in confusione.
A "tenere la piazza" ci penserà questa volta il signor Scajola, quello che ha detto che a Genova hanno fatto bene a spararci addosso, e che sarebbe pronto a rifarlo. La voce popolare (non certo noi, che non siamo così maligni!), dice che la bomba sotto il suo ministero se l’è fatta mettere lui. I nostri efficientissimi servizi segreti informano che prevedono possibili attentati e violenze in relazione allo scontro sull’articolo 18. Una chiara minaccia a tutti noi, ma anche un segnale evidente di difficoltà politica, un tentativo di criminalizzare le lotte. Cari signori del governo, non ci avete fermato con le bombe di luglio, non ci avete fermato con la repressione assassina di Genova, non ci fermerete neppure questa volta!
L’adesione di Cisl e Uil allo sciopero generale ha un aspetto positivo, sia perché rende evidente l’opportunismo dei loro gruppi dirigenti, sia perché fà crescere fra i lavoratori la sensazione di unità e di forza che è indispensabile per vincere la lotta.
Tuttavia c’è anche un aspetto negativo; "ributtando" Pezzotta e Angeletti nel campo dello sciopero generale il governo ottiene automaticamente due interlocutori "ragionevoli", che possono contribuire ad annacquare il movimento (e il primo segnale negativo in questo senso sono le voci di un rinvio dello sciopero, rinvio per il quale non c’è nessun motivo al mondo). È evidente che aumenta il rischio di un accordo al ribasso, o di un rinvio che da parte del governo sarebbe solo un prendere tempo per poi tornare alla carica in un momento per loro più favorevole.
L’unica risposta possibile quella di costruire una vera partecipazione dal basso, che non sia solo quella di aderire alle date convocate dal vertice, ma che veda un reale controllo della base sulle mobilitazioni.
Una prima proposta dovrebbe essere quella di utilizzare gli scioperi e le iniziative di questi giorni per avviare una discussione a tutto campo nei luoghi di lavoro, al termine della quale rinnovare le Rsu con criteri realmente democratici (cioè senza posti garantiti per nessuna organizzazione); delle Rsu rinnovate, a stretto contatto con le mobilitazioni che si sviluppano, potrebbero coordinarsi a livello territoriale e di categoria, e garantire una partecipazione ampia e attiva, unico contrappeso di fronte ai rischi sempre presenti di compromessi a perdere.
Cofferati si sbraccia da mesi per dimostrare che questa è una lotta puramente sindacale e che non c’è l’obiettivo di far cadere il governo. Ma uno scontro di queste proporzioni diventa automaticamente uno scontro politico: per la posta in gioco, per l’importanza che sta assumendo; e poi, parliamioci chiaro: questo governo ha dimostrato di essere una minaccia permanente per i nostri diritti. Non possiamo lottare in permamenza, dobbiamo mettere in campo ora le forze per rovesciarlo; se questo avvenisse, si aprirebbero anche le condizioni migliori per farla finita con la linea "modernizzatrice" di D’Alema e Fassino, per rompere la catena che per tutto lo scorso decennio ha subordinato le forze del movimento operaio alla politica borghese dei vari Prodi, Amato, Rutelli.
Le forze per vincere ci sono, il governo ostenta sicurezza ma è tutt’altro che solido. Una sola cosa è ancora necessaria: la volontà di vincere, la decisione di non sprecare le potenzialità di questa enorme mobilitazione, di non farci truffare nuovamente come avvenne nel 1994, quando una vittoria conquistata sul campo dai lavoratori venne vanificata nelle aule parlamentari, aprendo la strada a quella lunga stagione di concertazione che tanti disastri ha prodotto in questi anni.
Qui c’è il compito cruciale e decisivo dei comunisti: il compito di essere non solo partecipanti attivi della lotta, ma di fare avanzare all’interno del movimento le parole d’ordine più combattive e quelle che possono aiutare a sviluppare la lotta, ad ampliare la partecipazione, a portarla al punto più alto possibile.
È necessaria una piattaforma generale, che andando oltre l’articolo 18 rimetta in discussione non solo le deleghe del governo ma anche la politica dei governi di centrosinistra, a partire da punti come:
- Estensione dell’art. 18 a tutti i lavoratori, trasformazione di tutti i contratti "atipici" in contratti a tempo indeterminato;
- Salario minimo fissato per legge;
- Salario ai disoccupati;
- Diritto all’accoglienza, all’istruzione, alla sanità e al voto per i lavoratori immigrati;
- Abolizione della controriforma scolastica, di tutti i finanziamenti alle scuole e università private, raddoppio della spesa pubblica per l’istruzione;
- Esproprio sotto il controllo dei lavoratori di tutte le aziende che licenziano o inquinano; piani di risanamento e riconversione finanziati dai profitti e gestiti sotto il controllo dei lavoratori (unica soluzione per situazioni come quella di Gela o di Porto Marghera);
- Forte recupero salariale per coprire quanto abbiamo perso negli ultimi 10 anni di concertazione;
- Inversione della politica fiscale; forte tassazione dei profitti, delle rendite, degli alti redditi che in questi anni sono stati favoriti.
- Per la cacciata del governo Berlusconi!
Milano 19.3.2002