I padroni usano i nazionalismi per dividere i lavoratori!
Come convincere un lavoratore leghista?
A un anno dalla manifestazione leghista lungo il Po, Bossi sta tentando di riprendere l’iniziativa sul terreno secessionista con due mobilitazioni.
Una è la manifestazione antisindacale con l’invito ad abbandonare le confederazioni per aderire al "sindacato padano"; l’altra sono le cosiddette elezioni padane del 26 ottobre. Apparentemente si tratta di una semplice ripetizione del rituale secessionista dell’anno scorso, ma non è così.
La differenza fondamentale fra oggi e un anno fa consiste nel fatto che mentre nel 1996 la risposta alla Lega fu lasciata integralmente in mano alla destra nazionalista, con la manifestazione di An a Milano, oggi contro la Lega si prepara la mobilitazione del sindacato. Non è una differenza da poco.
È possibile che vi siano fra alcuni lavoratori delle perplessità sulla manifestazione sindacale del 20 settembre. Purtroppo le parole d’ordine dei dirigenti sindacali saranno ambigue, si parlerà di "difesa dell’unità nazionale", si tenterà di farne una manifestazione in difesa della sciagurata politica dei vertici sindacali di questi ultimi anni, ecc. Il primo a capirlo è Bossi stesso, che ha definito i vertici sindacali come "una banda di matti che va a braccetto di Confindustria" ben sapendo che sono molti i lavoratori a pensarla in questo modo.
Su questo punto è necessaria la massima chiarezza: il compito di ogni attivista cosciente del movimento operaio è di partecipare e far partecipare alla manifestazione del 20, non per andare ad applaudire i discorsi patriottici dei dirigenti sindacali, ma per immettere in quella manifestazione parole d’ordine, slogan e contenuti realmente corrispondenti alle esigenze dei lavoratori.
I luoghi comuni sono controproducenti
Si è perso molto tempo, ma ancora è possibile capire e quindi fronteggiare efficacemente il fenomeno secessionista. Si dovranno abbandonare tutti i luoghi comuni reazionari sulla difesa dell’unità della patria che suonano a vuoto. Si dovrà partire dalle condizioni di vita dei lavoratori, dai loro interessi. Dobbiamo dirlo chiaro una volta per tutte: nessun principio sacro potrà sostituire la mancanza di sicurezze nel presente e in futuro. Quando tra le masse comincia a serpeggiare l’idea che il futuro riserva un peggioramento sostanziale si apre la strada ai cambiamenti radicali. Questi possono essere rivoluzionari o reazionari, dipende dal comportamento delle classi sociali nella situazione data, dalle loro organizzazioni e dai loro dirigenti.
Non era decisa in anticipo la tragedia della ex-Jugoslavia. Prima che i nazionalisti di ogni etnia prendessero il sopravvento abbiamo visto una crisi strisciante che durò più di 10 anni.
Senza quel periodo di decadenza, costellato di scioperi, crisi personali e collettive, che non riuscì a far nascere un’alternativa alla burocrazia neo stalinista, non sarebbero stati possibili i gravissimi avvenimenti degli anni ‘90 e la conseguente spartizione del paese.
Il movimento operaio italiano non potrà difendersi dell’attacco leghista se non dimostra nei fatti ai lavoratori del nord, ma anche a quelli del sud, come la divisione delle organizzazioni sindacali, la loro strutturazione per appartenenza etnica, la frammentazione dei contratti di lavoro sarà negativa per tutti i lavoratori, quelli del nord e quelli del sud. Ma tale opera di convinzione non è credibile se contemporaneamente si svendono (un pò alla volta, in dosi omeopatiche) diritti conquistati dopo decenni di lotte di generazioni di lavoratori.
I dirigenti leghisti sanno che la loro proposta di un sindacato su basi etniche è astratta e fuorviante. Non a caso il loro sindacatino non ha mai superato qualche migliaio di tessere e ha pochissimi delegati eletti. Nelle fabbriche del Nord ci sono molti simpatizzanti della Lega e tanti votanti; pochi gli iscritti al loro sindacato e meno ancora gli attivisti. Quando i lavoratori si mobilitano, come successe per la difesa delle pensioni contro Berlusconi, la propaganda leghista entra in crisi per una precisa ragione: la mobilitazione gli toglie il terreno sotto i piedi perché propone una via d’uscita alternativa ai problemi sociali, la via della lotta degli oppressi, di qualsiasi zona del paese siano, contro i padroni di tutte le regioni. Per questa ragione Bossi si è basato più che sulle proprie capacità di convincimento, sugli errori e i cedimenti dei dirigenti sindacali. Non a caso questa campagna antisindacale è stata lanciata nello stesso periodo in cui i dirigenti leghisti prevedevano un’ulteriore svendita dello stato sociale, da parte dei dirigenti confederali.
Lottare contro tutte le destre
Bisogna dunque in primo luogo capire che l’avanzamento delle idee secessioniste in ampi strati di popolazione del Nord, particolarmente nel Veneto, nasce dalla presa di coscienza che l’Italia, così com’è, non offre loro che problemi e svantaggi. I primi a sentire ciò sono stati i capitalisti (spesso di aziende medio-piccole, molto dinamiche, soprattutto nei mercati esteri) che per decenni, hanno ricevuto contributi da "Roma ladrona".
Oggi che i contributi scarseggiano, si sentono abbastanza forti per "fare da soli". Di conseguenza vogliono rivedere i rapporti con il resto dello Stato italiano. Ovviamente sanno che senza un appoggio popolare a queste loro rivendicazioni non avrebbero gambe per camminare e così riscoprono il vessillo di San Marco o si inventano di sana pianta la "Padania".
Allo stesso tempo questi padroni sono ben disposti a "internazionalizzare le loro produzioni" verso l’alto, comprando ditte in Germania o negli Usa, ma anche verso il basso subappaltando pezzi interi della loro produzione a ditte dei paesi dell’Est (secondo il Sole-24 Ore almeno 3.500 aziende venete hanno spostato parte della loro produzione in Romania). In questo modo hanno messo in una crisi drammatica migliaia di contoterzi artigiani dell’abbigliamento dopo averli spremuti per anni
come limoni.
Anche il luogo comune che vuole il Veneto una zona senza lavoratori dipendenti, dove tutti sognano di diventare un giorno come la Luxottica o la Benetton si infrange contro la realtà delle cifre: dopo un triennio di crescita esplosiva che ha portato l’export del Triveneto a costituire da solo il 50% dell’attivo commerciale dell’Italia, ci troviamo con un 70% di lavoratori dipendenti sul totale della forza lavoro, mentre le aziende piccole perdono colpi riguardo a quelle medio-grandi.
Siccome il periodo delle vacche magre è appena cominciato (per la prima volta da anni l’export è in calo del 5,8% ) questo processo si intensificherà ancora lasciando sul lastrico tanti aspiranti "neo imprenditori". Il fronte comune "antiromano" potrebbe incrinarsi presto!
La crescita economica del Nord-Est ha dato ali alla Lega in un contesto di crisi economica dello Stato centrale.
Cosa succederà ora? Quei lavoratori che avevano creduto alle magnifiche sorti delle loro aziende e ora rischiano il licenziamento torneranno a credere nel movimento operaio italiano se esso non si limita ad accusarli di essere secessionisti, mentre il governo dell’Ulivo contratta delle concessioni economiche alla borghesia del Nord.
Per poter vincere questa battaglia bisogna capirne i contenuti di classe. In questo modo risulta evidente come non ci sono contraddizioni fondamentali tra la borghesia ex -Dc del Nord, ora diventata leghista e la borghesia ex-Dc del centro Sud, ora diventata sostenitrice di Forza Italia e Alleanza nazionale. Tutte e due combattono la stessa battaglia contro i "loro" lavoratori (stato sociale, scuola, sanità, pensioni…) solo che nel primo caso si coprono con la foglia di fico della secessione, nel secondo difendono l’unità della patria.
Ciò risulta palese nella trattativa tra Polo e Lega per presentarsi in coalizione nelle elezioni comunali a Venezia.
Frontiere italianee frontiere padane
I vertici del sindacato hanno convocato una mobilitazione contro la secessione.
E giù un gran parlare sulla "astrattezza" della Padania e sull’unità di Italia. Ma qualcuno crede seriamente che la "questione padana" possa essere risolta con un dibattito storico? La Padania manca di basi storiche almeno quanto la Bosnia che era realmente una zona di confine tra diverse etnie (quella serba e quella croata erano solo le principali) e che, proprio perché nessuna era chiaramente dominante, aveva sviluppato attraverso i secoli una cultura di integrazione e di contatto amichevole tra le diverse tradizioni.
Il punto non è cosa è successo in passato, ma che risposta offrono "l’Italia" o la "Padania"
alle angosce di quel giovane disoccupato di Milano, o a quel lavoratore in nero di Treviso o a quell’ingegnere elettronico d’Ivrea che si vede tra poco sulla strada.
Il movimento operaio potrà essere più convincente della Lega solo se prende le distanze dai "difensori dell’unità della patria" e dai fautori della repressione contro "i secessionisti".
Crediamo che i comunisti dovrebbero lottare per mettere al centro della mobilitazione del 20 settembre queste parole d’ordine: noi non ci opponiamo ai confini padani in nome dei confini italiani, o magari europei; ci opponiamo a qualsiasi confine perché nelle condizioni attuali ogni stato, dal più piccolo al più grande, con le sue frontiere, la sua moneta, i suoi eserciti, la sua burocrazia, rappresenta un ostacolo allo sviluppo delle forze economiche.
I nostri confini non passano né fra Padania e Italia, né fra Italia e Europa, né fra l’Europa e gli altri continenti; i nostri confini passano fra i lavoratori di tutti i paesi e il capitalismo internazionale.
Questa posizione non mancherà certo di suscitare il sorriso dei politici "realisti" che dirigono oggi il sindacato e larga parte della sinistra. Tuttavia ci sentiamo di affermare con piena fiducia che sono ormai maturi i tempi perché l’idea di un movimento operaio internazionale non sia più solo patrimonio di piccole avanguardie, ma cominci a penetrare nella coscienza di milioni di lavoratori. Se ne vedono ormai da diversi anni i sintomi, nel numero crescente di vertenze sindacali a livello europeo o addirittura mondiale, nei tentativi sempre più numerosi di creare legami organizzati fra i lavoratori delle gigantesche compagnie multinazionali, ecc.
La parola d’ordine vincente, quindi contro la propaganda secessionista, non può che essere quella dell’unità dei lavoratori di tutte le nazionalità.
Il referendum per la Padania
Allo stesso tempo la nostra opposizione alla secessione non deve portarci a sostenere chi, come Prodi, parla di prendere misure repressive contro le cosiddette elezioni padane che Bossi vuole organizzare il 26 ottobre. Il movimento operaio ha tutto l’interesse a fare sì che la volontà di qualsiasi popolazione che si sente oppressa dallo stato italiano possa esprimersi liberamente attraverso il referendum o con altri canali.
Di più, il movimento operaio non dovrebbe opporsi a una simile consultazione, ma dichiararsi disposto a mobilitarsi affinché ne vengano rispettati i risultati, sia che si tratti di una richiesta di maggiore autonomia in campo culturale o economico, sia che si tratti di un vero e proprio referendum sulla secessione.
Questo può apparire contraddittorio con quanto detto finora, ma non c’è alcuna contraddizione.
Esiste un ampio settore popolare, formato da lavoratori dipendenti, artigiani, e soprattutto molti giovani, che prende molto sul serio gli slogan di Bossi contro la burocrazia, contro l’oppressione, contro la corruzione, ecc. e che condensa questo suo sentimento nella parola d’ordine della secessione. L’impresa di piazza S. Marco aveva certamente degli aspetti farseschi, ma non è stata una farsa. Basta porsi una semplice domanda: quale partito o movimento nell’Italia del 1997 è capace di suscitare tali aspettative e speranze da indurre alcuni suoi militanti (sono stati i primi, ma non saranno certo gli ultimi) ad imbarcarsi in un impresa, certo incruenta, ma nella quale comunque mettevano a repentaglio la loro libertà personale? E per ognuno di questi, quanti altri ve ne sono che approvano e sostengono questo gesto, vedendo in esso una giusta ribellione?
I comunisti devono ad ogni costo essere in grado di dialogare con questi giovani, e per farlo occorre avere anche parole d’ordine adeguate. Ad essi dovremmo dire: "Siamo d’accordo che questa Italia, controllata dai capitalisti, corrotta e burocratica non ci offre un futuro degno, ma noi non condividiamo la vostra speranza che la lotta per la Padania costituisca un passo avanti per le popolazioni del Nord. Crediamo che i problemi dei lavoratori veneti, lombardi, laziali o siciliani siano molto simili (lavoro, casa, tasse, sanità, scuola per i figli, pensione…) e che i responsabili di tutto ciò non sono da ricercare a Roma, ma tra i capitalisti, italiani, padani o stranieri che siano.
L’unità del movimento dei lavoratori al di sopra di razza, religione, sesso e nazionalità è stata una conquista storica, decisiva per difendere gli interessi della nostra classe. A chi sei più vicino? Al padrone della Luxottica o a Benetton o al giovane lavoratore siciliano o romano? Se c’è una unità da difendere è quella tra i tutti lavoratori.
Su questa base possiamo offrire a tutti i piccoli padroncini un’alleanza contro il grande capitale che li schiaccia quando e come vuole.
Il movimento operaio è naturalmente internazionale, da quando il capitalismo lo è diventato a sua volta. Ora che si parla di creare consigli d’azienda europei non è proprio il caso di dividersi in Italia. Il punto è un’altro: discutiamo assieme dei problemi comuni! Vediamo concretamente se è possibile risolvere i nostri comuni problemi con l’autonomia o la secessione!
Certo ai vostri padroni basta avere più soldi e agevolazioni varie. Come i nazionalisti catalani e baschi che appoggiano il governo del centralista Aznar in Spagna, in cambio di concessioni economiche, sarebbero anche loro disposti a vendere il loro appoggio al Polo, in cambio di vantaggi economici. A Venezia può succedere proprio questo.
Aprite gli occhi compagni! Noi lavoratori non possiamo avere un futuro sia in un’Italia unita, che in una Padania separata. L’alternativa è lottare per trasformare questa società in senso socialista. Una volta finito il controllo capitalista della società sarà possibile cominciare a risolvere i nostri problemi.".
Solo con queste proposte potremo distinguere nettamente la nostra opposizione alla secessione dal coro patriottico e ipocrita che, da Fini a Scalfaro passando per tutta la poco profumata schiera dei padri della patria, invoca periodicamente l’uso della repressione contro la Lega.
Quando Violante minacciò la Lega un anno fa con i carri armati, Maroni ringraziò "perché quella minaccia avrebbe portato 300.000 voti nuovi alla Lega".
Oggi invece Bossi è molto preoccupato sugli esiti del braccio di ferro che lui ha dovuto ingaggiare col sindacato, perché potrebbe finire in un fallimento clamoroso. Tocca ai comunisti nel movimento operaio avanzare le proposte e le tattiche adeguate perché ciò sia l’inizio della riscossa operaia contro i padroni, siano essi del Nord o del Sud.