L'editoriale del nuovo numero di Falcemartello (17 novembre 2010)
Il governo Berlusconi è ormai agli sgoccioli. Non passa giorno senza che il premier venga contestato, sia questo in Veneto o all’Aquila. Il fallimento è sotto gli occhi di tutti e colpisce la destra anche nel terreno simbolico. Emblematico il caso della nuova emergenza rifiuti a Napoli, sulla cui risoluzione Berlusconi aveva puntato tutto nelle settimane di campagna elettorale.
Abbandonato dai poteri forti, Confindustria e gerarchie ecclesiastiche in primis, anche i mezzi utilizzati per rimanere a galla sembrano rinverdire i “fasti” di democristiana memoria. Dalla compravendita dei deputati, all’ultima trovata dello scioglimento di una sola camera, tutto conduce all’immagine di un uomo che cerca disperatamente di mantenersi aggrappato al potere. Gli scandali ormai quotidiani non ne sono che il corollario.
Come accade sovente, sono proprio gli ultimi giorni di vita quelli in cui un potere in declino cerca di sferrare i colpi più infidi e pericolosi. Assistiamo così alla repressione scellerata della lotta degli immigrati a Brescia e delle popolazioni di Terzigno e Giugliano, al disegno di legge sullo “statuto dei lavori”, alla nuova legge finanziaria.
I colpi di coda del governo
Partiamo da quest’ultima. Per Tremonti sembra che non ci siano più soldi in cassa, e infatti crolla Pompei e il Veneto viene sommerso dall’acqua, però in questa finanziaria, da 5 miliardi e mezzo di euro, si trovano i fondi per le scuole private, che con ben 250 milioni quasi raddoppiano i fondi regalati dallo Stato. Si trovano i soldi per la difesa, a cui andranno ben 940 milioni di euro per finanziare e potenziare l’intervento imperialista in Afghanistan e in altre parti del mondo. Per tutto il resto la scure dell’esecutivo sarà spietata e raffiche di aumenti colpiranno tutti i servizi pubblici. Clamoroso il caso del trasporto ferroviario. È stato introdotto un meccanismo per cui i 425 milioni destinati al trasporto pubblico locale andranno alle regioni che aumenteranno le tariffe, con buona pace dei pendolari e delle città che soffocano nel traffico.
Il passaggio in parlamento della finanziaria sarà molto breve. Tutti i gruppi parlamentari l’hanno promesso al presidente Napoletano, che ha tirato in ballo “l’emergenza economica” in cui vive il paese. E così in nome dell’emergenza, sarà approvato un altro tassello dello smantellamento dello stato sociale. La sfiducia da parte del Pd può aspettare, ha detto Bersani…
Negli stessi giorni in cui veniva discussa in commissione la legge Finanziaria, veniva presentato da Sacconi un disegno di legge delega sullo “statuto dei lavori”. Questo provvedimento, da considerare a fianco del “collegato al lavoro” di cui parliamo all’interno di questa rivista, si propone di distruggere il diritto del lavoro così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi 40 anni. Il concetto base è che il “contratto”, da chiunque sia stipulato, prevale sulla legge.
Sarebbe irresponsabile pensare che tutto questo finisca nel dimenticatoio una volta caduto il governo. A Fini e agli altri esponenti del nascente “terzo polo” queste politiche iperliberiste non dispiacciono affatto, così come non sono certo invise a Confindustria, suo principale sponsor.
Berlusconi è alla fine e non mancheremo certo di festeggiare il giorno in cui farà le valigie da Palazzo Chigi. Ma stiamo attenti perché i brindisi rischiano di andarci di traverso. Cambiare i suonatori è una cosa, cambiare la musica è tutt’altro. Con la scusa dell’emergenza “democratica” anche il Pd e l’IdV potrebbero essere coinvolti in un governo di transizione che oltre a riformare la legge elettorale, possa approvare alcune misure di “risanamento economico” in modo celere, senza aspettare che il Cavaliere risolva prima i suoi problemucci con la giustizia. A questa prospettiva lavora la nuova alleanza tra Fini, Casini e Rutelli, a cui Bersani ha deciso di legarsi mani e piedi per uscire dalla crisi di governo. Al “governo di scopo” ha detto sì pure Nichi Vendola, dal palco del congresso di Firenze di Sel.
Peraltro un ribaltone che produca un governo del genere può anche ridare fiato alla destra sul terreno elettorale, che si metterebbe a gridare contro la “congiura dei banchieri e dei palazzi romani” che sovverte le elezioni e dissangua il popolo.
Un nuovo patto sociale?
Il Presidente della camera lo ha detto chiaro e forte, il “patto sociale tra le parti” deve essere una priorità nel prossimo futuro. Questo vale sia in caso nasca un governo che in caso di elezioni anticipate, perché non è una tattica elettorale ma è la pressante esigenza dei padroni di questo paese. A una prospettiva di “normalizzazione” dei rapporti fra le parti sociali, visto il quadro politico in mutamento, lavora anche la neosegretaria della Cgil, Susanna Camusso. Non passa giorno in cui non proponga agli imprenditori di “contribuire insieme alla crescita del paese”. A quale crescita i padroni italiani siano disposti a contribuire non è dato sapere, visto che, secondo il Fmi in questi ultimi dieci anni il Pil pro capite della penisola è cresciuto solo del 2,43%. Ci collochiamo penultimi in una classifica di 180 paesi, peggio fa solo Haiti.
La ragione, secondo il padronato che non brilla certo di originalità, è della bassa competitività, da imputare alle troppe regole che mantengono bassa la produttività. Marcegaglia propone un bel tavolo sulla produttività, a cui Epifani e Camusso accettano di buon grado di sedersi. Il problema, amano ripetere i due, sono Berlusconi e Sacconi: una volta messi da parte si può tornare alle buone vecchie relazioni concertative. Questa novità forse Marchionne e Federmeccanica non devono averla compresa, sarà che sono duri d’orecchie… e anche la Fiom, con le sue “rigidità”, non aiuta certo a tornare alla sospirata normalità.
“Normalità” è una parola che va molto di moda oggi e fa rima con unità. Tutti uniti contro Berlusconi, basta divisioni e frammentazioni. Lo sentiamo ripetere in tanti comizi sindacali e nei congressi della Federazione della sinistra. È un concetto semplice che nella sua banalità sembra giustissimo a tanti. Sembra tale finchè rimane su un terreno astratto, ma quando si scende più nel concreto, diventa evidente la sua limitatezza. Ci chiediamo: unità con chi e per che cosa? Cacciare Berlusconi, ma chi ci mettiamo al suo posto?
La realtà è che la sospirata unità va in frantumi appena scendono in campo i soggetti reali dei conflitti reali: la manifestazione della Fiom il 16 ottobre ha unito centinaia di migliaia di lavoratori e tanti movimenti di lotta, ma ha clamorosamente diviso le opposizioni parlamentari e le organizzazioni sindacali. Il movimento per l’acqua pubblica ha unito quasi un milione e mezzo di persone che hanno firmato, ma ha diviso il centrosinistra; lo stesso dicasi il movimento degli immigrati. Casini lo ha espresso con ammirevole chiarezza proprio la sera del 16 ottobre: chi era nella piazza della Fiom è “incompatibile con un’alternativa riformista”. Sottoscriviamo appieno.
I patti sociali che ci vengono propinati a scadenze regolari come le bollette della luce, le “nuove Unioni” o “nuovi Ulivi”, a cui le forze della sinistra dovrebbero portare il proprio contributo, dissanguandosi in termini di consensi e di compromessi al ribasso, possono nascere solo sacrificando e disperdendo la forza di qualsasi movimento di opposizione sociale, primo fra tutti quello dei lavoratori. Lo capisce Casini, lo capisce Bersani, lo capisce Camusso, lo capisce Marcegaglia… possibile che l’unico a non capirlo sia Paolo Ferrero?
Dopo il 16 ottobre
L’estrema debolezza politica ed organizzativa della sinistra, a partire da Rifondazione, fa sì che l’opzione di una nuova stagione di alleanze torni d’attualità. La differenza è che oggi abbiamo in campo uno schieramento di forze che potenzialmente potrebbero contrastare questa nuova stagione di collaborazione di classe. Ed è a questo schieramento che i comunisti devono guardare e fare riferimento.
L’Italia dell’autunno del 2010 ribolle di tensioni sociali. In questo contesto lo Stato fa vedere il suo vero volto, quello della repressione: a Brescia la mano dura delle forze dell’ordine è calata sugli immigrati “scomodi” e “cattivi”, quelli senza permesso di soggiorno. Quelli dimenticati da tutti, anche dalle civilissime primarie del centrosinistra milanese, che non li fa votare perché “irregolari”. I lavoratori immigrati hanno fatto irruzione sulla scena della lotta di classe in Italia. Era successo altre volte, a Rosarno ad esempio. Questa volta non torneranno a testa bassa alle loro case tanto facilmente. È necessario che questa lotta si saldi con le mobilitazioni sviluppate dalla Fiom, fino ad arrivare allo sciopero generale di tutte le categorie e di tutti i lavoratori.
Questa rivendicazione è stata lanciata in occasione della manifestazione del 16 ottobre, ma fin dal giorno stesso è stata oggetto di un vero e proprio boicottaggio da parte dei vertici della Cgil, che vi hanno opposto la manifestazione del 27 novembre, un ennesimo corteo di sabato, rinviando lo sciopero alle calende greche.
Il percorso delineato all’assemblea dei movimenti, svoltasi alla Sapienza il 17 ottobre alla presenza di Rinaldini e Landini, è rimasto sostanzialmente inapplicato. C’entra il muro di gomma prodotto dalla Cgil, ma c’entra anche il fatto che questo percorso non è stato fatto vivere nelle settimane successive, nella pratica quotidiana. Manca una strutturazione a livello di base del movimento, che deve avere delle regole e delle pratiche democratiche, che non possono essere quelle assembleariste dei tempi dei social forum. La campagna “Io sto con la Fiom”, lanciata nell’ultimo comitato centrale dei metalmeccanici, è un punto di partenza significativo per aggregare tutti colori che vedono nella Fiom un riferimento, ma non deve rimanere solo una campagna di autofinanziamento.
Ma soprattutto manca una chiara indicazione politica. La Fiom ha la possibilità di fare un passo storico, contribuendo in maniera decisiva a creare una piattaforma di ricomposizione sociale, sindacale e politica di tutti i movimenti di lotta e di tutta la vera opposizione. Tuttavia questa occasione può anche venire dispersa. Le parole di Casini che abbiamo citato devono trovare una chiara risposta da parte di Landini e Rinaldini: ritengono i dirigenti della Fiom che il movimento iniziato a Pomigliano e sfociato nel 16 ottobre sia “compatibile” con le alternative politiche che oggi sono in campo, dal “governo di scopo” al “nuovo Ulivo”? Se, come modestamente noi suggeriamo, la risposta è No, allora va detto a voce alta e forte, e ne vanno tratte tutte le conseguenze. Se, malauguratamente, dovesse prevalere una diversa risposta, o un pericoloso temporeggiamento, si rischia di buttare al vento una potenzialità enorme, che pure la stessa Fiom ha contribuito in modo determinante a creare.
In tutta Europa è proprio l’opposizione alle politiche padronali, siano esse portate avanti da governi di destra che dalle socialdemocrazie è la politica che premia, come dimostra anche l’ultimo successo del Kke alle elezioni amministrative in Grecia, dove raggiunge l’11%.
Un quadro in evoluzione
Ferrero che ripropone il vecchio schema di “dare rappresentanza alle ragioni dei lavoratori” all’interno della futura alleanza elettorale di centrosinistra dimostra di non aver capito nulla della disastrosa esperienza del 2006-2008 e più in generale degli ultimi quindici anni.
Dimostra anche di non tenere conto del fatto decisivo che il quadro politico è in rapida evoluzione, il bipolarismo che per vent’anni ha condizionato tutte le scelte della sinistra è obiettivamente in crisi, come dimostrano due fatti. Primo: i due maggiori partiti, Pd e Pdl, nei sondaggi raccolgono poco più del 50 per cento contro il 70 e rotti del 2008. Secondo: i colpi maggiori li ricevono più che dagli avversari di schieramento, dai propri stessi alleati. Se Fini silura Berlusconi, Bersani prende legnate sia da destra che da sinistra all’interno del suo stesso partito: al sindaco Renzi che chiama a raccolta un esercito di voraci amministratori rampanti travestiti da giovani talenti, con un manifesto dai toni blairiani (in particolare quando parla di fisco) fa da contrappunto la vittoria di Pisapia nelle primarie milanesi. Quali saranno gli esiti di questa tensione lacerante nel breve termine non è dato sapere, certo è che Bersani e soci a questo punto temono le elezioni come la peste, e questo preannuncia nuove concessioni alla loro destra e un conflitto che lacererà ulteriormente il Pd.
Che Vendola ritenga di poter giocare di rimessa e lucrare su questa crisi, è cosa che non condividiamo ma che ha una sua logica. Che Ferrero pensi di poter giocare di “rimessa sulla rimessa”, ossia di rincorrere Vendola che rincorre il Pd, è del tutto insensato.
Questi dirigenti ricordano il personaggio di un quel film nel quale protagonista si sveglia ogni giorno non ricordandosi cosa aveva fatto il giorno prima e si trova a ripetere sempre le stesse azioni. Ma non siamo al cinema, bensì nella vita reale e così facendo si rende un pessimo servizio a quelle centinaia di migliaia di militanti che, scesi in piazza il 16 ottobre, sono tornati a casa pieni di speranza perché avevano avuto l’impressione che il vento stesse cambiando. Per fare prendere consistenza a questo vento e farlo diventare un ciclone che spazzi via tutto il marciume che appesta l’Italia basta in fondo poco.
Sei compagni saliti sulla gru a Brescia, sei compagni saliti sulla torre di Milano hanno saputo lanciare un messaggio che si sta allargando in tutto il paese. Il giorno in cui la sinistra avrà gruppi dirigenti capaci di trovare un decimo di quel coraggio, il futuro sarà nostro!
16 novembre 2010