Dopo il risultato delle politiche nelle quali a Milano il centrodestra dava
cinque punti di distacco al centrosinistra, in molti hanno pensato che sarebbe
stata dura spuntarla alla tornata successiva delle amministrative. E così è
stato ed era difficile che potesse essere diversamente.
La campagna elettorale di Ferrante ha svettato per vacuità, il candidato del centrosinistra doveva imparare a sorridere e a ringiovanire quei modi un po’ grigi da “servitore dello stato” che avrebbero infastidito l’elettorato. Nel comizio di via Palestro abbiamo ascoltato da Ferrante che Milano è una bella città, una città giovane e dinamica, una città da amare, commovente alla fine il saluto alla moglie… davvero convincente!
Non basta ricordare qui che Bruno Ferrante in qualità di prefetto ha inviato le lettere di precettazione agli autisti dell’Atm simbolo della riscossa della Milano operaia, la sconfitta non è dipesa dal candidato sbagliato, ma dalla completa assenza di una proposta politica da parte del centrosinistra sui problemi stringenti dei lavoratori di questa città.
Il programma evade tutti i nodi più importanti. Alcuni esempi: si parla della necessità di potenziare il trasporto pubblico, ma oggi il nodo centrale è lo smembramento dell’Atm e sua successiva privatizzazione che minaccia la capacità stessa del comune di governare il trasporto. Su questo punto silenzio di tomba.
E ancora: di fronte agli oltre 3500 dipendenti del comune con contratti precari e a migliaia di lavoratori esternalizzati e oggi dipendenti di cooperative in condizioni vergognose, non c’è uno straccio di piano che preveda assunzioni e/o conversioni a tempo indeterminato.
Si potrebbe parlare anche del problema delle case. Secondo i dati della giunta uscente Albertini, è stimato, a Milano, un fabbisogno di 40mila abitazioni. La proposta del centrosinistra è ovviamente quella di costruire nuove abitazioni con tanto di sgravi sugli oneri di urbanizzazione e sull’Ici. Come se a Milano chi costruisce case non guadagnasse già abbastanza! Non si dice nulla sugli oltre 15mila appartamenti sfitti e sulle case popolari ristrutturate in centro città che non vengono assegnate perché si preferisce venderle al triplo del loro valore iniziale, favorendo così sempre di più la speculazione ediliza ed espellendo i ceti popolari in periferia o fuori città.
Potremmo andare avanti a lungo con gli esempi ma quello che vogliamo sottolineare è che il ceto politico della sinistra non vuole vedere che Milano non è la bella città scintillante della moda, della cultura e dei grattacieli di Albertini. Milano ha una classe lavoratrice piegata dal continuo prostrarsi dei suoi dirigenti politici e sindacali; una città dove almeno 300mila lavoratori hanno contratti precari, dove il salario fatica a superare i 900 euro mensili e dove il segretario della Camera del Lavoro si mostra disponibile ad aprire un tavolo di trattative anche con la Moratti su un nuovo Patto per Milano, patto che non andrebbe che a peggiorare ulteriormente le condizioni di lavoro già ultra precarie.
La sinistra e il sindacato devono rompere questo balletto del dialogo con i padroni. Questi signori sono diventati i padroni della città, si sono comprati i quartieri, i parchi, le imprese ex-municipalizzate come la Centrale del Latte, i servizi scolastici, si vogliono comprare quel che resta dell’Aem e l’Atm e su tutto questo hanno e continuano a speculare sulla nostra pelle.
Non ci si può aspettare la vittoria senza combattere.
In questo contesto è importante il ruolo di un partito comunista come Rifondazione perché è l’unico partito che ha una minima presenza sul territorio e che può intercettare il malessere profondo.
Rifondazione ottiene un risultato molto basso: circa 24.700 voti, il 4,2%. Sicuramente il partito ha accusato il colpo della lista di Dario Fo, sommando i voti della quale (12mila e 500) si arriva al risultato delle politiche. Il problema però non è solo questo. Rifondazione ha fatto una campagna molto sotto tono, piegata sulle indicazioni del centrosinistra, persino il materiale del partito è arrivato ai circoli solo l’ultima settimana di campagna.
Il Prc milanese ha il dovere di discutere di questa sconfitta: la riscossa necessaria non può che partire da una seria svolta nell’azione del nostro partito.
5 Giugno 2006