Il Cpn di Rifondazione Comunista del 9-10 giugno ha confermato le linee fondamentali dell’ultima direzione nazionale.
L’elemento di novità è consistito nell’assemblea della Fiom che si è tenuta nel corso della mattinata del 9 giugno.
Ferrero ha parlato della Fiom come dell’“organizzazione più autorevole in Italia”. Il segretario del Prc ha poi rilevato come la divaricazione tra Di Pietro e Bersani sia stata a 180 gradi e come i passaggi più applauditi dalla sala erano quelli in cui il leader dell’Idv si è scagliato contro il Partito democratico. Tutto vero, confermiamo.
Mentre il segretario di Rifondazione Comunista si è limitato a parlare di questioni programmatiche (“le proposte di Landini sono un ottimo programma di governo”), Di Pietro, seppure in maniera demagogica, ha tirato fiondate al Pd.
Parafrasando Tronti il leader di Idv ha prima detto che “tutti coloro che offendono la politica recano un danno ai lavoratori, come coloro che mandano i loro rappresentanti agli scioperi della Fiom e poi votano in Parlamento l’abrogazione dell’articolo 18.” (standing ovation). Poi in perfetto stile populista, ha chiarito di essere “contro questo capitalismo e non contro il capitalismo in generale. Il muro di Berlino è caduto da tempo ma se essere di sinistra significa essere vicino ai lavoratori e ai più poveri, allora essere di sinistra non è un peccato, allora anche Gesù Cristo era di sinistra”.
In qualche passaggio sembrava di ascoltare un caudillo sudamericano.
Non insisteremo mai abbastanza sul fatto che queste operazioni populiste trovano spazio quando la sinistra non fa il suo dovere come è avvenuto ancora una volta all’assemblea della Fiom.
Ferrero ha ammesso (era difficile negarlo) che lui e Diliberto hanno difeso linee differenti (il leader del Pdci ha apertamente rivendicato la formazione di un esecutivo con il Pd), ma ritiene che la Federazione della sinistra debba continuare ad andare avanti in quanto sarà il Pd a rifiutare l’alleanza di governo alla FdS e togliendoci così le castagne dal fuoco.
Quando abbiamo fatto notare che non restava pietra su pietra delle tesi di Napoli (dal fronte democratico, alla FdS) ci è stato detto che le cose non stanno così, ma non ci si è dannati più di tanto per spiegare il perché.
In molti della maggioranza del Prc hanno sottolineato come stia entrando in crisi l’opzione Vendola, e come il leader di Sel all’assemblea della Fiom abbia “balbettato” cercando una linea intermedia tra il Pd e IdV. Sicuramente Sel incontrao difficoltà maggiori che in passato nel gestire la sua linea di alleanza ad ogni costo col Pd, ma non va neanche dimenticato che è la linea di Niki di “condizionamento del centrosinistra” che si è affermata in quell’assemblea e non certo quella dell’indipendenza dal Pd.
Ferrero ha sostenuto che se si fosse fatta un anno fa quell’assemblea avrebbe parlato solo di primarie. Noi pensiamo il contrario e cioè se si fosse fatta un anno fa al caldo delle mobilitazioni del 16 ottobre del 2010 e di Pomigliano i contenuti potevano essere più avanzati e non restringersi in una logica di delega alla “politica” (che alla fine si traduce sempre nella ricerca del “governo amico”) di ciò che non si riesce a conquistare sul terreno sindacale (dal Contratto nazionale, all’articolo 18). Le primarie inoltre sono ormai un fatto acquisito.
Elementi di forte confusione nella maggioranza del partito si registrano sulla questione del grillismo, è stato infatti presentato e poi ritirato da Maurizio Acerbo un ordine del giorno sulla questione morale in cui si facevano forti concessioni alla terminologia grillina sul terreno della lotta alla casta e alla corruzione. Le preoccupazioni che manifestavamo dopo l’ultima direzione si sono subito verificate con forza a soli 15 giorni di distanza.
Alla fine il nostro documento alternativo ha raccolto 13 voti. Altri due documenti sono stati presentati da Targetti del terzo documento congressuale (3 voti) e Veruggio (2 voti).
Le ragioni che hanno spinto Marco Veruggio e Mara Armellin a distinguersi dal nostro documento, che avevano votato al congresso, è sintetizzato nel testo che hanno presentato i compagni con Luigi Minghetti (del Collegio nazionale di garanzia). In un passaggio si dice: “Serve una nuova forza politica in grado di rappresentare il mondo del lavoro, i settori sindacali d'avanguardia, i ceti popolari e i protagonisti del conflitto sociale nel nostro paese.”
Un passaggio che nella lettera e nelle intenzioni preannuncia l’ennessima scissione dal Prc, per quanto non si proponga oggi di scendere sul terreno operativo. Non condividiamo questi propositi. Allo stato delle cose non vediamo ragioni perché questo tentativo debba andare meglio di quelli fatti negli scorsi anni da Ferrando, Turigliatto e Ricci.
La questione della rappresentanza politica del mondo del lavoro non può essere risolta con l’ennesima scissione da Rifondazione Comunista, favorendo quel processo di frantumazione che si è imposto negli ultimi anni a sinistra.
La nostra battaglia in questi anni e in particolare nell’ultimo congresso a Napoli si è incentrata proprio su questo punto: la proposta del partito di classe, che non può però prescindere da Rifondazione Comunista la quale nonostante tutto resta la forza politica più grande della sinistra nel nostro paese, a dispetto degli errori del suo gruppo dirigente.
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