Le elezioni siciliane rappresentano un vero e proprio terremoto politico. Colpisce l’astensione, oltre il 50%, un dato mai raggiunto nel primo turno elettorale della storia repubblicana. Insieme al voto ottenuto dal movimento Cinque stelle, praticamente sette siciliani su dieci hanno negato l’appoggio ai partiti che hanno governato l’isola (e l’Italia) in questo ultimo ventennio.
Colpisce anche il crollo del partito di Berlusconi, quello del 61 a zero delle elezioni politiche del 2001, che perde tre quarti dei suoi voti rispetto alle regionali di quattro anni fa.
Vince Crocetta ma il Pd non convince, dimezzando i propri consensi (passa da oltre mezzo milione di voti del 2008 ai 257mila di domenica scorsa). L’ex sindaco di Gela, a capo di una coalizione Pd-Udc, avrà il compito di trovare i voti necessari all’interno dell’Assemblea regionale siciliana per portare avanti un programma massiccio di tagli massicci alla spesa pubblica, indispensabili dal punto di vista capitalista in una regione vicina al default. I suoi propositi Crocetta li annuncia già in un intervista sul Giornale di Sicilia di oggi, quando afferma “ci saranno molte privatizzazioni nella mia gestione della Regione”. E infatti Gianfranco Miccichè, già fedelissimo di Berlusconi ed ora a capo di Grande sud, fa sapere di essere pronto a collabolare col neo presidente.
Con una regione in rapido declino economico e con tutte le principali industrie in crisi, o che hanno chiuso i battenti come a Termini Imerese, il varo di un programma di austerità da parte del nuovo governatore, sarebbe come lanciare un fiammifero acceso in un deposito di benzina.
Il voto del 28 ottobre è infatti il riflesso, certo distorto e sicuramente parziale, della disillusione e la rabbia nei confronti di un sistema politico ed economico che non offre alcuna prospettiva ai giovani e ai lavoratori siciliani. Questi ultimi comprendono che nessuno li rappresenta più e tutti hanno tradito le promesse.
Questo scontento non viene tuttavia per nulla intercettato dalla sinistra, che anzi passa dagli oltre 131mila voti della Sinistra arcobaleno del 2008 ai 58mila della lista unitaria (Fds,Sel e Verdi); in percentuale si scende dal 4,9 al 3,1%.
La protesta è intercettata dal Movimento 5 stelle, primo partito dell’isola, grazie sicuramente alla campagna a tappeto di Beppe Grillo, che ha girato in lungo e in largo la regione per un paio di settimane, ma soprattutto perchè i grillini sono stati visti come coloro che hanno dimostrato la maggiore carica antisistema e considerato come l’unicofuori dai giochi.
È tutto da vedere come si comporteranno Cancellieri e i suoi una volta seduti sugli scranni di palazzo d’Orleans. Le prime dichiarazioni del loro candidato a presidente (“Crocetta ci seduca”) fanno capire che i grillini sono ben lungi dall’essere rivoluzionari integerrimi.
Oggi a sinistra regna la delusione e lo sconforto, perché ancora una volta, dopo la debacle delle politiche del 2008, non si riesce a entrare nelle istituzioni. È necessario analizzare le ragioni di questa ennesima battuta d’arresto e a nulla servono le “dotte” dissertazioni di qualche intellettuale pseudoprogressista rispetto ad una presunta ”regressione culturale di massa” o le imprecazioni sul fatto che “i siciliani non hanno capito”.
L’istituto Cattaneo di Bologna ha pubblicato una prima analisi del voto siciliano che conclude che chi ha votato per i grillini sono soprattutto “delusi di sinistra, a partire dalla sinistra radicale”.
L’alleanza “unitaria” creatasi attorno alla candidatura di Claudio Fava aveva suscitato molto entusiasmo iniziale, ma è caduta nelle contraddizioni insite nella natura stessa di questa coalizione.
Il ritardo nel cambiamento di residenza da parte di Fava, con il suo conseguente e rapidissimo ritiro dalla competizione, non è da addebitarsi a una pura e semplice dimenticanza o ignoranza delle procedure, ma è indicativo di un chiaro disimpegno da parte del candidato "mancato" e di Sinistra ecologia e libertà.
Dopo aver riempito di suoi esponenti la lista “unitaria”, Nichi Vendola ha fatto una veloce comparsata sull’isola, essendo evidentemente troppo impegnato nella campagna per le primarie del Centrosinistra. Primarie che mal si conciliano con la presentazione alternativa al Pd in Sicilia.
L’Italia dei valori, dal canto suo, ha a lungo lavorato per un altro candidato (il magistrato Antonio Ingroia) e si è imbarcata sul bastimento della coalizione solo all’ultimo minuto e malvolentieri.
La campagna elettorale è stata messa quindi quasi esclusivamente sulle spalle di tanti generosi militanti, in gran parte del nostro partito, Rifondazione comunista, mentre gli altri soggetti non ci hanno mai creduto perchè ormai lanciati verso la prospettiva nazionale dell’alleanza col partito di Bersani (e di Crocetta).
Oggi assistiamo a un diluvio di parole e di critiche da parte dei dirigenti delle diverse aree del Prc, con accuse reciproche neanche troppo velate. Ci si permetta solo di dire che al congresso regionale dello scorso luglio, e al Cpr che ha siglato l’alleanza, le uniche voci critiche sono state quelle dei compagni di Falcemartello e della seconda mozione.
E comunque anche i ragionamenti postelettorali sostenuti dai compagni della maggioranza non centrano affatto il punto. Si sostiene infatti che se invece di due liste (quella di FdS – Sel e Verdi e quella dell’IdV) fosse stata presentata una sola lista, il quorum sarebbe stato certamente superato.
Sembra che le esperienze delle varie aggregazioni elettorali degli ultimi anni non abbiano insegnato nulla. La politica non ha nulla a che fare con l’aritmetica. Uno più uno non fa due, soprattutto di questi tempi e i voti di “sinistra” non sono chiusi in un cassetto a disposizione in qualunque momento si voglia utilizzarli.
Se tutto il tempo sprecato alla costruzione di “aggregazioni inclusive” fra soggetti che tra di loro hanno poco a che spartire fosse stato investito nel radicamento nei luoghi del conflitto e alla discussione fra la nostra militanza di un programma anticapitalista, sicuramente oggi il Prc e la sinistra si troverebbero in una situazione molto migliore.
E se, in vista delle imminenti elezioni politiche, gli sforzi del gruppo dirigente del Prc si concentreranno in questa direzione, un’altra batosta non ce la toglierà nessuno.
I lavoratori e i giovani siciliani non hanno creduto alla proposta elettorale del Prc perchè si trattava di un “avventura estemporanea” come afferma Giovanna Marano, l’ex segretario della Fiom catapultata a candidata a governatore all’ultimo momento, nel suo messaggio postelettorale di ringraziamento agli elettori.
A causa di queste ed altre“avventure” Rifondazione comunista ha perso tanto di quel patriomonio di consensi, di credibilità e di passione militante accumulato nei suoi 21 anni di storia. Non l’ha tuttavia ancora perso tutto.
Riemergere dalla palude non è per nulla scontato, ma ancora possibile, a patto che si tracci una linea netta di demarcazione rispetto alle politiche del passato. È necessario un lavoro di radicamento certosino e paziente nei luoghi di lavoro e di studio, nei quartieri e nei paesi, per riconquistare la fiducia della classe lavoratrice, la nostra classe di riferimento. Questo lavoro deve essere accompagnato da un programma alternativo e anticapitalista, un programma di classe (che non potrà mai proporre Grillo), alternativo al centrodestra e al centrosinistra e alle politiche di Monti e di quelle forze politiche che lo sostengono.
Questo è uno degli ingredienti principali del successo della sinistra “radicale” in Grecia e della sua risalita dalle macerie in Spagna o in Francia, insieme alle lotte di massa che hanno attraversato i paesi dell’Europa mediterranea nell’ultimo periodo.
Le lotte arriveranno anche in Italia, e potrebbero anzi partire proprio dalla Sicilia e dal resto del Meridione in maniera inaspettata ed esplosiva. Dobbiamo trovarci pronti, imparare dagli errori cambiando linea e gruppi dirigenti. Non è ancora troppo tardi.