Riassumiamo brevemente il percorso che ha portato fino a questo esito. Il 18 luglio 2009 la proposta di lanciare la Federazione, che raggruppava le forze che avevano costituito la lista delle elezioni europee (Rifondazione, Pdci, Socialismo 2000, Lavoro e solidarietà) e si proponeva di mettere in moto un processo di riunificazione della sinistra. Il 5 dicembre 2009 una seconda assemblea approvava un manifesto politico e uno statuto provvisorio. Era il battesimo formale della Fds. A tutti coloro che sottolineavano le ambiguità e le omissioni dei documenti politici e il sistema di gestione tutto incentrato sulla diplomazia fra i gruppi dirigenti si rispondeva che entro un anno si sarebbe fatto un congresso costitutivo “pienamente democratico”, che la logica “pattizia” sarebbe stata soppiantata dal principio “una testa, un voto”, e che sarebbe sorta l’alba luminosa della democrazia e della partecipazione.
Oggi, regolamento alla mano, tutte le belle parole si sciolgono come neve al sole. Il congresso, infatti, non deciderà nulla e non eleggerà nulla. Tutto rimarrà in mano ai “quattro” (quattro erano e quattro sono rimasti, poiché come era facile prevedere non si è aggregata praticamente nessuna altra forza, se non piccole realtà che già orbitavano attorno a Rifondazione).
Il congresso più finto del mondo
Ma vediamo i punti salienti del regolamento. L’unico testo posto in votazione, ad oggi, è il documento politico votato il 28 luglio scorso. Il coordinamento nazionale ha infatti rifiutato la nostra proposta di permettere che venissero messe in votazione tesi parzialmente o integralmente alternative firmate da un componente del coordinamento stesso. Si è invece votato uno “sbarramento” del 5 per cento (pari a 4 componenti) del tutto arbitrario posto che il coordinamento, come tutti gli organismi della Fds, non è stato formato in base a un principio di rappresentanza e a una elezione democratica, ma attraverso una spartizione a tavolino di quote e percentuali. Non avendo la Fds alcun livello di base comune (ogni forza ha il suo tesseramento), era impossibile correggere o riequilibrare con forme di democrazia dal basso come esistono per esempio nel Prc o nella stessa Cgil (raccolta di adesioni fra gli iscritti o fra gli organismi dirigenti territoriali).
Niente democrazia, quindi, né “in alto”, né “in basso”.
Naturalmente non si impedisce a nessuno di andare al proprio congresso territoriale e di presentare una piattaforma alternativa, cosa che faremo senz’altro. Purtroppo però si tratterà di un’operazione dal sapore alquanto platonico. I congressi di base, infatti, voteranno bensì sul documento politico, ma… non eleggeranno alcuna rappresentanza: né delegati al congresso nazionale, né organismi dirigenti locali! La platea congressuale nazionale, infatti, verrà nominata da ciascun soggetto promotore “attraverso le proprie procedure democratiche interne (…), stabilite in occasione della formazione del Consiglio politico nazionale” (art. 6 del regolamento). Verrà riservato un 10 per cento della platea a delegati che esprimano “i soggetti singoli e collettivi che si sono iscritti direttamente alla Federazione”. Quali e quanti siano questi soggetti, non è però dato a nessuno di sapere.
Sempre in sede di coordinamento, il 18 settembre è stata anche respinto un nostro emendamento a questo punto del regolamento che proponeva di aggiungere poche semplici parole al punto sulla formazione della platea congressuale nazionale: “tenendo conto del dibattito svolto nei congressi di base”. Insomma, non si lascia il minimo spazio all’immaginazione: il congresso sarà una rappresentazione teatrale nella quale il copione deve essere scritto fin nelle virgole e tutto ciò che esula dai “patti” deve essere rigorosamente tenuto fuori dal dibattito.
Rinfreschiamoci la memoria
Chiamiamo le cose col loro nome: questo regolamento è uno scandalo e una presa in giro. Non è però una sorpresa, almeno per noi. Abbiamo detto fin dal primo minuto che la Federazione sarebbe stata un pantano il cui unico esito sarebbe stato quello di paralizzare le organizzazioni aderenti e di spostarne a destra la linea politica. Ci permettiamo di ricordare alcune nostre prese di posizione in tempi non sospetti.
“Penso sia un errore grave gettare nuovamente il partito in una discussione su contenitori, schemi, aggregazioni e altre diavolerie, una discussione estenuata secondo la quale ad ogni colpo che riceviamo, e queste elezioni sono sicuramente state una sconfitta al di là di tutti gli elementi di controtendenza positivi, il problema sarebbe come scomponiamo e ricomponiamo un mosaico che sembra non trovare mai la forma giusta.” (intervento dell’autore di queste righe al Cpn del giugno 2009, quando si iniziò a parlare di una nuova aggregazione)
“Uno degli effetti negativi della sconfitta elettorale è la regressione della discussione sul piano delle alchimie organizzative, con un pullulare di proposte disegnate a tavolino che tentano di comporre nelle maniere più disparate i frammenti del centrosinistra e/o della sinistra. È un terreno di dibattito deteriore che respingiamo, in quanto espropria la militanza dalle decisioni reali e la getta in un labirinto di proposte sempre più indecifrabili e inefficaci.” (nostra proposta di documento finale, Cpn giugno 2009)
“Una volta di più, l’unità proposta si costruisce sulla base di una cosciente rimozione di tutti i nodi più scabrosi sul piano politico. La triste realtà è che la tenuta di questa aggregazione si fonda non sulla chiarezza, ma sulla paura. (…)
È facile prevedere che questa discussione sulla costruzione della federazione tenderà a fagocitare la vita degli organismi del Prc, limitandone la capacità di iniziativa politica senza peraltro che ne derivi un particolare allargamento della capacità d’intervento. (…)
Certo, l’assemblea del 18 non è stata solo questo, sarebbe ingeneroso disconoscere la speranza e la volontà di resistere che ha portato tanti compagni e compagne a parteciparvi. Ma proprio per rispetto nei loro confronti la verità va detta tutta, senza ipocrisie: questa proposta è un pantano burocratico, che in una logica di pesi e contrappesi ai limiti dell’impolitico ci porta una volta di più in un vicolo cieco. Lo sbocco naturale di questo percorso sarà una volta di più l’istituzionalismo, l’autonomizzazione dei gruppi dirigenti e istituzionali che al riparo delle forme “federative” si sottrarranno al controllo e alla verifica democratica della militanza, la permeabilità a tutte le spinte moderate e, in ultima analisi, il codismo nei confronti del Pd, soprattutto se Bersani dovesse vincere il congresso.” (“Dopo l’assemblea del 18 luglio - Federare la sinistra o le paure dei gruppi dirigenti?” – pubblicato su www.marxismo.net, 20 luglio 2009)
“Solo nella trasparenza delle scelte è infatti possibile lavorare a un’unità d’azione, anche sul terreno elettorale, che possa essere base per processi di riaggregazione a sinistra senza che questi cadano nella logica dell’autoconservazione dei gruppi dirigenti e del moderatismo politico.
Nella sua forma attuale e in assenza di una radicale correzione, la Federazione non può che portare a una paralisi derivante dai veti incrociati fra le componenti interne del Prc in una relazione deteriore con le componenti delle altre forze della federazione stessa, generando fatalmente un profilo politico indistinto, una gestione antidemocratica e una conflittualità latente che ad un certo punto ne minerà le stesse basi. Nel medio termine lo stesso obiettivo dell’unità che viene posto alla base della costruzione della federazione ne risulterebbe negato.” (documento finale proposto al Cpn del 12-13 settembre 2009)
Se ricordiamo questi precedenti è solo perché già cominciamo a sentire improbabili “appelli alla responsabilità”, a non “delegittimare” il percorso della federazione, tanto più in presenza di possibili elezioni anticipate… La responsabilità andrebbe chiesta invece a quei dirigenti, Ferrero per primo e tutti gli altri dietro, che hanno creato questa situazione insostenibile, che hanno sparso cortine fumogene per un anno e più e che oggi dovrebbero fare una sola cosa: prendere atto della realtà e bloccare questo percorso finto da cima a fondo.
La federazione della sinistra non esiste; esiste un cartello elettorale, al quale non siamo certo contrari per principio, ma che deve essere sottoposto a severa revisione critica innanzitutto rispetto alla posizione di sostegno a Bersani che è ormai diventata l’unica bussola che ne orienta le scelte. La realtà è che questa Federazione ormai non interessa più a nessuno, neppure a chi l’ha proposta.
Che fare dunque?
Nel coordinamento di settembre abbiamo presentato un testo alternativo intitolato “Contro la palude governista, per un polo della sinistra di classe”. Non avendo ottenuto il diritto di presentarlo come mozione nazionale alternativa, lo presenteremo in tutti i congressi di base ai quali parteciperemo, invitando i compagni a sostenerlo in contrapposizione al testo ufficiale presentato dal portavoce Salvi (il testo è reperibile sul nostro sito e dovrebbe, da regolamento, essere pubblicato anche sul sito della Federazione della sinistra). Al di là della natura di questo “congresso” riteniamo comunque giusto proporre ai compagni che vi parteciperanno il nostro punto di vista.Da anni la sinistra italiana è martoriata dalle proposte di riaggregazione, ristrutturazione, ricostituzione, e chi più ne ha più ne metta. Dall’Arcobaleno, all’unità comunista, alla federazione, ai “cerchi concentrici”. Questa deriva ha gettato migliaia di militanti della sinistra in un labirinto apparentemente senza vie di uscita. Fin dal primo giorno la proposta della Fds ha aggravato la situazione; non solo non ha ristabilito il legame con i settori più militanti e critici, ma si è dimostrata il veicolo delle influenze più moderate legandosi al carro di Bersani e facendo proprio, attraverso Lavoro e Solidarietà, un legame mortale con la maggioranza della Cgil proprio mentre questa si scontrava frontalmente con la Fiom. La dura realtà è che, al di là dei proclami e delle parole, la linea di Ferrero ha allontanato il Prc da quanto di più promettente si muove nel conflitto di classe, sprofondando in una palude di rapporti burocratici ed che per giunta si sono dimostrati completamente inefficaci anche dal punto di vista puramente elettoralistico.
Con più forza ancora lottiamo quindi per rompere con questa spirale distruttiva: voltiamo le spalle alle combinazioni di apparati e investiamo strategicamente su una prospettiva diversa, che fondi il rilancio della sinistra di classe sul conflitto operaio. Gli operai di Pomigliano e Melfi si sono fatti carico di una battaglia che parla a tutti, che sta spingendo la Fiom ad allargare la mobilitazione e che dimostra come la lotta operaia possa essere il punto di riferimento di tutti i settori disposti a mobilitarsi, dalle lotte della scuola, al movimento per l’acqua pubblica. Il 16 ottobre ci dà una prima opportunità di lavorare alla ricomposizione di un polo di classe nel quale condurre una coerente battaglia anticoncertativa sul piano sociale e politico, contrapposta quindi sia alla linea di Epifani di sedersi nuovamente ai tavoli di Governo e Confindustria, sia a quella di Bersani che traduce la collaborazione di classe nella proposta del “nuovo Ulivo”.
Rifondazione e la Fds mantengono nonostante tutto un patrimonio di militanza e di partecipazione che merita di essere investito in una prospettiva di lotta: non ultima ruota del carro del Pd, ma in prima linea nel conflitto di classe!
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