Le troppe cose che Bertinotti ha dimenticato
È indiscutibile che gli attentati in Usa e la conseguente minaccia di una guerra abbiano comportato un vero e proprio sconvolgimento delle coscienze, in particolare in Europa. Incubi che parevano ormai sepolti tornano bruscamente alla luce, la stampa di destra e il governo conducono una campagna martellante di arruolamento per la "guerra della civiltà contro la barbarie", la crociata contro l’Islam "medievale e intollerante" (Berlusconi).
Ma anche tra coloro che rifiutano di seguire quest’ondata di patriottismo a stelle e strisce e di vero e proprio razzismo, prevalgono l’incredulità, la paura e la sensazione d’impotenza.
In questo contesto, il primo compito di un partito comunista è quello di dire le cose come stanno. Voltare la testa, sperare in un ritorno indietro, nel ripristino della "normalità" può essere una reazione spontanea, naturale, logica fin che vogliamo: ma è una reazione miope, per non dire cieca. Chi volta la testa, chi cerca di "chiamarsi fuori", lascia il campo libero alla reazione imperialista. Che questa reazione si produca spontaneamente in milioni di persone è normale; molto meno comprensibile è che un simile atteggiamento venga eletto a linea politica di un partito comunista.
A questo, in realtà si riduce infatti tutta la posizione assunta da Bertinotti di fronte agli attentati e alla guerra. Esaminiamo più da vicino le sue argomentazioni, espresse nel Comitato politico nazionale del Prc il 15-16 settembre.
Al centro di tutto, ovviamente la parola "pace". Lotta per la pace, movimento per la pace e via di seguito. Sorge immediatamente una domanda: ma di quale pace parla Bertinotti? Per quale pace dobbiamo lottare? La domanda è meno oziosa di quanto appaia a prima vista. Vogliamo chiamare "pace" quello che esisteva nel mondo prima dell’11 settembre? Chiamiamo pace l’embargo all’Irak che uccide 500mila civili, chiamiamo pace quanto accade in Palestina, chiamiamo pace una situazione nella quale gli Usa e gli altri paesi imperialisti intervengono militarmente (in modo diretto o indiretto) ai quattro angoli del globo, dalla Colombia all’Africa centrale, dal Medio oriente ai Balcani? È "pace" il massacro silenzioso che uccide ogni giorno per fame 36mila bambini (quelli che Berlusconi chiama "gli effetti collaterali della globalizzazione")?
Il terrorismo non sorge dal nulla!
I terrorismo è un fenomeno eminentemente politico, che ha precise cause politiche e sociali. Nel caso degli attentati contro gli Usa, ci paiono evidenti alcuni punti fermi.
1. Esiste un’enorme ostilità verso l’imperialismo Usa, in particolare in Medio oriente, come conseguenza dell’oppressione esercitata sul popolo arabo. L’embargo genocida contro l’Irak, le eterne promesse mai mantenute verso il popolo palestinese, la crescente crisi sociale, la corruzione e l’oppressione di tutti i regimi arabi alleati degli Usa hanno seminato un odio profondo.
2. Tutti i movimenti che in passato venivano presi a punto di riferimento per la lotta antimperialista, a partire dai partiti comunisti, sono fortemente indeboliti e screditati, incapaci di indicare alle masse arabe una via d’uscita credibile.
3. In particolare, il fatto che Arafat e l’Olp abbiano accettato la farsa del "processo di pace" in Palestina ha creato una gigantesca frustrazione, espressa nella crescita delle organizzazioni fondamentaliste e dalla disponibilità di centinaia di persone a immolarsi in attentati suicidi contro Israele.
4. I dirigenti del movimento operaio occidentale sono stati in gran parte silenziosi di fronte a tutto questo, e in molti casi direttamente complici dell’imperialismo, non solo in Medio oriente, ma anche nei Balcani e in altre regioni del mondo. Questo pregiudica fortemente la possibilità di creare un legame di solidarietà e di lotta comune tra il proletariato dei paesi metropolitani e i popoli oppressi dall’imperialismo.
5. Questo contesto permette a settori particolarmente reazionari della classe dominante araba di ergersi a paladini della lotta per la liberazione.
Tutto questo per Bertinotti non esiste affatto. Il terrorismo nascerebbe nella testa calda di qualche fanatico, senza alcuna relazione con i fatti di questo mondo.
Bertinotti considera il fenomeno terroristico come qualcosa di staccato dalla realtà, che si sviluppa in un luogo immaginario, che lui solo conosce, che si chiama "autonomia della politica": "Il terrorismo ha le sue radici nel fondamentalismo (…) alla condizione però di considerare il terrorismo come rischio permanente ed immanente in ogni sistema compatto di pensiero. Ma perché dal rischio si passi alla realtà bisogna che il progetto terroristico maturi nella sfera dell’autonomia della politica.
Quando parlo di pensiero compatto mi riferisco sia a quello ideologico che a quello religioso. Anche in noi vi può essere un rischio di condiscendenza verso il terrorismo. Persino per gli illuministi questo rischio era forte e divenne realtà (si pensi al terrore giacobino)"
E più avanti: "Il destino dell’umanità è messo in discussione dal fondamentalismo del mercato e da quello religioso. Non si tratta di due fenomeni identici, ma asimmetrici. L’uno, quello religioso, è totalizzante, si presenta come un soggetto unitario e compatto e come tale si propone sulla scena del mondo e quando si fa stato schiaccia la società civile con una logica
di puro dominio. Per questo può essere contrastato solo dall’esterno."
E così, con un solo tratto di penna, Bertinotti riesce a:
1. Gettare nella spazzatura la rivoluzione francese, la rivoluzione inglese, quella americana, ovviamente la rivoluzione russa, e qualsiasi lotta di liberazione che debba farsi strada anche con l’uso della forza. Niente rivoluzione, niente lotta partigiana, niente movimenti di liberazione del mondo coloniale, tutta la storia non solo del movimento operaio, ma dell’intera lotta dell’umanità per superare sistemi sociali oppressivi e regressivi viene rinnegata.
Gli oppressi non hanno alcun diritto di difendere i loro diritti con la lotta e di opporre violenza a violenza. I bolscevichi che difesero la rivoluzione russa contro l’intervento straniero e contro le armate bianche, gli algerini che liberarono il loro paese dall’imperialismo francese al prezzo di due milioni di morti, i vietnamiti che combatterono per mezzo secolo contro Francia e Usa, i partigiani che lottavano contro il nazifascismo, sbagliavano tutto. Dovevano accettare di vivere nell’oppressione, e così devono fare oggi i popoli del mondo massacrati e affamati dall’imperialismo. In cambio, avranno la soddisfazione di liberarsi dal demone del "pensiero compatto".
2. Liberarsi con noncuranza anche del popolo afgano, di quello iraniano, e di tutti coloro che vivono sotto il giogo di un regime fondamentalista. Perché, vedete, il fondamentalismo "schiaccia la società civile, e può essere contrastato solo dall’esterno", vale a dire che secondo Bertinotti questi popoli sono incapaci di lottare per liberarsi da questi regimi e, poverini, devono essere "aiutati" dall’esterno.
Il fascismo non schiacciava forse la "società civile"? Eppure questo non impedì che, una volta maturate le condizioni, la classe operaia e altri settori oppressi imboccassero la strada della lotta rivoluzionaria.
Come comunisti non abbiamo la minima illusione che Bin Laden, o il regime degli ayatollah in Iran, o altri regimi analoghi, possano costituire un’alternativa all’oppressione imperialista.
I loro metodi, il loro programma, la loro ideologia sono un condensato di reazione politica e sociale che mai potrà mettere in crisi la dominazione imperialista, ma al contrario ne costituisce un’utile sponda facilitando a Bush il compito di giustificare la sua "guerra santa".
A differenza di Bertinotti, però, crediamo che come tutti i popoli del mondo, anche questi saranno in grado di sollevarsi contro i loro oppressori, così come il popolo iraniano fu in grado di sollevarsi contro lo scià negli anni ‘70, in una delle più grandiose rivoluzioni della storia.
L’aiuto che possiamo e dobbiamo offrire è in primo luogo quello di lottare qui, in casa nostra, mostrando che l’Occidente non è un blocco compatto, che la classe lavoratrice in Europa e in Usa è in grado di opporsi all’imperialismo e alle sue politiche, che il nostro mondo non è quello di Bush, che la civiltà per cui lottiamo non è quella di Berlusconi.
Il ruolo dell’Onu
Prosegue Bertinotti: "La ricerca sulla non violenza è decisiva per costruire ‘una nuova arma’ nella lotta contro la società capitalista." E più avanti:"Noi dobbiamo ribadire il ruolo dell’Onu come alternativo a quello della Nato. Solo l’Onu è in grado con la sua azione di svelare la contraddizione che esiste tra nord e sud del mondo (proprio così, svelare! Come se fosse un segreto che il capitalismo divide il mondo in ricchi e poveri, in sfruttati e sfruttatori, in paesi imperialisti e popoli oppressi…). Per questo la richiesta che sia l’Onu e non la Nato ad assumere la lotta al terrorismo diventa decisivo. E sia chiaro, mi riferisco ad un ruolo nei confronti del terrorismo sia di carattere analitico sulle sue cause che sul piano direttamente repressivo".
Eccoci al dunque: la lotta contro la guerra e il terrorismo non consiste in una lotta contro il capitalismo, contro l’imperialismo, contro l’ingiustizia e la barbarie di questo sistema. Nossignori! La lotta al terrorismo si fa con una "ricerca sulla non violenza", e mentre i comunisti "ricercano", gli squali dell’imperialismo mondiale, ben camuffati con la bandiera blu dell’Onu, massacreranno una volta di più le popolazioni innocenti dei paesi poveri e installeranno in Afghanistan un qualche loro fantoccio al posto del regime talebano.
A scanso di equivoci, ricordiamo a Bertinotti alcuni fatti storici.
Nel 1949, la guerra di Corea venne fatta sotto la bandiera dell’Onu.
Nel 1991, la guerra contro l’Irak venne fatta sotto la bandiera dell’Onu.
L’embargo che da dieci anni massacra il popolo iracheno, è un embargo stabilito dall’Onu.
Nel 1992 la missioni in Somalia (quella, per intenderci, nella quale i paracadutisti italiani torturavano i prigionieri e stupravano le bambine) è stata votata dall’Onu.
Nel 1995 la spartizione della Bosnia è stata decisa dall’Onu.
Nel 1996 l’intervento militare per bloccare lo sviluppo della rivoluzione in Albania è stato votato dall’Onu.
Nel 1999 la guerra contro la Jugoslavia è stata sostenuta dall’Onu, che ha votato la risoluzione che sancisce l’occupazione militare del Kosovo.
Nel 2001 l’intervento in Macedonia è stato legittimato dall’Onu.
Dobbiamo continuare? Non è forse evidente anche a un cieco che l’Onu è la foglia di fico che i paesi imperialisti, e soprattutto gli Usa, utilizzano quando fa loro comodo per "legittimare" i loro interessi? Certo, a volte preferiscono agire da soli. In questo caso, si limitano a passare alle vie di fatto, mentre al Palazzo di Vetro l’assemblea generale dell’Onu vota qualche veemente risoluzione di protesta, che finisce direttamente nella carta straccia. Esempio: le decine di risoluzioni che dal 1967 in poi hanno condannato Israele per l’occupazione di Gaza e Cisgiordania.
D’altra parte, anche nel campo americano sono in molti a pensare che una guerra "tradizionale" su vasta scala in Afghanistan presenti molte incognite. Pensano piuttosto a una guerra "selettiva", con bombardamenti aerei e missilistici, condotta dai servizi segreti e da truppe scelte con l’appoggio della cosiddetta "Alleanza del Nord" (l’esercito del defunto Massud) che, coperti da un bel mandato dell’Onu, si dedichino ad assassinare "terroristi" veri o presunti, destabilizzando l’Afghanistan fino a quando, per forza o per amore, si possa riunire una bella assemblea nazionale di capitribù corrotti dall’imperialismo sotto l’egida dell’Onu e dell’86enne ex re dell’Afghanistan, che stabilisca un governo provvisorio. Il tutto, ovviamente, garantito dalla presenza militare della Nato sul modello di quanto avvenuto nei Balcani.
Sarebbe, questa guerra, "legittima"? Il mandato Onu "svelerebbe" in questo caso il contrasto "tra nord e sud del mondo"? E soprattutto, non è forse evidente che un simile sbocco non avrebbe nulla di progressista? Che il popolo afgano rimarrebbe oppresso tanto quanto prima, che gli Usa aggiungerebbero un altro anello alla catena dei paesi costretti ad aprirsi ai loro soldati, che la causa dei lavoratori in tutto il mondo, tanto nei paesi occidentali che nei paesi arabi farebbe un nuovo passo indietro?
Non c’è pace possibile sotto il dominio del capitale, non c’è giustizia possibile sotto il tallone dell’imperialismo, quale che sia la bandiera che questo adotta. Questo è il messaggio che i comunisti devono portare nel movimento contro la guerra. È in gioco il destino dell’umanità: su questo punto concordiamo certamente con Bertinotti, e proprio per questo diciamo: se vogliamo un destino diverso, se vogliamo sottrarci a questa spirale di barbarie, dobbiamo entrare nella prospettiva di una lotta tenace, instancabile, di lunga durata, contro l’oppressione imperialista.
Oggi i nostri avversari appaiono potenti e invincibili, ma non lo sono. Gli avvenimenti davvero epocali di questi giorni annunciano una nuova epoca di sconvolgimenti, conflitti, guerre e rivoluzioni su scala mondiale. Alla reazione imperialista seguirà inevitabilmente una nuova epoca di rivolta dei popoli, tanto nei paesi sottosviluppati che nelle metropoli del capitalismo. Quando milioni, miliardi di oppressi troveranno la strada per unirsi nella lotta contro il nemico comune, al di sopra delle frontiere e dei fiumi di sangue che oggi si vogliono spargere, allora il capitalismo apparirà per quello che realmente è: un sistema ormai marcio, incapace di portare più alcun progresso all’umanità. Sulla sua rovina ci apriremo con la lotta la strada verso un mondo di pace duratura.