Pubblichiamo una sintesi degli interventi di Claudio Bellotti ed Alessandro Giardiello al Comitato Politico Nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, tenutosi il 28 e il 29 marzo scorsi.
L'intervento di Claudio Bellotti (segreteria nazionale)
Il nuovo livello del conflitto che la crisi rende necessario è ancora al di là dall’essersi dispiegato. L’attacco al modello contrattuale, o la lotta contro i licenziamenti e le chiusure non possono essere sconfitti solo con le pur necessarie manifestazioni nazionali quali quelle dei sindacati di base di oggi e della Cgil il 4 aprile. Si accredita una nuova “triplice” formata da Cisl, Uil e Ugl e la capacità di resistenza della Cgil non può essere data per scontata. Resistere, fabbrica per fabbrica, categoria per categoria, richiede un altro livello di organizzazione e di determinazione, e il terreno è tutt’altro che facile. Basti guardare al risultato del referendum alla Piaggio, dove la Fiom non è riuscita a prevalere. Le piattaforme radicali sono necessarie ma non sufficienti, i lavoratori ci ascoltano se vedono percorsi credibili che colleghino quelle parole d’ordine (nazionalizzazione delle banche, salario sociale, blocco dci licenziamenti) alla loro battaglia.
Il contesto politico vede nascere un partito, il Pdl, che è riesce a riassumere al suo interno quanto di peggio si è prodotto nella storia di questo paese, che si collega a tutti i momenti di rottura antioperaia e anticomunista, dal fascismo (che non gli è certo estraneo) fino al socialismo craxiano.
Il simbolo che andiamo ad approvare permetta una ragionevole riconoscibilità del nostro partito, ma questo non è sufficiente a definire il profilo della lista. Insisto affinché non solo si proponga che non vengano candidati i segretari delle forze politiche presenti, ma perché in ogni modo il compagno Ferrero non sia candidato. Ritengo che questo punto non debba essere oggetto di trattativa, ma semmai di una battaglia politica con i nostri compagni di strada, al fine di qualificare la lista come espressione dei conflitti reali. Altrimenti prevarranno le “libere interpretazioni” e anche il raggiungimento del quorum per cui ci battiamo trasformerebbe la lista e il suo risultato in una carcassa da spolpare in nome di progetti politici diversi dal nostro. La lotta contro il ceto politico comincia nel nostro partito, l’istituzionalismo fa ancora grandi danni e cito solo il caso Bologna, che è una ferita aperta.
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L'intervento di Alessandro Giardiello (direzione nazionale)
Di fronte a una destra all’offensiva su tutti i fronti abbiamo un Pd sempre più integrato nel sistema. Sono ormai un comitato d’affari che soprattutto nei territori governa privatizzando servizi e utilities, con le cooperative presenti nelle grandi opere, nella relazione con le banche e tutti i poteri forti. Non è per caso che il Pd non ha potuto appoggiare alcuna delle mobilitazioni della Cgil e non si è opposto alla controriforma contrattuale.
Non ci sarà alcuna svolta socialdemocratica del Pd, quella di Franceschini è solo una manovra di immagine. Questo è importante anche perché avremo a sinistra una lista che competerà con la nostra proponendo la propria funzione politica e sociale precisamente con la prospettiva di un nuovo centrosinsitra e di una rinascita della socialdemocrazia.
Al contrario, il Prc potrà avere un ruolo solo se sarà in grado di costruire un’alternativa al bipolarismo, un polo anticapitalista e di classe.
Se questo non avviene è perché siamo malati di istituzionalismo, e a maggior ragione lo è il Pdci. Per questo mi oppongo a ogni idea di estendere quello che intendo come un cartello elettorale anche alle amministrative, una posizione politicamente sbagliata e rischiosa sul piano elettorale.
Leggo che Marco Rizzo chiede le candidature operaie; questo ha senso se tali candidature emergono dal conflitto reale, figure come Dante De Angelis, ad esempio. Tutt’altro sono figure come una fra quelle citate nell’articolo di Liberazione, che si proclamano comunisti e poi magari boicottano lo sciopero della Fiom del 13 febbraio scorso perché hanno in tasca la tessera della Cisl. Fare i comunisti, non solo proclamarsi tali.
Si parla di occupazione di stabilimenti che chiudono. Se poniamo l’obiettivo dobbiamo anche tradurlo sul piano organizzativo, una cosa è l’Innse che ha 50 operai, un’altra è l’Indesit e un’altra ancora è Pomigliano. Servono quadri adeguati a intervenire nella crisi più pesante dal dopoguerra. Per questo ho proposto la costituzione di un gruppo di intervento operaio formato da compagni in cassa integrazione che possano inserirsi in un piano di intervento nazionale del partito.