La crisi affonda il colpo. Basta alzare la cornetta, chiamare il responsabile lavoro di una qualsiasi federazione e le notizie sono a senso unico: un’ecatombe di posti di lavoro dilaga nel paese.
Si tratta di una prova senza appello per chi a sinistra ha la responsabilità di offrire un’alternativa al solito finale conosciuto, e cioè che a pagare siano sempre gli stessi, i lavoratori dipendenti.
Si rischia di intaccare seriamente il sistema produttivo italiano, ma a differenza della crisi che colpì il paese nel ’92 ’93 quella di oggi si inserisce in un contesto politico e sociale completamente diverso.
Allora i vertici di Cgil-Cisl e Uil inauguravano, con gli accordi di luglio, quelle politiche concertative e compatibiliste i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Piovevano bulloni sui comizi sindacali. La rabbia operaia irrompeva, mista a un profondo senso di frustrazione.
Oggi la Cgil, messa in un angolo da governo e Confindustria, sembra invece “reagire” e accenna ad una nuova stagione di lotte, che possa farla uscire dall’isolamento.
La recessione, che spesso in passato ha prodotto l’effetto di deprimere le lotte sindacali, si inserisce oggi in un contesto diverso, facendo convergere quei fattori (anche gli studenti sono in piazza a milioni) che in altre fasi hanno prodotto mobilitazioni dal carattere dirompente.
Un nuovo autunno caldo? Vedremo, gli ingredienti ci sono tutti. Il più carente è forse quello politico.
Il movimento studentesco ha compreso fin dai suoi primi vagiti il carattere generale della mobilitazione, espressa come meglio non si poteva: “Noi la vostra crisi non la paghiamo”.
Ma per scuotere la società dalle fondamenta e aprire la strada a un reale cambiamento è necessaria la partecipazione di chi produce ricchezza, senza che gliene venga riconosciuta una minima parte, il proletariato.
Una classe che non solo esiste ma che negli ultimi anni ha rafforzato il suo peso specifico nella società. Vari studi lo dimostrano, tra gli altri quello di Elio Montanari presentato al convegno di Brescia, organizzato da Crs e Ars, il 3 ottobre scorso, e che quanto prima metteremo a disposizione dei compagni.
La nuova Rifondazione Comunista uscita da Chianciano, può giocare un ruolo decisivo in questo processo a condizione che metta al centro della sua iniziativa un serio intervento rivolto alle fabbriche, ai call-center, ai centri commerciali, a tutto l’universo del lavoro dipendente.
In questo senso è decisiva l’autonomia dal gruppo dirigente della Cgil, anche quando il sindacato di Epifani si mette sul terreno della mobilitazione sociale. Quanti compagni lamentano che sindacalisti con in tasca la tessera del Prc firmano accordi vergognosi? Ancora troppi.
Il dipartimento lavoro del Prc non può più essere, come troppe volte in passato, la dépendance dei funzionari sindacali iscritti al partito, ma deve diventare uno strumento di lotta e di organizzazione.
Gli strumenti e le proposte
In primo luogo va lanciata una campagna d’autunno che intervenga su due questioni fondamentali:
• La difesa del contratto nazionale.
• Le risposte alla crisi: salario, orario, estensione delle tutele sociali.
Abbiamo sentito diverse realtà territoriali e la sensazione è che c’è piena e totale disponibilità da parte dei compagni a lavorare in questa direzione. I dipartimenti lavoro e radicamento sociale del Prc si stanno organizzando per coordinare gli sforzi e rendere l’intervento il più incisivo possibile.
La parola d’ordine è: “Dalle cento piazze alle cento fabbriche” e siamo convinti che alla fine come le piazze, anche le fabbriche saranno molte di più.
Dopo aver distribuito, nelle giornate del 25 ottobre e del 15 novembre, decine di migliaia di chili di pane al prezzo di un euro, in un’azione simbolica contro il caro-vita, dobbiamo ora rivolgerci ai lavoratori con lo scopo di promuovere vertenze e lotte reali. Nella consapevolezza che non è sul piano del consumo ma solo promuovendo il conflitto di classe che si può sconfiggere il sistema.
La presenza nei luoghi di lavoro non può essere sporadica, ma deve diventare costante e continua. Quando i lavoratori ci vedono sono ancora molti quelli che dicono: “venite solo quando c’è da chiedere il voto”. Hanno ragione perché così è stato il più delle volte in passato. Queste parole riassumono da sole l’intera crisi della sinistra italiana.
La fiducia e la credibilità tra i lavoratori va riconquistata, l’esperienza del governo Prodi ha aperto ferite che ci vorranno anni per rimarginarle.
Si tratta di un lavoro duro e difficile ma che conta su nuove forze e nuove condizioni.
Il dipartimento partito sui luoghi di lavoro che si sta formando in queste settimane, rifuggendo da una logica di promozione dei singoli, punta a trasformarsi in un ambito dove le decisioni vengono assunte collettivamente, dalle compagne e i compagni che partecipano ad ogni livello.
Un dipartimento che non strumentalizza gli operai ma se ne fa strumento per condurre una battaglia politica dentro e fuori il partito.
La comunicazione sarà orizzontale, non più filtrata dai gruppi dirigenti, che spesso hanno lo sguardo rivolto altrove, alle istituzioni, agli accordi col Pd, alle poltrone.
Non spariamo sul quartier generale, perché il quartier generale da troppi anni non è più riconosciuto come tale. Proviamo piuttosto ad intervenire, ad innovare le pratiche politiche del partito nel senso buono della parola: meno convegnistica e più confronto con i compagni che stanno in prima linea nelle fabbriche.
Ci forniremo di strumenti atti a favorire la partecipazione. Uno di questi sarà il sito del dipartimento: la mappa dei conflitti (mappadeiconflitti.org).
Il nome è già un programma.
Dopo aver mappato la presenza organizzata del partito nei luoghi di lavoro l’idea è quella di mappare i conflitti in cui siamo impegnati, allo scopo di intervenire efficacemente valorizzando tutte le risorse che il partito ha a disposizione.
L’attivo nazionale lavoro
L’8 novembre si è svolto, nella sede della federazione di Roma, il primo attivo nazionale lavoro del dopo-Chianciano. Erano presenti oltre ai compagni di Roma, i responsabili lavoro o incaricati delle federazioni di Milano, Torino, Padova, Gorizia, Bologna, Modena, Parma, Firenze, Viareggio, Piombino, Perugia, Caserta, Napoli e Bari. 15 federazioni sulle oltre 100 di cui dispone il partito. Si parte indietro dunque, ma non è stato un cattivo inizio.
Nella relazione Ugo Boghetta ha inquadrato le proposte. Campagna nei luoghi di lavoro dal 17 novembre al 12 dicembre (data dello sciopero nazionale Fiom). Un paginone tutte le settimane su Liberazione che pubblicizza le iniziative e i volantinaggi. Un’inchiesta presentata dal responsabile Vittorio Mantelli.
Ha poi aggiunto: “La crisi è un disastro, ma i grandi cambiamenti avvengono sempre in condizioni di crisi”. Su questo tema sono tornati Paolo Grassi di Milano e Dario Salvetti, responsabile lavoro della federazione di Firenze.
Cimabue, coordinatore nazionale Poste, ha parlato delle risorse che potrebbero essere messe a disposizione di politiche per l’occupazione e una nuova Iri. 100 miliardi di euro del risparmio postale conservati nella Cassa Depositi e Prestiti, che il governo vuole invece mettere a disposizione delle banche.
Favilli (resp. grande industria) ha insistito sull’arretratezza del capitalismo italiano che chiede investimenti pubblici e “socializzazione delle perdite”. Se i soldi il pubblico ce li mette allora dobbiamo chiedere cosa, perché e come si produce. Sul modello di sviluppo sono intervenuti anche Mario Maddaloni di Napoli, Bruno Casati, Franco Calamida e Carmelo Inì (resp. lavoro di Torino). Antonio Santorelli, ha parlato apertamente dell’attualità del socialismo oggi.
Daniela Cortesi (segretaria circolo Tlc di Roma), Paolo Benvegnù di Padova, Gianplacido Ottaviano (segretario del circolo Bonfiglioli di Bologna) e altri si sono invece concentrati sulla repressione che si è scatenata nei luoghi di lavoro e sulle risposte che è necessario mettere in campo.
Roberta Fantozzi ha concluso proponendo che il partito si faccia carico nazionalmente del seguito di 4 o 5 gruppi industriali considerati strategici, tra questi: la Fiat-Avio di Pomigliano, l’Ilva di Taranto, la Motorola di Torino.
È stata firmata una petizione perchè Liberazione torni ad avere una pagina fissa dedicata ai temi del lavoro.
Ribadisco quanto ho detto ai compagni nel corso del mio intervento: “Ci dobbiamo credere”.
Molto dipenderà da questo autunno, se ci sarà o meno una nuova primavera per Rifondazione e la sinistra di classe nel nostro paese.