Una crisi strutturale del capitalismo come giustamente l’ha definita il segretario classicamente produce forte instabilità sul piano politico e sociale, un restringimento delle libertà democratiche, una precipitazione verso la barbarie, la cui unica risposta può essere messa in campo da una impennata del conflitto sociale di proporzioni tali da mettere in discussione gli assetti dominanti nella società. È quanto avvenuto in America Latina.
Un tale contesto rende velleitaria qualsiasi risposta di tipo keynesiano ed è qui iscritta la crisi delle socialdemocrazie che perdono i connotati di sinistre riformiste e si trasformano sempre più in rappresentanza diretta del grande capitale. Per questa ragione ovunque in Europa la sinistra radicale governa con queste forze ne esce demolita.
In Italia, uno degli anelli deboli del capitalismo europeo, questo fenomeno si presenta in forme ancora più acute e non produce un quadro in cui si misurano due sinistre, ma da una parte c’è un Pd che di sinistra non è più, dall’altra assistiamo a una frantumazione di tipo argentino.
Questo contesto non è il prodotto di un sistema elettorale, ma viceversa è la nostra sconfitta all’interno di quella più generale del movimento operaio che genera un sistema politico bipolare e dal carattere sempre più bonapartista.
Le crisi epocali come questa sovente hanno l’effetto di stordire i lavoratori che vengono colti di sorpresa da questo tipo di eventi. Tanto più se si producono in un contesto in cui le forze organizzate della sinistra e sindacali non sono percepite come uno strumento utile a dare risposte e a mettere in campo una controffensiva politica e sociale.
È così che siamo percepiti. Drammaticamente inadeguati, screditati e incapaci di autoriformarci e rivedere i presupposti politici che ci hanno ridotto in questa situazione.
A Chianciano abbiamo evitato la liquidazione del partito attraverso un blocco tra mozioni ma le nostre differenze strategiche, se non ci hanno impedito di trovare un compromesso per stendere un documento conclusivo, non si sono tradotte in una politica realmente condivisa e in una capacità di unirci in uno sforzo comune teso a rilanciare il partito.
Sicuramente i vendoliani hanno messo il loro per complicarci la vita, con la loro azione cosciente di sabotaggio ma la paralisi, che ci ha fatto perdere enormi opportunità nell’intervento di massa era interna alla maggioranza di Chianciano e in particolare interna alla mozione 1, che ha prodotto uno scontro continuo nei territori per la definizione degli organismi dirigenti (non parliamo poi delle candidature) e che ha soffocato quello slancio che si era generato nel partito dopo il congresso. Basta pensare al clima che c’era all’assemblea del Brancaccio giusto un anno fa.
Questo ha risucchiato la gran parte delle forze disponibili a qualsiasi tipo di intervento sociale. Per cui aldilà dei proclami il lavoro sociale e in particolare il lavoro operaio non ha mai assunto centralità.
Si è così imposta, sulla spinta della scissione e poi ancora più nettamente con la sconfitta alle europee la deriva politicista, che ci ha riportato di botto alla discussione sui contenitori (la federazione) e alla riproposizione di un’alleanza “democratica” per battere le destre (che qui viene presentata nella forma della legislatura di salvaguardia costituzionale per fare la legge proporzionale e intervenire sul conflitto d’interessi).
Una proposta che oltre al suo evidente velleitarismo è il varco entro cui passeranno tutte le pulsioni istituzionali presenti nel nostro partito. Non è un caso che mentre si fanno delle ipotesi fantascientifiche per le prossime elezioni politiche che sono molto distanti non si dice nulla sulle regionali, quando è evidente che c’è un’offensiva sui territori tesa a fare accordi col Pd ovunque è possibile e con poche considerazioni di tipo politico e programmatico.
E al compagno Ramon Mantovani dico che non ho bisogno che il tetto mi cada in testa per capire che sta per cedere.
La nostra battaglia politica per il proporzionale è giusta, sacrosanta, ci mancherebbe altro ma voglio altresì sottolineare che nessun sistema politico e istituzionale è impermeabile al conflitto di classe, come qui si è sostenuto, soprattutto quando questo si produce in forme radicali. Perché se così fosse non si sarebbe prodotto il processo che abbiamo visto in America Latina, dove tutti i sistemi politici avevano caratteristiche presidenzialiste e bipolari a partire dal Venezuela, né ci sarebbe stato alcun processo rivoluzionario nella storia.
E aggiungo Ramon, e scusami se ti chiamo ancora in causa, che sei stato l’unico che in questo Cpn si è richiamato alla svolta a sinistra di Chianciano, che a tuo modo di vedere sarebbe ancora in campo. I primi che non ci credono sono proprio i compagni a te più vicini e che sono stati maggiormente ispirati dalla tue posizioni politiche in questi anni.
Coerentemente con queste valutazioni non possiamo più condividere lo stesso livello di responsabilità nella gestione esecutiva di posizioni politiche che vanno nella direzione opposta a quella da noi auspicata e dunque ci collocheremo all’opposizione nel partito.
Consideriamo che in questa fase questo è l’unico modo per realizzare nella pratica ciò che Ferrero è in grado solo di enunciare e cioè porre l’intervento nel mondo del lavoro e nei movimenti in cima ad ogni altra priorità, aggregando forze per costruire un nuovo modello di militanza e di quadro dirigente.
Trovo del tutto fuori luogo e ingiusto che ci si accusi con questa scelta di attentare alla ricomposizione della nostra comunità.
Il nostro dissenso, anche il più radicale, in questo partito non ha mai prodotto i veleni che invece ho visto in tante cosiddette gestioni unitarie.
Ci tengo inoltre a chiarire che l’uscita dalla segreteria nazionale del compagno Bellotti, né produce alcun automatismo nei territori, né significa disimpegno rispetto alla costruzione del partito e del suo radicamento sociale. Non solo Claudio ha già offerto la sua disponibilità a mantenere il dipartimento di cui è responsabile, ma noi tutti siamo intenzionati a non far venir meno il contributo che sempre abbiamo dato in termini di impegno e militanza, nella chiarezza delle diverse posizioni politiche.
Ma non ci si venga a dire che qui oggi non si sta producendo un cambio di maggioranza e una torsione a destra della politica del partito quando Ferrero presenta un documento in cui dice che l’entrata dei compagni della 2 in segreteria “è obiettivamente possibile perché vi è una piattaforma politica largamente condivisa il cui sforzo di realizzazione e di proposizione all’esterno per la costruzione di azione sociale consapevole, deve prevalere su elementi di differenza che possono permanere ma non sono certo prevalenti”.*
Ho sentito da questa tribuna compagni della 2 proporci una linea alleanzista con il centrosinistra. Dire che questo non è affossare Chianciano è offendere le nostre intelligenze e francamente non ce lo meritiamo, ma soprattutto non se lo meritano i militanti di questo partito.
* Nella versione definitiva presentata al Cpn, il documento qui citato subiva un taglio delle ultime cinque parole “ma non sono certo prevalenti”. Essendo stato distribuito solo a dibattito concluso non potevo esserne a conoscenza mentre intervenivo. Lascio ovviamente ai lettori giudicare se questo in ogni caso inficia la consistenza delle argomentazioni qui esposte. Si tratta del documento poi approvato dal Cpn con il voto dei compagni della mozione 1, della mozione 2 e dell’area Pegolo. Tre documenti alternativi gli si sono opposti: quello presentato dalla nostra area (8 voti), quello dell’Ernesto (6 voti) e il documento dell’area Veruggio (2 voti).(Nota di Alessandro Giardiello)
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