Le sconfitte dovrebbero perlomeno servire a riflettere sui propri errori, ma la pessima figura elettorale della lista Ingroia, di cui Rifondazione è stata parte promotrice, non ha insegnato nulla al gruppo dirigente del Prc.
L’unica risposta messa in campo da Ferrero è stata quella della paralisi per guadagnare tempo. Per il gruppo dirigente fallimentare che ancora guida il partito tutto nasce e si esaurisce nella domanda “che ne sarà di noi?” A questa impostazione burocratica, che parte dalla sopravvivenza della struttura (in realtà del gruppo dirigente) a prescindere dai suoi obiettivi politici, vogliamo sostituire una discussione fondata sui processi reali in atto nell’economia e nella lotta di classe, su scala nazionale e internazionale.
Solo rompendo col soggettivismo impotente di questo gruppo dirigente possiamo orientarci nella situazione odierna.
Il congresso “sequestrato”
La domanda non è “cosa accadrà del Prc” (o dei suoi dirigenti), ma cosa accadrà fra i lavoratori e i giovani una volta dimostrato che le elezioni non hanno risolto nulla, che il voto a Grillo non cambia le cose e che la crisi sociale precipita sulle nostre teste.
In Italia si preparano le condizioni di una gigantesca esplosione sociale. La crisi profonda della sinistra non verrà risolta da nuove alchimie, ma dalla capacità di intervenire in un processo di massa paragonabile alle rivoluzioni arabe o alle esplosioni del movimento latinoamericano (anch’esse innescate dalla crisi finanziaria ed economica). È su questa prospettiva che dobbiamo tenere fissa l’attenzione se vogliamo che la nostra discussione getti le fondamenta per fare fronte a questo compito gigantesco. Tutto il resto sono schermaglie di gruppi dirigenti estenuati.
Al Comitato politico nazionale del 9-10 marzo la segreteria si è presentata con finte dimissioni, solo un componente (Claudio Grassi) le ha effettivamente mantenute mentre gli altri si sono fatti rinnovare il mandato dal Cpn. Non contento, Ferrero ha imposto il “sequestro” della decisione sulla data del congresso facendo dichiarare inammissibile dalla sua maggioranza un semplice ordine del giorno che proponeva di tenere il congresso nazionale entro l’estate. Congresso “entro il 2013”, quindi, di fatto a dicembre. Nel frattempo quieta non movere e, giusto per fingere di fare qualcosa, si propongono seminari, conferenze, simposi e chi più ne ha, più ne metta.
Ma ancora non basta. Il congresso “vero” diventa “finto”, ma il segretario propone ora una “consultazione” del partito: ossia un congresso “finto” che forse vuole diventare “vero”. Trucchi, manovre e furbizie: altro, dalla segreteria nazionale, non è uscito.
Un partito lacerato
Nel frattempo però il mondo continua a girare e la realtà non viene congelata solo perché tale sarebbe il desiderio del segretario. Il Prc è un corpo dilaniato nel quale le spinte centrifughe si fanno sempre più forti. Dimissioni (vere, in questo caso), di segretari regionali (Liguria, Marche); qualche istituzionale dei pochi rimasti che annuncia il passaggio a lidi più accoglienti, dichiarazioni di fuoco di strutture territoriali che annunciano di voler “fare da sé” (Sardegna, Calabria, Toscana in modo più sfumato).
Le aree politiche che compongono la maggioranza sono in disfacimento. Essere comunisti mette la prua verso Sel ed è presa dalla sacra impazienza. Nella Direzione nazionale del 29 marzo, Alberto Burgio lo ha dichiarato a chiare lettere: se si vuole parlare con altri non si può pretendere che prevalga la propria posizione e non si possono porre discriminanti come ad esempio la questione del Gue (il gruppo della sinistra europea al Parlamento europeo). Traduzione: poiché vogliamo unirci a Vendola, e poiché Sel ha deliberato recentemente di aderire al Partito socialista europeo, dobbiamo essere disponibili a rimuovere questo ostacolo.
Pd, Sel, 5 Stelle… attrazioni fatali che si capiscono al meglio se si tiene presente che per anni il gruppo dirigente (tutto) ha sistematicamente subordinato programmi e azioni alle diverse alchimie elettorali.
La nostra battaglia per il partito di classe
Non aspetteremo seduti buoni e tranquilli che si apra il fatidico percorso congressuale. Presenteremo nei prossimi giorni una prima bozza di piattaforma sulla quale apriremo un percorso di discussione dentro e fuori dal Prc. Se vi sarà la famosa “consultazione” sarà una delle sedi, ma non sono le formalità a decidere. I punti centrali sui quali crediamo si debba discutere sono:
1. La questione del partito di classe, ossia dell’organizzazione politica dei lavoratori, è il punto centrale di questa discussione. Il punto non è sciogliere Rifondazione (sarebbe una resa alle idiozie movimentiste e “grilline di sinistra”), ma investire le sue forze in questa direzione. Non significa inventarsi partiti a tavolino, ma capire che nel conflitto di massa che inevitabilmente investirà anche il nostro paese, tale problema andrà posto e risolto.
2. Il programma necessario non è la lista delle “riforme possibili” o una delle tante varianti di keynesismo utopico in voga nella sinistra in Europa. Si tratta invece di tornare a elaborare sul concetto del programma di transizione. Oggi la crisi del capitalismo impone un tale livello di attacco al movimento operaio e in generale agli strati popolari che anche le più elementari rivendicazioni economiche, sociali, democratiche entrano in conflitto insanabile con le basi del sistema stesso.
Questo non significa che si debbano abbandonare le rivendicazioni parziali, specifiche, anche solo difensive. Al contrario, proprio la profondità dell’attacco della classe dominante spinge e spingerà continuamente i lavoratori a tentare di difendere con ogni mezzo le proprie condizioni di esistenza sotto attacco.
Rivendicazioni quali la riduzione d’orario, la difesa e il rilancio dei salari, un vero salario di disoccupazione, la difesa dei posti di lavoro, il diritto a una istruzione e a una sanità pubbliche, alla pensione, alla casa… debbono tuttavia essere collegate in un disegno organico e soprattutto legate indissolubilmente alla necessità della rottura col capitalismo e alla costruzione di un diverso sistema economico, basato sul controllo dei lavoratori e dei cittadini su tutti i principali rami dell’economia: sistema bancario, grandi gruppi industriali, reti di comunicazione, energia, acqua, trasporti, grande proprietà terriera e immobiliare, assicurazioni.
Un programma che crei il necessario collegamento tra le contraddizioni reali per quali esse si presentano ogni giorno di fronte alle masse e la necessità del rovesciamento del sistema. È esattamente compito di un partito di classe saper costruire, nell’elaborazione e nell’azione, questo passaggio.
Una parola sul “correntismo”
Ultimo, ma non per importanza. Più di un compagno ci propone l’idea che il problema siano le “correnti” politiche e che basti “unirsi alla base e lavorare bene” per risolvere la crisi del partito. Pur simpatizzando con questi stati d’animo (quando sono onesti e non sono agitati demagogicamente da capi e capetti in cerca di ruolo) non possiamo condividerli. Non esistono isole felici, circoli o federazioni “modello”, che astraendosi dal contesto possano costruire un intervento astraendosi dal contesto del partito, della linea che pratica a livello nazionale e delle sue ricadute.
In secondo luogo perché lo scontro di posizioni politiche che ha attraversato la sinistra è solo un riflesso dello scontro più vasto che attraversa la società e il movimento operaio. Chiunque rilegga con obiettività la storia del Prc anche solo negli ultimi anni non può non riconoscere che, a prescindere da questa o quella sfumatura, la critica che abbiamo esercitato su tutte le scelte fondamentali del gruppo dirigente ha trovato una conferma schiacciante negli avvenimenti.
Non si tratta di una disputa accademica fra tesi diverse. Le posizioni politiche influenzano le scelte e queste a loro volta determinano, con i loro effetti, il nuovo terreno sul quale si combatte lo scontro tra opzioni diverse. Proprio perché non pensiamo che ci debba venire riconosciuta una “ragione” astratta, ci impegneremo in questo percorso e chiederemo a tutti i compagni che ne condividono l’impianto di verificarne con noi la efficacia contribuendo attivamente alla sua costruzione.