Negli ultimi mesi i lavoratori della Vodafone, uno dei principali gruppi della telefonia italiana, sono scesi in lotta contro l’esternalizzazione di 914 lavoratori a Comdata Spa.
Vodafone.con 8,1 miliardi di euro di fatturato solo sul mercato italiano e oltre 4 miliardi di euro di utili è in una fase di forte espansione. Come dichiarato anche in un’intervista, dall’Amministratore delegato di Vodafone Italia Pietro Guindani, a Il Sole-24 ore, detiene circa il 32,8% della quota di mercato della telefonia mobile del Paese, con 27,4 milioni di utenze, oltre 7.000 punti vendita in Italia, 9.200 dipendenti in maggioranza giovani distribuiti in 8 call center sparsi per il paese.
La risposta dei lavoratori non si è fatta attendere. Fin dall’inizio (fine settembre) la lotta ha assunto forme radicali. Per difendere i propri interessi i lavoratori hanno usato le migliori tradizioni del movimento operaio organizzando assemblee, presidi, picchetti, costruendo due scioperi nazionali entrambi riuscitissimi ed una manifestazione a Roma il 19 ottobre alla quale hanno partecipato oltre 1.500 lavoratori e delegazioni da tutto il paese.
La mobilitazione convinta dei lavoratori ha da subito preoccupato i vertici di Cgil, Cisl e Uil, che temevano di perdere il controllo della lotta. Non è un mistero per nessuno infatti che per i vertici sindacali le mobilitazioni non sono uno strumento per far male ai padroni e costringerli a recedere dai propri intenti, ma sono solo come strumento persuasivo per aprire mediazioni che in genere si concludono con nuovi arretramenti per i lavoratori.
Le segreterie hanno inizialmente subìto la mobilitazione, hanno boicottato nei fatti la manifestazione nazionale, si sono opposti ad uno sciopero del settore e non si sono risparmiati nel sollevare un polverone con tanto di denunce penali quando alcuni lavoratori via posta elettronica avevano fatto nomi e cognomi di alcuni crumiri che avevano ostacolato gli scioperi a Bologna.
Queste sono state le premesse su cui poi i vertici sindacali sono andati a firmare quello che è stato definito dal segretario della Slc-Cgil Miceli “un accordo che contiene importanti elementi di garanzia per i lavoratori”.
Purtroppo le cose non stanno così. In primo luogo perchè non era per questo che i lavoratori avevano scioperato, i lavoratori volevano il ritiro dell’esternalizzazione. In secondo luogo, pur essendoci state delle concessioni da parte di Vodafone queste non cambiano la sostanza del problema. Ovvero che i lavoratori entrano in un percorso di precarizzazione.
È vero che la commessa è stata “allungata” dai due anni iniziali a sette, ma non c’è chiarezza su cosa accadrà dopo. Passano da un contratto a tempo indeterminato ad un contratto a scadenza. Inoltre non vi è nessuna garanzia che Vodafone non presenti nuove sorprese prima del nuovo piano industriale previsto per il 2010. In un simile contesto è poca cosa il fatto che i lavoratori non possano essere trasferiti fuori dal comune dove lavorano o che Vodafone in caso di risoluzione anticipata del contratto con Comdata affiderà ad un soggetto terzo i lavoratori senza soluzioni di continuità.
Una volta firmato l’accordo le segreterie l’hanno sottoposto a un referendum. Nonostante la firma dell’accordo abbia generato una certa demoralizzazione tra i più combattivi il referendum non è stato un plebiscito per i vertici sindacali.
Su 914 lavoratori coinvolti hanno votato in 707, 406 Sì e 291 No. L’accordo quindi non avuto il consenso della maggioranza dei lavoratori coinvolti e ha raggiunto una maggioranza (57,3%) non certo schiacciante tra chi ha partecipato al voto.
È chiaro che senza la mobilitazione non sarebbe stato ottenuto neanche il prolungamento ai sette anni certi di lavoro. Per molti lavoratori di Vodafone questa è stata la prima vera esperienza di lotta e da subito hanno saputo dimostrare di essere in grado di mettere in difficoltà il padrone in uno dei settori dove l’organizzazione delle lotte è più complicata. Hanno saputo legare la loro vicenda alla legge 30 e riuscire a parlare a milioni di lavoratori in tutto il paese dei nefasti risultati delle leggi che in questi anni hanno precarizzato il lavoro. L’esito positivo della vertenza avrebbe potuto creare un pericoloso precedente per tutto il settore e per l’esistenza della legge 30.
L’esperienza preziosa di questa lotta non deve andare persa. Come recentemente ci insegna il caso Wind, a una ristrutturazione o una esternalizzazione segue sempre un nuovo attacco. Gli insegnamenti accumulati durante la mobilitazione devono servire per costruire un reale coordinamento permanente dei lavoratori e dei delegati eletti democraticamente in tutte le filiali che sia d’esempio anche per le altre realtà del settore. Condizione indispensabile per poter sottrarre i lavoratori dalla soffocante cappa della burocrazia e presentarsi alle prossime lotte con strumenti efficaci che ci permettano di vincere.