Venerdì 3 dicembre scorso l’Ospedale San Paolo è entrato in sciopero e si è mosso in corteo fino al palazzo della Regione. L’ospedale San Paolo nell’ultimo mese ha visto un crescendo di assemblee generali, almeno una a settimana, allo scopo di mobilitare i lavoratori e discutere apertamente.
Nel corso di questo mese progressivamente sono comparse bandiere delle principali sigle sindacali a tutti gli ingressi, volantini, cartelli che invitavano alla mobilitazione anche i dipendenti che il 3 avrebbero avuto il giorno di riposo e dichiaravano lo stato di agitazione. Si è arrivati a entrare in sciopero di 24 ore a causa del fallimento delle trattative precedenti tra la Rsu aziendale e la dirigenza ospedaliera. La rottura è da imputare innanzitutto al mancato rispetto dei diritti dei lavoratori come ad esempio la questione degli scatti di fascia, rivendicando una fascia salariale uguale per tutti.
A queste problematiche principali bisogna poi aggiungere la questione dei tempi di vestizione e svestizione non retribuiti, come rivendicato dalla Rsu. Infatti gli infermieri impiegano circa 10 minuti per indossare la divisa e le calzature. In apparenza la questione è già stata definitivamente chiusa a livello giudiziario. Si tratta infatti di un diritto riconosciuto da una sentenza della Corte di cassazione del 22 luglio 2008: “Il tempo necessario per indossare la divisa aziendale, ove sia un obbligo che debba avvenire nell’unità produttiva, deve essere retribuito”. In altri ospedali milanesi il tempo di vestizione rientra nell’orario lavorativo e quindi viene retribuito, al San Paolo invece no. Vi sono poi altre questioni come ad esempio il fatto che l’Azienda Ospedaliera garantisce solo un pasto a 1 euro in mensa. Infatti da contratto è previsto il pasto a prezzo agevolato solo a mezzogiorno e quindi se un lavoratore ha il turno di pomeriggio o di notte non ha diritto al pasto ad 1 euro e si trova costretto a pagarne 8.
Tutto questo è dovuto al fatto che la sanità, come ormai la maggior parte dei servizi, vengono privatizzati. Il San Paolo non è un ospedale, è un’Azienda Ospedaliera: questo non è un banale dettaglio lessicale ma il nodo principale del problema, infatti essendo un’azienda a tutti gli effetti ha l’autonomia sulla gestione di alcune clausole contrattuali, previste dal contratto nazionale.
Il 3 dicembre è stato quindi dichiarato per queste ragioni uno sciopero di 24 ore. Sono scesi in piazza circa 200 lavoratori che si sono mossi in corteo fino alla Regione per essere ricevuti dal Dott. Lucchina, assessore alla sanità. Era da almeno 15 anni che al San Paolo non si vedeva un corteo così partecipato soprattutto una ripresa della lotta. Chi al San Paolo lavora sa perfettamente che questo è stato un risultato eccezionale a livello numerico. è però evidente che una mobilitazione di questo tipo non può ridursi ad una protesta davanti alla Regione, come hanno dimostrato altre lotte che speravano di fare leva sugli organi istituzionali. Con questa lotta i lavoratori vogliono anche essere nelle condizioni materiali e morali di garantire un servizio migliore ai pazienti. Con questa protesta la lotta ha oltrepassato le mura dell’ospedale per farsi conoscere al di fuori, per informare l’utenza delle reali condizioni di lavoro degli operatori sanitari, per avere il suo appoggio e per far comprendere le motivazioni dello sciopero. Quella del 3 è stata una prova di forza, dimostrando che è possibile mettere in piedi una mobilitazione anche in un ospedale dove, per ovvie ragioni di precettazione e quindi l’obbligo di garantire il servizio di assistenza sanitaria, non è per nulla facile entrare in sciopero.
Il messaggio che deve essere chiaro sia ai dirigenti dell’azienda ospedaliera sia agli utenti dell’ospedale è che gli operatori sanitari, tecnici e amministrativi hanno scioperato per difendere i propri diritti salariali e contrattuali. Il passo successivo sarà quello di allargare la base di questa mobilitazione per far capire a chi ancora non riesce a comprendere la necessità della mobilitazione che è fondamentale l’unità dei lavoratori nelle lotte.
Sarà quindi necessario non lasciar cadere nel vuoto la giornata del 3 dicembre, che altrimenti rischierebbe di essere archiviata come una bella giornata di lotta, ma isolata e fine a se stessa.