Corteo del 3 ottobre
Sabato 3 ottobre si è svolta a Roma la manifestazione nazionale dei docenti precari, convocata dal Coordinamento Nazionale Precari. Un corteo che nonostante il sostanziale boicottaggio dei media, concentrati sul presidio in difesa della libertà di stampa (di De Benedetti e Murdoch), e un appoggio più che altro formale della Cgil, ha visto una partecipazione consistente.
Soprattutto il clima è stato decisamente combattivo: nonostante Alemanno e la questura avessero imposto un tragitto per il corteo degno di giochi senza frontiere, facendo andare il corteo sotto i ponti del Tevere tra acqua melmosa e pantegane, i docenti precari hanno resistito fino al Ministero, cantando e gridando slogan contro Governo e Gelmini.
Anche gli studenti non sono mancati, per quanto le organizzazioni romane non si siano spese più di tanto per organizzare una presenza massiccia per unire lavoratori della scuola e studenti stessi. Un corteo di 2mila studenti la mattina è partito da Piramide per arrivare sotto al Ministero dove hanno tenuto un’assemblea, in cui è emersa chiaramente sia la necessità dell’unità studenti-lavoratori per vincere la lotta, sia una caratterizzazione antifascista delle mobilitazioni contro la Gelmini. Gli studenti romani infatti ricordano bene come sotto l’apoliticismo dello slogan “né rossi né neri, ma liberi pensieri” i fascisti di Blocco studentesco si siano infiltrati nelle mobilitazioni romane dell’anno scorso, con la chiara intenzione di provocare e far deragliare il movimento.
Tuttavia il vero problema che docenti e studenti si trovano ora ad affrontare non sono né i fascisti né la polizia, che tanto per non sbagliare ha fatto partire un paio di cariche contro il corteo studentesco. Il punto emerso sia dall’assemblea dei docenti che dagli studenti è la mancanza di un’organizzazione del conflitto che sia in grado di offrire una prospettiva di lotta reale alla maggioranza di lavoratori e studenti che al momento non sentono la necessità di lottare, nonostante la loro contrarietà alla politica di distruzione della scuola pubblica portata avanti dal Governo.
I presidi che il Coordinamento Nazionale Precari ha organizzato agli inizi di settembre hanno senza dubbio avuto il merito di scuotere l’ambiente e raggruppare un primo nucleo di attivisti, soprattutto precari. Tuttavia, questa strategia non può continuare all’infinito. I docenti non hanno la possibilità, come gli operai di una fabbrica, di bloccare il lavoro con i loro presidi davanti ai provveditorati. Per di più, attraverso i contratti di disponibilità, il Governo sta già cercando di dividere il movimento. Senza un’opposizione che sia in grado di unire tutti i fronti del mondo della scuola, il rischio diventa quello di assistere a docenti obbligati ad accettare questa vera e propria umiliazione, che li costringerebbe a sottostare al più classico dei job on call, senza alcuna garanzia circa il futuro. I tagli di quest’anno non sono infatti che l’inizio: la Gemini ha pubblicamente dichiarato che ci troviamo di fronte solamente alla prima tranche di licenziamenti, che nel giro dei prossimi due anni arriveranno a 150mila!
Il fatto che la Cgil per il momento si sia dichiarata contraria è un segnale importante, soprattutto del clima che si respira nella base del sindacato. Tuttavia emerge con chiarezza l’assenza di una reale strategia di lotta.
Il lavoro che ci aspetta dopo il corteo del 3 ottobre deve essere quindi quello di organizzare capillarmente coordinamenti di lotta, scuola per scuola, di docenti precari e non, studenti e personale Ata, per arrivare ad un reale blocco della didattica. Cortei, presidi e tutte le altre forme di mobilitazione messe in campo finora possono avere un senso se collocati all’interno di una strategia di lotta che si ponga chiaramente l’obiettivo di arrivare ad un braccio di ferro con il Governo, con la consapevolezza che proprio per la violenza dell’attacco è necessaria una lotta che sappia resistere un minuto di più della Gelmini.