L'intervento di Sonia Previato al seminario "la Rosa d'inverno"
Il 24 ottobre scorso si è tenuto a Milano un seminario su Rosa Luxemburg promosso dal Forum delle donne Prc, associazione Punto Rosso e la Fondazione Rosa Luxemburg di Berlino. Il seminario ha visto un'ampia partecipazione e un ricco dibattito con interventi di Lidia Menapace, Rosangela Pesenti, Imma Barbarossa, Giovanna Capelli, Jorn Schutrumpf, Pasquale Voza, Sonia Previato, a cui è seguita una tavola rotonda con Paolo Ferrero.
Il presente contributo uscirà, insieme agli altri interventi, negli atti del convegno di prossima pubblicazione a cura degli organizzatori.
Sono contenta che qui si sia auspicato che il movimento delle donne lavori per assumere maggiormente Rosa Luxemburg fra le figure di riferimento: una donna che ha dedicato tutta la sua vita alla causa della classe lavoratrice, agli sfruttati del mondo, un’autentica rivoluzionaria.
Non possiamo però non registrare alcune difficoltà, se non altro dovute alla chiarezza brutale con cui Rosa ha liquidato il femminismo dei suoi tempi. Durante la battaglia per il diritto di voto alle donne, battaglia che lei agitò con grande energia anche contro i suoi compagni di partito, si riferiva alle donne borghesi chiamandole “co-consumatrici del plusvalore che i loro uomini spremono dal proletariato, sono parassiti dei parassiti della società”. E ancora, a proposito di questi parassiti: “sono ancora più violenti e spietati nella difesa dei loro diritti di parassiti rispetto ai rappresentanti diretti del dominio di classe”.
Diciamo, come minimo, che siamo abbastanza lontani dal movimento femminista contemporaneo che rivendica una lettura di genere della storia e della politica. Sono pertanto comprensibili le difficoltà ad assumerla nel pantheon del femminismo.
Tuttavia Rosa deve essere un punto di riferimento perché la sua lotta contro tutte le concezioni riformiste, contro gli apparati burocratici che frenavano il conflitto di classe, la sua battaglia rivoluzionaria contro il capitalismo sono di straordinaria attualità e utilità per noi e per tutti gli sfruttati, uomini e donne.
Prima di entrare nel merito della mia tesi, vorrei fare una premessa a proposito della categoria dell’errore.
A Rosa Luxemburg sono stati imputati molti errori, così come a molti dirigenti politici del passato e del presente. Al “partito dell’accusa” segue puntualmente quello della “difesa”. La logica sottesa a questa modalità è che la denuncia dell’errore serve a smontare l’autorità politica e morale del dirigente e la difesa ad incensarlo. Noi dobbiamo invece contestare radicalmente questa logica, che concepisce il dibattito come la lotta fra dirigenti avvolti da un’aura di infallibilità o di quasi mistica intoccabilità e che vengono avversati con lo scopo di detronizzarli dal palchetto sul quale alcuni li hanno incautamente posti. I dirigenti, almeno quelli che si misurano nel campo del movimento operaio, sono al servizio di una causa alta, e per questa ragione hanno il dovere di portare l’onere della critica. In questa luce gli errori e la lora denuncia servono a verificare la correttezza di una posizione politica, e non a demolire o incensare un “capo”.
E veniamo agli errori di Rosa Luxemburg.
Si accusa Rosa di essere stata contro la forma partito, di essere stata una movimentista, che vedeva nella crescita impetuosa del movimento attraverso lo sciopero generale la forma della presa del potere. Innanzitutto l’unico scritto della Luxemburg sulla forma partito risale al 1903 in polemica con Lenin, dove criticava aspramente la sua visione di partito centralizzato. Va però precisato che Lenin nel 1903 un partito non ce l’aveva. In Russia esistevano tanti comitati, tante “redazioni operaie”, gruppi dispersi e clandestini che non erano uno strumento di lotta del proletariato all’altezza delle necessità. Rosa invece era in Germania dove vedeva un partito enorme, dall’apparato mastodontico, che arrivò a un milione di iscritti, 3mila funzionari, insomma ben lungi anche dalla nostra presente esperienza. Rosa temeva che gli argomenti di Lenin venissero usati dall’apparato della Spd tedesca per giustificare ulteriormente il suo ruolo dominante e soffocante la vitalità della base del partito e della sua sinistra. Ad essere poi del tutto sinceri, il partito fondato da Rosa in Polonia, era ancora più centralizzato di quello di Lenin in Russia.
In realtà in quegli anni e tutti quelli successivi Rosa fu una protagonista straordinaria della battaglia nella Spd affinchè questo partito fosse davvero avanguardia – lei usava questi termini – del proletariato. Polemizzò aspramente contro le concezioni gradualiste e istituzionaliste presenti nel partito. Da questa polemica uscì uno dei suoi testi più brillanti “Riforma sociale o rivoluzione?” dove delinea come non esiste una contraddizione fra le riforme e la rivoluzione, ma un rapporto dialettico attraverso il quale il partito deve concepire le prime come uno strumento allo scopo di rovesciare il sistema capitalista. Riflessioni e battaglie anche attorno alla prima esperienza di partecipazione socialdemocratica a un governo di coalizione in Francia, siamo nel 1899. Rosa disse “possiamo occupare tutti gli spazi possibili nello Stato borghese a patto di poter portare avanti la lotta di classe contro la borghesia”, lanciò un anatema contro quella partecipazione al governo, il partito francese uscì da quell’esperienza con le ossa rotte, un’esperienza a noi piuttosto nota. Rosa aveva avuto ragione, darà battaglia fino a vincere il congresso dell’Spd nel 1905.
Anche a proposito della sua concezione dello sciopero generale va fatta una precisazione. È vero, enfatizzò moltissimo il ruolo dello sciopero e del movimento, va detto però che in quegli anni, siamo nel 1905, divampò un movimento di lotte operaie straordiario dopo anni di pace sociale nei quali sia gli apparati sindacali che quelli di partito si rifiutavano di condurre la lotta fino in fondo e si rifiutavano di convocare lo sciopero generale. Tanto che, non appena poterono, i socialdemocratici tedeschi spedirono Rosa in Russia, come dissero loro: “vai dai tuoi amici bolscevichi”. E quando nel 1906 Rosa verificò il riflusso delle mobilitazioni, nei suoi scritti ricomparve, con equilibrio, l’importanza del ruolo della lotta politica, attraverso il partito, per raccogliere e non disperdere le forze, le esperienze più avanzate in previsione dei futuri conflitti, che effettivamente non sarebbero tardati.
È qui d’obbligo una considerazione: le sue prese di posizioni vanno colte e comprese nel contesto nel quale furono assunte. Rosa era una combattente, completamente immersa nella battaglia politica e nella lotta di classe, se non si coglie la vitalità del conflitto nel quale è vissuta e di cui è stata protagonista non è possibile trarre alcun insegnamento dalla sua vita e ci si limiterà, da caproni, ad accodarsi ai detrattori o ai sostenitori a seconda delle convenienze. In entrambi i casi, facendo un pessimo servizio alla nostra grande rivoluzionaria.
Sul suo rapporto con i bolscevichi al potere è stato già detto molto da chi mi ha preceduto. Vorrei sottolineare quanto già detto da Giovanna Capelli: la Luxemburg sostenne la presa del potere da parte dei bolscevichi e considerava in primo luogo la socialdemocrazia europea responsabile dei problemi dei rivoluzionari russi perché la socialdemocrazia avavo lasciato nell’isolamento quella rivoluzione.
Aggiungo che i timori della Luxemburg di un’involuzione autoritaria e/o di una sconfitta clamorosa erano gli stessi di Lenin. Più volte Lenin e Trotskij avevano sottolineato l’urgenza di estendere la rivoluzione a livello internazionale, perché erano convinti di non poter resistere da soli. Non furono certo vezzi i dibatti asperrimi che il partito bolscevico condusse nell’Internazionale, che come si potrà leggere negli atti dei primi quattro congressi era un organismo vitale e niente affatto monolitico e che Stalin ebbe poi la bella idea di sciogliere nel ‘43. Lenin era preoccupatissmo dell’isolmento, in un suo scritto disse: “abbiamo una macchina, ma rischiamo di non essere noi a guidarla, ma di esserne guidati” a proposito delle forze conservatrici e soverchianti in un paese arretrato, attanagliato dalla fame e dalle guerra. Nadezda Krupskaja, che era a Lenin molto vicina condividendo con lui la sua vita privata, una volta disse che se Lenin fosse stato vivo, sarebbe chiuso in un carcere di Stalin.
La previsione di Rosa Luxemburg sulla possibile involuzione autoritaria, a voler guardare bene i fatti da vicino, non ci autorizza a segnare una demarcazione fra Rosa da una parte e Lenin e Stalin dall’altra. Se proprio questi fatti li vogliamo guardare scopriremo che quell’involuzione autoritaria fu uno scontro aspro e violento interno al partito bolscevico che durò oltre un decennio e la demarcazione che va fatta deve mettere Rosa e Lenin nel campo della rivoluzione, Stalin in quello della controrivoluzione.
Un’ultima osservazione vorrei farla a proposito dell’antimilitarismo di Rosa Luxemburg perché la lotta contro la guerra occupò una parte centrale della sua vita politica.
Nel 1913 in piena canea patriottica annunciò in un comizio che gli operai teseschi non avrebbero ammazzato i loro fratelli francesci, per questa dichiarazione pubblica venne condannata a due anni di carcere. In realtà vi rimase fino al 9 novembre del 1918.
Il clima patriottico era soffocante e annichilente, anche Karl Liebnecht votò a favore dei crediti di guerra nell’agosto del ‘14, salvo rendersi immediatamente conto dell’errore e coraggiosamente, all’inizio da solo, votò contro e divenne il simbolo, l’unica speranza in Germania della lotta contro la guerra. A noi sarebbe bastato molto meno coraggio negli anni in cui votammo, durante il governo Prodi, i rifinanziamenti alla guerra in Afghanistan.
Tuttavia Rosa non era una pacifista. È bene ricordare la polemica furibonda contro la pace di Brest Litovsk, addirittura salutò con favore l’attentato terroristico dei socialisti rivoluzionari, che uccisero l’ambasciatore tedesco, nella speranza che questo rompesse la pace appena siglata. Anche fra i bolscevichi c’era chi era contrario alla pace, perché era gravemente ingiusta. Ciononostante era pur sempre la pace, finalmente l’acqua nel deserto.
Perché Rosa, così tenacemente contro la guerra, prende un abbaglio di simili dimensioni su Brest Litovsk? Obiettivamente i conti non tornano. Penso che sia utile per noi capire il ragionamento che sta alla base di quella sua presa di posizione perché ci illumina sulla natura del suo antimilitarismo, dal mio punto di vista, tuttora attuale. Rosa concepiva la lotta contro la guerra come parte dello sviluppo della lotta di classe. La sua ossessione era far avanzare la lotta rivoluzionaria della classe lavoratrice e rovesciare il sistema capitalista. Il trattato di Brest era un obiettivo indebolimento della Russia sovietica, che perdeva territori importanti a tutto vantaggio dell’impero tedesco. La Luxemburg riteneva che con quel trattato i sovietici firmavano la loro condanna all’isolamento e alla sconfitta: il rafforzamento dell’impero tedesco avrebbe impedito agli operai tedeschi di dare l’assalto al cielo. Non fu così, a novembre dello stesso anno la Germania fu attraversata dalla rivoluzione, ispirata proprio dalla politica della Russia sovietica, si costituirono soviet di operai e soldati e la Luxemburg si gettò a capofitto in quella che fu la sua ultima battaglia.
Rosa Luxemburg fece una valutazione sbagliata, ma il suo approccio era corretto ed era determinato da una attualissima urgenza di rafforzare il movimento operaio e porre fine al capitalismo, anche e soprattutto nella sua espressione più barbarica, quella dell’imperialismo che affama i popoli e fa le guerre.
Concludo ringraziando tutti per questa occasione di dibattito così approfondito. E faccio un appello a tutti a tener bene presente la nostra migliore storia rivoluzionaria, questa storia ci deve aiutare ad ampliare i nostri orizzonti e tenere alte le nostre ambizioni. Nella nostra martoriata sinistra italiana siamo immersi spesso in sterili polemichine, dalle quali pure non possiamo sottrarci perché questo è il terreno di battaglia che oggi qui ci è dato. Tuttavia, con senso di responsabilità verso chi si è battuto e tuttora si batte onestamente per la causa degli oppressi, abbiamo il dovere di puntare più in alto e legare le nostre battaglie contingenti, ancora oggi, alla lotta per una trasformazione rivoluzionaria di questo maledetto sistema.
24 ottobre 2009
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