Le elezioni del 4 dicembre e le successive mobilitazioni sviluppatesi nel mese di dicembre hanno rappresentato probabilmente un’opportunità sprecata per la costruzione di un’opposizione anticapitalista a Putin e a Medvedev. I risultati elettorali, dove il partito del tandem Putin-Medvedev, Russia Unita, non è riuscito ad ottenere la maggioranza di 2/3 prevista per procedere al cambiamento della Costituzione, erano stati al centro della lotta politica all’indomani delle elezioni, lotta poi di fatto “rinviata” a data da destinarsi dopo le manifestazioni del 24 dicembre.
Si sono appropriati della testa del movimento infatti le forze liberali (che continuano ad essere ultraminoritarie in Russia, con il 4,2% complessivo dei voti) e nazionaliste, queste ultime figlie di un clima di rivalutazione e tolleranza delle idee xenofobe per troppo tempo sottovalutato (e in alcuni casi accettato) dalle autorità statali. Il blogger Aleksej Navalnij, invocato sulla stampa occidentale come leader della “nuova democrazia russa”, in realtà è noto come attivista nazionalista: espulso dalle fila dei liberali di Yabloko per incitamento all’odio etnico, ha sostenuto e partecipato più volte alla “Marcia russa”, appuntamento dell’estrema destra e delle formazioni xenofobe (per intendersi, nel 2009 alla manifestazione partecipò una delegazione del Ku Klux Klan). Navalnij più volte è stato al centro dei tentativi di unificazione della destra russa, con importanti entrature nel Movimento contro l’immigrazione ilegale (Dpni), di cui si ricordano le parate contro gli immigrati dell’Asia centrale e del Caucaso.
IL RUOLO DEI LIBERALI
Un altro futuro eroe della stampa occidentale, Mikhail Prokhorov, oligarca che ha costruito le sue fortune all’epoca delle privatizzazioni di Eltsin, ha iniziato immediatamente dopo il 24 dicembre la propria campagna elettorale verso le presidenziali del 4 marzo: già ritiratosi dalla corsa elettorale a settembre, il miliardario ha approfittato delle mobilitazioni per lanciare la raccolta delle firme per la presentazione della candidatura, e i chioschi di attivisti (a quanto sembra, ben pagati) sono presenti nelle città russe. Già in estate Prokhorov aveva ricevuto la prima sponsorizzazione internazionale di rilievo, con la Legion d’onore consegnatagli su indicazione di Sarkozy per non meglio precisate “attività culturali tra la Russia e la Francia”.
Come mai un movimento che inizialmente aveva visto la partecipazione (e la gran parte degli arrestati) delle forze comuniste e di sinistra si è arenato tra liberali e nazionalisti, e con il rinvio a ogni azione politica a febbraio?
Esiste una certa indignazione diffusa in Russia verso la corruzione dell’amministrazione e della politica, su cui questi elementi provano a sviluppare le proprie campagne di denuncia del governo Putin-Medvedev, in alcuni casi riecheggiando argomentazioni alla Grillo con toni anche più di destra. Generalmente, tali forze puntano a garantirsi l’appoggio del ceto medio e a invocare misure restrittive, in alcuni casi con venature scioviniste e razziste, come nel caso di Navalnij, senza nessuna messa in discussione di un capitalismo predatorio e oligarchico.
L’appoggio di fatto garantito a Prokhorov è la testimonianza della sostanziale identità di vedute da parte di liberali e nazionalisti nella ricerca di un’uscita alla crisi politica tutta interna al sistema, e volta ad arginare la possibile apertura di uno spazio a sinistra, di cui anche le contraddizioni dentro e attorno al Kprf (partito comunista) sono una testimonianza. Infatti, un settore della militanza comunista e del suo elettorato chiedeva un’azione più incisiva e non una generica promessa di “elezioni pulite” data da Zjuganov in caso di vittoria alle presidenziali.
I COMUNISTI E LA SINISTRA: QUALE STRADA?
Scrivevamo a dicembre “il primo elemento che balza agli occhi è il risultato del Partito comunista, a vent’anni esatti dai giorni finali dell’Urss: 19,15%, con risultati importanti nelle principali regioni industriali del paese (32% nella regione di Orel, 28% e 30% nelle siberiane Irkutsk e Novosibirsk) e una crescita importante della propria influenza nella società.”
Il successo del Pc è stato il riflesso di un cambiamento che attraversa la società russa in profondità e testimonia in modo lampante la ricerca di un’alternativa da parte dei lavoratori e dei giovani ormai disgustati dalla retorica del partito di governo, e anche l’entusiasmo iniziale generato dal risultato elettorale di Zjuganov e dei vertici sono stati l’espressione di quella pressione dal basso presente tra gli elettori.
I comunisti, sia iscritti che non al Kprf, hanno subito una dura repressione (i principali esponenti arrestati sono antagonisti, anarchici, socialisti e comunisti), che non trova spazio sulla stampa tanto attenta ai fotomontaggi di cui sarebbe vittima Navalnij, e le manifestazioni (molto ridotte nei numeri) successive al 24 dicembre sono opera degli attivisti della sinistra anticapitalista.
Il crescente impegno dei liberali nel movimento ha visto il Kprf in una posizione di grande ostilità, denunciando le infiltrazioni “occidentali” nel movimento.
Su questo punto, se dichiarazioni di sostegno ci sono state da parte del Dipartimento di Stato americano e alcune formazioni godono del sostegno di qualche fondazione ben munita di dollari, si è rischiato di lasciare spazio libero ai liberali e ai nazionalisti, quest’ultimi ancora più pericolosi perché forti della retorica anti-occidentale.
Non a caso, l’atteggiamento da parte del governo è cambiato, con un certo spazio accordato nei principali canali televisivi a quest’opposizione, che comunque attenderà la campagna delle presidenziali per tornare alla ribalta.
Se nella conferenza stampa dell’11 gennaio Zjuganov ha sottolineato il “forte desiderio, in piazza Bolotnaja e sulla prospettiva Sakharov (teatro delle due manifestazioni d’opposizione a Mosca, ndr) di tutto il paese di avere elezioni oneste e giuste”, il rinvio alle presidenziali anche da parte del Kprf di ogni iniziativa di massa rischia di far guadagnare terreno alle forze antioperaie.
A livello sindacale, gli attivisti invece continuano a costruire un terreno favorevole alla nascita di una forte Confederazione delle strutture sindacali disseminate per il paese e l’ultima iniziativa, volta a richiedere una commissione d’inchiesta e giustizia per i lavoratori vittime dell’affondamento della piattaforma petrolifera Kolskaja, sprofondata nel mare di Okhotsk, si è accompagnata alla lotta operaia per la difesa dei posti di lavoro e di maggiori diritti nello stabilimento dell’Heineken a San Pietroburgo, centro (come a inizio Novecento) delle principali battaglie sociali in Russia.
Il futuro della Russia e del suo immenso e sempre più giovane proletariato non è ancora stato scritto, né può essere predeterminato dalle parate di personaggi famosi che hanno preso la parola nel corteo del 24 dicembre a Mosca. Ciò che avviene nel mondo non è paragonabile a quel che è avvenuto con il crollo dell’Urss e il trionfo del capitalismo più sfrenatamente liberista vent’anni fa, e di questo ne sono consapevoli anche coloro che provano a deragliare (finora con successo) il movimento in Russia.
La sinistra anticapitalista e i comunisti hanno compreso come sia necessario distinguersi nettamente dalle nostalgie “colorate” di una parte dei liberali e dalle posizioni reazionarie e razziste dei nazionalisti: questo però deve essere solo l’inizio di un processo.
La costruzione di un’alternativa reale al sistema attuale in Russia non verrà da altri oligarchi o dall’Occidente, ma dalla coscienza della classe lavoratrice. “Il potere ai milioni, non ai milionari!”, questo ripetevano migliaia di giovani nelle strade a dicembre proprio per marcare la differenza con le destre.
Sarà compito loro però mettere in pratica questo slogan, lavorando pazientemente per la nascita di un nuovo futuro per la Russia e per il mondo, che sia colorato sì, ma di rosso, come la giustizia sociale e la libertà.