Con 31 voti favorevoli e 25 contrari, il Consiglio regionale della Sardegna ha approvato il 21 marzo scorso un’ordine del giorno trasversale dal chiaro sapore indipendentista. “Il Consiglio regionale, preso atto delle ripetute violazioni dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione da parte del Governo e dello Stato italiano nei confronti della Regione Sardegna, delibera di avviare una sessione speciale di lavori, aperta ai rappresentanti della società sarda, per la verifica dei rapporti di lealtà istituzionale, sociale e civile con lo Stato, che dovrebbero essere a fondamento della presenza e della permanenza della regione Sardegna nella Repubblica italiana”.
Tale odg nasce da un’iniziativa del Partito sardo d’Azione ed è stato sottoscritto da Sel, Udc, Fli, Idv e Api. Ha votato a favore una parte del Pdl e contro tutto il PD e i Riformatori.
Dagli “stati generali del popolo sardo” alla verifica della “lealtà istituzionale”
Tutto nasce da un precedente odg, questa volta ecumenico, approvato il 12 febbraio scorso, dove a fronte delle questioni relative a vertenza entrate, patto di stabilità, vertenze industriali, continuità territoriale, Equitalia e fondi Fas, si dava mandato “di convocare l'Assemblea degli stati generali del popolo sardo, ovvero, le rappresentanze delle autonomie locali, delle organizzazioni sindacali, delle associazioni di categoria dell'impresa”. E (il 16 marzo) stati generali furono, con i consueti e generici appelli all’interesse dei sardi, al nuovo modello di sviluppo e a tutto quel ritornello concettuale che si legge e si sente quotidianamente sui media isolani. Non sono mancati i mea culpa da parte delle più alte cariche regionali. Il giorno successivo iniziano i distinguo. Il capogruppo del Psd’Az Giacomo Sanna, presentando l’odg oggetto di questo articolo, specifica che “un popolo per essere libero deve essere autosufficiente e questo vuol dire avere un fisco proprio”, indicando il modello basco. Cappellacci lo accoglie favorevolmente, sfoggiando una giustificazione che, qual’ora non bastassero sessant’anni di autonomia regionale, contribuisce ad illuminare circa la natura di questi sommovimenti: “Non sono spaventato dal documento sardista che tende a fare un esame puntuale dei rapporti con lo Stato. I Quattro mori non sono solo il simbolo di un partito, sardisti lo siamo un po’ tutti”. Come dargli torto! Non c’è partito in Sardegna, tra quelli in consiglio, che non si dichiari autonomista! Il Pd, che sostiene Monti, non ci sta a scaricare le colpe solo oltre Tirreno. Così l’ex governatore Soru, alludendo alla convergenza governativa Roma-Cagliari (a maggioranza centrodestra) presente fino a pochi mesi fa: “Dire che la crisi viene da lontano, che siamo tutti colpevoli, significa assolverci tutti. Ma così non è, ci sono responsabilità per quanto non fatto negli ultimi anni”. Abbiamo tutti i motivi di dire che anche con Soru, e col governo “amico” Prodi bis, nulla è stato risolto sul versante dei mali indicati dall’odg. E qui ci fermiamo promettendo di ritornare su quel frangente qualora non bastassero le nostre vecchie produzioni reperibili in questo sito.
Gli scontri tra Sel e Pd e il futuro delle alleanze
L’odg presentato originariamente dai sardisti ha aperto forti contraddizioni più nell’opposizione di centrosinistra che non nella maggioranza della quale fanno parte. Sel risulta la gamba sinistra di questa operazione. Dobbiamo anche ricordare che Sel si annida nel gruppo Idv con un consigliere iscritto al partito di Vendola. Si avete letto bene. Daniele Cocco, eletto nell’Idv (sebbene stava lavorando per candidarsi nelle file del Prc) è passato di recente a Sel decidendo però di rimanere nel gruppo di origine per questioni tecniche(!!!). Chiusa questa brillante parentesi possiamo sintetizzare che si è creato un asse Sel-Psd’Az e che quest’asse ha mandato su tutte le furie il Pd. I vendoliani sardi (alcuni dei quali eletti nelle liste del Prc con una scissione avviata una volta accomodati nelle poltrone cagliaritane) sono accusati di aver coperto il malgoverno regionale. Accusa dalla quale conseguirebbe, secondo il capogruppo (già ex segretario regionale Cgil) Giampaolo Diana, una verifica sulla “chiarezza sia programmatica che sul terreno delle alleanze”. Ribatte il segretario di Sel Michele Piras: “Siamo noi a non comprendere il Pd in troppi frangenti e in troppe realtà locali proprio sul tema delle alleanze”. Si rammenti un fatto: il Pd e Sel hanno fatto coalizione con Fli a Olbia sostenendo il sindaco Giovannelli (proveniente dal Pdl). Non esiste quindi un problema di una forza o dell’altra circa le alleanze. Spregiudicatezza e opportunismo vengono fatti propri da questi due partiti che si danno la mano quando serve. In ogni modo la frattura pare ci sia tutta, visti anche i recenti ultimatum del segretario del Pd Silvio Lai, il quale, convocando un vertice della coalizione per venerdì 30 ha detto che “se non c’è chiarezza i democratici sono pronti ad andare da soli anche alle elezioni regionali”.
La Federazione della sinistra: “rilanciare il centrosinistra sardo”
“Qualcuno deve scegliere da che parte stare”. Questo il monito di un comunicato congiunto firmato dai segretari regionali di Prc, Pdci e Rossomori (la scissione di sinistra dal Psd’Az avvenuta con la svolta a destra di questi ultimi) e rivolto essenzialmente a Sel. “Assistiamo costantemente a inutili fughe in avanti di alcuni rappresentanti dei partiti della coalizione in consiglio regionale, fughe che spesso diventano staffette con il centrodestra, per non dire veri e propri inciuci. Si tratta di fatti incomprensibili che danneggiano gravemente la qualità e la incisività della coalizione e che stanno distruggendo il lavoro portato avanti da alcuni anni. Si tratta di operazioni evidentemente dannose che contribuiscono ad alimentare il populismo e l’allontanamento dei cittadini dalla politica”. Denunciamo fraternamente il fatto che, anziché dare una risposta di classe (e per questo motivo in antitesi sia a Sel che al Pd), ci si schieri con una delle parti in causa per difendere fino alla fine una coalizione fuori dalla realtà. Non è per caso un dato di fatto l’orientamento bipartisan dei parlamentari sardi sulle servitù militari? Non è comune ai poli dell’alternanza l’orientamento fiducioso nei mercati e nei tavoli di trattative per risolvere le vertenze industriali? Non aiuta a comprendere il fatto che centrodestra e centrosinistra si intersechino vicendevolmente nello sfascio della sanità regionale? Non sono sufficienti le alleanze a geometria variabile nelle elezioni amministrative? Non si capisce ancora che il Pd è una delle stampelle che sorreggono il Governo Monti con tutte le ripercussioni che tali scelte hanno e avranno anche per la politica regionale?
I compiti della sinistra di fronte alla crisi in Sardegna
Spetterebbe a Rifondazione, alla Fds, fare una fuga...a sinistra, e da li ricostruire l’opposizione a chi incatena la Sardegna, sia esso sardo o italiano, sia esso consigliere regionale o parlamentare sardo. Da marxisti pensiamo che non si debba verificare la permanenza nello stato italiano e poi gestire una ipotetica repubblica sarda, ovviamente nel quadro del capitalismo, magari con gli stessi metodi che i sardisti utilizzano nella gestione del governo locale. Nè allo stesso pensiamo, come fa Sel, che si debba lavorare a una "riforma profonda delle relazioni con lo Stato italiano, nel senso di una compiuta sovranità per poter progettare il proprio sviluppo".
Da quando i mali della Sardegna possono essere risolti mediante nuove relazioni tra sovrastrutture politiche? Si può pensare alla fine delle servitù militari in Sardegna senza che vi sia una ripresa del movimento contro le guerre imperialiste su larga scala e la fuoriuscita dell’Italia dalla Nato? Si può pensare di salvaguardare l’occupazione attraverso appelli a (e tavoli con) vertici politici e aziendali senza il protagonismo operaio (sul quale regna la più grande sfiducia)? Si può pensare a un nuovo modello di sviluppo senza un ribaltamento di rapporti di forza e il controllo delle risorse da parte dei lavoratori? Tutto questo non entra certo nei piani dei realisti della politica presenti a sinistra, ma è l’unico sentiero su cui battere per la vera liberazione.