Con l’anno scolastico 2014-’15 entra a regime la famigerata riforma Gelmini che porta alla definitiva scomparsa dal panorama scolastico di alcune materie e al depotenziamento di numerose materie d’indirizzo. Già nell’anno scolastico 2012-13 con quella riforma scomparvero decine di migliaia di posti di lavoro, insieme alla riduzione drastica dei fondi per gli istituti scolastici.
Dall’approvazione di quella riforma, nel 2008, sono passati tre governi e il sistema scolastico sta letteralmente collassando per l’insufficienza di soldi. Gli ultimi due governi (Letta e Renzi) hanno quindi pensato di usare la scuola solo come mezzo propagandistico. Chi ricorda, infatti, il decreto Carrozza? L’intenzione era risollevare l’istruzione stanziando la strabiliante cifra di 400 milioni — contro gli 8 miliardi tagliati — suddivisa in decine di interventi, così che, per combattere l’abbandono scolastico del 17,6%, furono stanziati appena 15 milioni (ossia 1 euro a studente per 2 anni), mentre per la copertura delle borse di studio arrivarono 136 milioni sui 350 richiesti.
Finita la propaganda del duetto Letta-Carrozza, cominciò quella del governo Renzi col ministro Giannini che dichiara il 18 marzo 2014: “ci saranno 3,5 miliardi per l’edilizia scolastica, 10mila cantieri saranno aperti in estate.”
Sarà vero? Dei 3,5 miliardi quelli effettivamente stanziati sono stati 784 milioni, meno di un quarto. In compenso, la Giannini in estate prepara il benservito al sistema scolastico: la riforma.
Dopo mesi di lavoro è pronta, e parte delle linee guida del progetto vengono presentate al meeting di Rimini di Comunione e liberazione, una delle più grandi lobby borghesi italiane.
Vittadini, uno dei principali leader del movimento cattolico afferma addiritura che “la Giannini è la prima vera erede di Luigi Berlinguer.”
Non sappiamo se la Giannini sia erede di Luigi Berlinguer, ma una cosa è certa: questa riforma è il primo progetto organico di modifica dell’istruzione dall’autonomia scolastica berlingueriana. Infatti, le riforme Moratti, Fioroni e Gelmini non furono capaci di sferrare un colpo decisivo alla scuola modificandone gli assetti e si “limitarono” a soffocarla togliendole risorse economiche.
Le linee guida della riforma prevedono di assumere entro settembre 2015 i 150mila precari delle graduatorie ad esaurimento e di bandire concorsi per l’assunzione di altri 40mila docenti. Il costo dell’operazione è di 3 miliardi che aumenteranno con il tempo a 4,1 miliardi: tuttavia, non è nota l’effettiva copertura economica.
Le graduatorie d’istituto formalmente resteranno ma di fatto non svolgeranno più alcuna funzione, in quanto le supplenze brevi saranno assegnate all’organico funzionale, docenti forniti alla scuola appositamente per questo, che il governo andrà ad assumere.
A chi si chiede cosa ne sarà delle migliaia di precari delle graduatorie d’istituto che non rientreranno nelle assunzioni fatte dalle graduatorie ad esaurimento, il governo risponde chiaramente con un “Costoro non possono essere considerati ‘precari’”.
Sfuma, invece, la proposta di aumentare a 36 ore l’orario di lavoro degli insegnanti, che però saranno spinti a maggior lavoro volontario gratuito per acquisire “merito” e “crediti” presso i dirigenti scolastici. L’attacco, dunque, procede in linea obliqua e contando sul “collaborazionismo” coi dirigenti e di una parte dei docenti. Un vecchio cavallo di battaglia del padronato italiano, la meritocrazia nelle scuole, si realizza.
Ogni 3 anni il 66% del corpo docente di ogni singolo istituto avrà degli aumenti di stipendio. Chi decide chi farà parte del 66%? In sostanza, il preside. Avanti dunque con la competizione tra lavoratori, sancita in ogni scuola da un “nucleo di autovalutazione” composto anche da un soggetto esterno all’istituto col compito di vagliare il portfolio del singolo docente. Riproposizione della riforma Aprea?
Il tutto passerà da un potenziamento dell’autonomia scolastica tramite un aumento dei poteri dei presidi anche nella gestione dei fondi, che si tradurrà nella gratificazione dei docenti “fedeli” alla direzione scolastica e in un ingresso di capitali privati negli istituti pubblici, come auspicato dalla stessa riforma che propone defiscalizzazioni ulteriori.
Per concludere in bellezza non potevano mancare “gli stage formativi”, ossia manovalanza gratuita per il padronato italiano. Se la riforma passerà, ci sarà l’obbligo all’alternanza scuola-lavoro negli ultimi 3 anni degli istituti tecnici e professionali per un totale di 200 ore l’anno. Secondo alcuni studi, il governo potrebbe garantirsi una forza lavoro gratuita pari ad oltre 100mila unità.
L’attacco che si sta preparando è pesante e bisogna preparare una risposta di classe tramite una mobilitazione unita tra studenti e lavoratori, per richiedere l’assunzione immediata di tutti i precari, il raddoppio dei finanziamenti all’istruzione, l’uscita dei privati dai nostri istituti.
Sempre in lotta già dal primo giorno di scuola sarà davanti ai cancelli scolastici per denunciare questo nuovo attacco e ad ottobre lancerà, nuovamente, proprie liste elettorali nelle elezioni d’istituto per usare anche quel campo come luogo di battaglia per la difesa dell’istruzione pubblica e gratuita. Anche l’università dovrà essere coinvolta in quanto essa, come la scuola, subisce gli attacchi governativi.
Solo in questo modo si potrà fermare la demolizione dell’istruzione, nessuna concertazione con il governo sarà utile. Chi la propone, come Uds e Rds, è destinato a perdere. Tra l’altro, quali basi avrebbe una concertazione? La velocità con la quale applicare gli attacchi? Oppure, come propone qualche organizzazione studentesca, “finanziamenti privati sì, ma regolati”? Non è la nostra strada.
La risposta deve essere chiara, l’istruzione deve essere pubblica e finanziata dallo Stato. Prepariamoci all’autunno caldo!