La Gelmini non sarà di nuovo Ministro dell’istruzione. Fine delle buone notizie.
Va detto che rimettere uno dei ministri più odiati della storia della Repubblica in un governo che avrà presto contro la rabbia popolare sarebbe stato furbo come mettere una torcia accesa in un deposito di dinamite.
Nel “governo del Presidente” arriva quindi Maria Chiara Carrozza, figura ben più professionale: rettore della scuola superiore Sant’Anna di Pisa (frequentata dallo stesso Letta, che non si mostra privo di gratitudine), laurea in Fisica, dottorato in Ingegneria, diversi riconoscimenti per le ricerche sulla robotica. Se il problema fosse avere un ministro scientificamente formato invece di uno che pensa che esista un tunnel dal Cern di Ginevra al Gran Sasso in cui sparano i neutrini, avremmo risolto i nostri guai. Purtroppo non è così, l’ha dimostrato Profumo, ex-rettore del Politecnico di Torino, protagonista degli attacchi all’istruzione nell’ultimo anno. Tanto ha tagliato che alla fine gli è rimasto solo da proporre di tagliare pure un anno di scuola, facendo finire le superiori a 18 anni anziché a 19. Per fortuna è finito prima il suo ministero e ha potuto solo lasciare la proposta sul tavolo del successore.
Quel che si può sapere di questo successore non lascia però ben sperare. Carrozza è eletta al Parlamento nelle liste del Pd (leggi Autonomia Scolastica, 3+2 universitario e tagli del governo Monti). Nel 2009 ha ricevuto il Premio Firenze Donne per “essere il rettore più giovane d’Italia, distinta come ricercatrice, coordinatrice e manager aziendale”. Per capirci, lo stesso premio fu dato nel 2011 a Mara Carfagna, ancora ministro del governo Berlusconi.
Ultimo indizio: fra i numerosi organismi scientifici di cui fa o ha fatto parte, c’è il Comitato scientifico del Centro studi di Confindustria. A occhio, insomma, una mente brillante integrata nell’entourage della borghesia italiana.
Abbandonando i toni della Gelmini, dichiara all’Unità che l’istruzione è una “priorità assoluta per il paese”, che serve “la ristrutturazione e la messa a norma degli edifici scolastici” e che “la mia guida sono i principi della Costituzione”. Toni da centro-sinistra, ma conditi con unità nazionale: non è stata la riforma Gelmini il problema ma come è stata attuata, “la scuola pubblica è la priorità” ma “questo non significa negare il ruolo della scuola privata”, serviranno “mediazioni fra posizioni diverse”.
Ancor più importante delle propensioni del singolo ministro infatti è il contesto in cui lavorerà. Il governo reitera la composi-zione politica del governo Monti e segna la vittoria della linea di Napolitano. Vale la pena quindi guardare quelle proposte, contenute nelle relazioni dei famosi dieci saggi, che proprio Napolitano aveva lasciato in consegna al suo successore, prima di diventare il successore di se stesso.
Partendo dal problema della disoccupazione giovanile, i “saggi” spiegano che, viste le prospettive economiche difficili, la soluzione è rendere più facili i contratti precari, magari anche tassando meno le aziende. E qui si ricordano che c’è già lo strumento ad hoc: l’apprendistato, uno dei cavalli di battaglia della riforma Fornero, che “oltre alla più favorevole disciplina della rescissione del rapporto di lavoro” (cioè ti caccio quando voglio), “prevede un carico contributivo limitato o del tutto assente”. L’ardito passo di chiedersi perché, pur essendoci già la loro soluzione, il problema non scompare, i saggi non lo fanno.
Anzi, rilanciano: andrebbe istituita un’alternanza obbligatoria scuola-lavoro a ogni livello di istruzione e gli atenei dovrebbero “stringere degli accordi (…) per istituire un corso di laurea triennale sotto forma di apprendistato. Lo studente lavoratore potrebbe acquisire metà dei crediti del corso in azienda e metà dei crediti in università: sarebbe formalmente impiegato presso l’impresa con un contratto di apprendistato della durata di tre anni, ma l’azienda non avrebbe alcun obbligo ad assumere il giovane alla fine del triennio”.
Per il bene dei giovani, ci spiegano, che non trovano lavoro e si iscrivono sempre meno all’università. Vero, ma perché questo dovrebbe migliorare facendo lavorare quelli iscritti è un mistero che solo i saggi possono penetrare.
La verità è che si torna sempre al bel progetto dell’avere forza-lavoro non retribuita e senza diritti sindacali, da buttare nel cestino quando non serve più. Se poi facciamo passare metà del tempo fuori da scuole e università, tanto vale tagliare a metà le risorse, no?
Nel resto del documento si ribadisce la necessità di “creare una competizione virtuosa” tra le diverse scuole e università, la famosa meritocrazia.
Infine c’è l’elenco delle buone intenzioni: bisogna combattere l’abbandono scolastico, magari estendendo l’apertura delle scuole al pomeriggio; bisognerebbe far tornare i soldi delle borse di studio, bisogna educare alla salute e serve lo sviluppo tecnologico… Solo che non viene spiegato con che risorse. Non si capisce come questo sia possibile nel quadro di tagli, privatizzazione e selezione di classe che sta tutto intorno a queste tre o quattro idee da bravi ragazzi e che non viene altrimenti contestato.
Al ministro che usa la Costituzione come guida, ricordiamo ad esempio che oggi proprio la Carta chiarisce che bisogna lavorare in pareggio di bilancio.
Per riconquistare una scuola e un’università pubblica, non si può confidare nelle buone intenzioni, ma ripartire dal protagonismo di lotte che rovescino l’attuale funzionamento dell’istruzione e del sistema in cui è inserita.